Storia divisa

Mi accorgo e certo non senza sorpresa, che ti parlo di me molto piu’ oggi che in passato.
Strano a dirsi dopo cataste di frasi e parole, ma cosi’ doveva essere dal principio.
Il dialogo e’ sempre una mediazione, un accomodare, modellare il proprio pensiero sulla forma dell’interlocutore.
C’e’ una fase di traduzione che toglie senza arricchire, filtraggio di un’idea, scrematura di un concetto.
Nella mente e’ l’elettricita’ a guidare il passo e come un albero di luce, cio’ che pensiamo si evolve a velocita’ fantastiche.
Rami su rami, foglie, fiori che generano frutti che generano semi che generano piante e ancora rami, foglie, fiori alla rapidita’ di un battito di ciglia; come tradurre in suoni quando i suoni sono lenti, inadeguati, impacciati.
Per il monologo e’ lo stesso ma aversi di fronte semplifica perche’ rimane il solo esprimersi senza spiegare.
Forse e’ piu’ complicato comprendere, frasi decontestualizzate sono criptiche senza riferimenti ma il flusso deve condurre e non trascinare, l’idea assume forma anche coi gesti, non solo col corpo.
Forse e’ un viaggio un po’ piu’ complicato e non ho idea se ne vale la pena, ma la strada e’ questa, la percorro e mi piacerebbe non essere solo.
Looking out at the road rushing under my wheels
Looking back at the years gone by like so many summer fields
In sixty-five I was seventeen and running up one-on-one
I don’t know where I’m running now, I’m just running on

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