Giaceva nella rovente penombra del tardo pomeriggio l’estate cosi’ poco attesa, poco desiderata, per la prima volta subita in un senso d’insana crescita, d’inevitabile destino al quale opporsi chissa’ con quale risultato, con quale miracoloso responso non fosse per stupida e benedetta certezza d’eternita’ di giorni in cui dovere era desiderarla.
Tanti pensieri, non quelli giusti nel ruolo mal ritagliato di chi doveva vivere di potenzialita’ ma c’era da esprimere un bisogno, tracciare un segno, distruggere barriere e col sorriso accettare imminente sconvolgimento.
Autunno lontano, inverno lontanissimo, l’estate successiva da inventare, solo spettri, solo mostri, solo echi nel caldo, nella verde luce, nel sincronizzato ruotare e poteva essere comune ascoltare, atteso giorno inaspettatamente epico, silenziosamente roboante d’eterne parole, di nuovo cosmo, inedita tesi impossibile da non seguire.
Giallo puo’ essere oro in giusta luce, nell’anima di chi osserva senza interesse, senza giudizio questionante inezie in sole morente, in rientri annoiati, inerzia altrove meritata, furbescamente evitata.
Sudore risponde ad agitata simbiosi climatica eppure tremo incredulo, mi siedo, non unisco secondi che controllo come supremo essere a cui niente puo’ essere negato e posso solo pensare che nulla e’ da svelare se stringere tra le mani l’assoluto e’ solo gioco di bambino stanco di giocare, ansioso eppure annoiato, eccitato ma spaventato, triste di felicita’ immeritata e grottesca e cosa e’ mai strapparsi il futuro di dosso come pelle di viscido serpente nel futuro quando rimpianto non si e’ divorato meglio dell’anima sfiorandone confini e bordi gia’ corrosi.
Voglia di uscire, desiderio d’amplificare voce trovata e meno paura, piu’ incertezza e avventura, gioia d’arte, tutto finito, tutto iniziato, tutto inventato, porta chiusa con violenza alle proprie spalle ma che importa se smarrirsi significa pagare salato conto dopo banchetto ancora da gustare e la’ sedia, la’ tavola imbandita, accomodarsi che per la cassa c’e’ ancora tempo.
I don’t like Ibiza
I don’t like house music
I don’t like house music
I don’t like house music
On the road…
Tanti pensieri, non quelli giusti nel ruolo mal ritagliato di chi doveva vivere di potenzialita’ ma c’era da esprimere un bisogno, tracciare un segno, distruggere barriere e col sorriso accettare imminente sconvolgimento.
Autunno lontano, inverno lontanissimo, l’estate successiva da inventare, solo spettri, solo mostri, solo echi nel caldo, nella verde luce, nel sincronizzato ruotare e poteva essere comune ascoltare, atteso giorno inaspettatamente epico, silenziosamente roboante d’eterne parole, di nuovo cosmo, inedita tesi impossibile da non seguire.
Giallo puo’ essere oro in giusta luce, nell’anima di chi osserva senza interesse, senza giudizio questionante inezie in sole morente, in rientri annoiati, inerzia altrove meritata, furbescamente evitata.
Sudore risponde ad agitata simbiosi climatica eppure tremo incredulo, mi siedo, non unisco secondi che controllo come supremo essere a cui niente puo’ essere negato e posso solo pensare che nulla e’ da svelare se stringere tra le mani l’assoluto e’ solo gioco di bambino stanco di giocare, ansioso eppure annoiato, eccitato ma spaventato, triste di felicita’ immeritata e grottesca e cosa e’ mai strapparsi il futuro di dosso come pelle di viscido serpente nel futuro quando rimpianto non si e’ divorato meglio dell’anima sfiorandone confini e bordi gia’ corrosi.
Voglia di uscire, desiderio d’amplificare voce trovata e meno paura, piu’ incertezza e avventura, gioia d’arte, tutto finito, tutto iniziato, tutto inventato, porta chiusa con violenza alle proprie spalle ma che importa se smarrirsi significa pagare salato conto dopo banchetto ancora da gustare e la’ sedia, la’ tavola imbandita, accomodarsi che per la cassa c’e’ ancora tempo.
I don’t like Ibiza
I don’t like house music
I don’t like house music
I don’t like house music
On the road…