Tra casa e non so

A volte un po’ mi dispiace pensando a cio’ che non ho fatto.
E’ un sentimento strano; non e’ pentimento o tantomeno rimorso, non e’ rancore o autocritica.
Si potrebbe definire un volo a bassa quota su cio’ che poteva essere e una volta tanto non ci sono destini deviati o futuri perduti, qualche eventualita’ mancata, sfumature, vita di serie B che poteva essere.
Ancora piu’ strano dispiacermi dei particolari e affatto dell’intero quadro, particolari talmente insignificanti che non varrebbero che pochi secondi di ricordo, eppure divertenti da ingigantire, considerare, evocare persino.
Ecco, la ferrovia dismessa ad esempio.
Ruggine e cocci, plastica deforme e fogli incomprensibili.
Erba rada e disperata in pozze sconnesse e infettate dal tempo e dall’uomo.
Negozi fuori dal tempo comandati dalla fuliggine, bar sudici calpestati da una umanita’ piu’ rassegnata che disperata, capolinea di chi si e’ arreso, meta anticipata di chi non ce la fa piu’, inferno inconsapevole per qualcuno, il miglior mondo possibile per altri, l’unico mondo possibile.
Auto veloci, spietate, senza anima, senza destinazione, solo fermate intermedie tra un incubo e l’altro.
Marciapiedi deserti consumati dall’attesa di qualcuno che li calpesti, vecchio odore d’acciaio non ancora sedimentato piu’ nelle anime che nelle strade, semafori che paiono essere gli unici viventi tra mura scrostate e scritte comicamente e pericolosamente patetiche.
E poi, nel centro esatto di tutto questo, un ricordo lontano strappato dalla mia mente e divenuto luogo, incantevole oasi di cio’ che non e’ piu’, luce da stella esplosa da eoni.
Si, proprio li’, quasi sepolto dal grigio una piccola capanna di edera intrecciata nel filo di ferro e antichi pali scrostati.
Casse gialle e vuote accatastate in un angolo, tavolini in formica sbeccata dai bordi in alluminio, posaceneri in plastica dura col nome di liquori oramai spariti urlato sul fianco, cemento sotto i piedi quando ancora si pensava durasse in eterno.
Quella porta conduceva in un interno forse anch’esso anacronistico ma perche’ preoccuparsene quando tutto cio’ che volevo era gia’ li’ davanti a me.
Non mi sono neppure fermato a lungo, forse piu’ un breve passaggio e oggi so perche’; ho avuto paura, paura dei miei sentimenti, delle mie emozioni, dei miei pensieri e dopo sono fuggito, fuggito da quel luogo e da tutti i luoghi attorno, fuggito da cio’ che non mi apparteneva e a cui non sono appartenuto, eppure e’ stato emozionante, unico nel sapere di poterlo rivivere, unico nel sapere che invece non accadra’, unico perche’ sul serio mi manca…

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