Dissolvenza

Attesa, volonta’ laterale, soffio e turbamento d’ignota sostanza, di angosciosa presenza.
Desiderio e orrore come se si potesse decidere di ogni istante, di ogni istanza, del proprio destino nell’io mondo, io cosmo, io tempo e universale tutto, giovane illusione, sempre meno illusione, sempre meno giovane eppure sindrome che non lascia spazio all’idiozia della consapevolezza, al cerchio apparentemente spezzato quando e’ rifiuto di realta’, occhi chiusi sul baratro inevitabile, sul palpito inenarrabile, sterzata brusca e strapiombo ma non ora, non domani, non nell’infinito oltre, polla primordiale nela quale richiudersi e piegarsi.
Il sonno arriva a passi veloci, forse e’ fuga, piccolo arrendersi, anfratto scavato nell’alba del tempo, ere lontane di memoria perduta nella luce dimenticata delle stelle quando paradiso era uscire da un’onda di orrenda esistenza nell’assenza di coscienza, nel preludio d’oblio, nell’assaggio di dolce morte, d’ambita morte.
Come camminare in nuovo territorio avvolto di oro e stracci, stanze riciclate dal giorno percorse da flaccidi muscoli, ginocchia a terra strisciando senza umiliazione ne’ costrizione, doveroso obbligo verso troppo umana umanita’, ulteriore ostacolo a mutazione alla quale posso solo porgere benevolo sorriso.
A volte merito il silenzio della notte, in certi casi i tempi devono essere pari e leggeri, connubio e fusione con colline, case antiche, forti piccoli animali, lontani riverberi che avvicinano quieta essenza di un allora che posso vivere senza ricordare e come un tempo inafferabili raggi di luce riempiono vuoto di ore insonni, gioco per non aver paura, per carezza che non c’era, per convincersi che comunque ogni cosa sarebbe andata bene, per sempre bene.
In certi casi riesco a non guardare troppo dentro l’abisso e di bianca parete riempio pensiero nervoso, fermo il nervo di braccio che brandeggia nella calda aria perche’ se silenzio e’ conquista, assenza e’ merito.
The mountain cuts off the town from view,
Like a cancer growth is removed by skill.
Let it be revealed.
A waterfall, his madrigal.
An inland sea, his symphony.

Modello delle cose

C’era gelida steppa, ghiaccio e vento d’atavico terrore, c’era umanita’ sconosciuta, solo narrata, solo inventata, solo immaginata e non ricordo bene, ombre, sfumature, parole, tante parole alle quali ho innocentemente creduto.
Ci sara’ mare, plastico ed illusorio oppure carnoso e volgare ma sara’ mare che si riflette nel sole, che inneggia luna sempre piena, balconi odorosi e voglia d’uscire, tempo da sezionare e magnetica convergenza su panchina rovente, sempre quella, solita e speciale, cene rimandate di minuto in minuto, passi lenti in apparenza casuali, invisibili linee, mura pesanti schiacciano e intrappolano ma porta rimane aperta, varco su nuovo domani, rinnovato giorno.
C’era una storia fatta di giornali inconsapevoli e qualcosa che colpiva cosmico senso bambino, girandola incontrollata ed incontrollabile d’emozioni innate eppure aliene, ingestibili in cio’ che solo appariva eppure fu segno di distinzione, fiume che di poco imparai a controllare, seppellire in maleodorante cinismo, terra maledetta che irrimediabilmente copre e nulla fuoriesce oltre a ritagli dispersi, perdute pagine di diario, nome come mantra, come voglia di crescere, come desiderio di conoscere, di capire, domande, domande ed inette risposte, incomprensibile indifferenza alla quale non mi sono abituato, magari compreso ma non accettato.
Ci sara’ in futura certezza, paradigma tra bisogni, archetipo dissepolto in remoti viaggi, alberi sempre contro sole, sempre contro vento, salsedine di muta trasformazione, mutazione, mani invisibili che formano e disegnano su foglio celato alla vista ma non al cuore, non al fuoco di tramonto, filo come ferrea barriera tra cio’ che dovrebbe e costo di ripartire, di tornare a sentire un’onda nel cuore, brivido sotteso tra ossa e pelle.
Gelo e sale, estremi di vita, coraggio di sogno, impossibile coniugazione in luogo ancora tutto da definire, confessione e sospiro, passata liberazione ancora da inventare, ancora da espiare.
Right up here I’m far away from everything
Right up here there’s nothing that can touch me now
The only thing that stabs my back is spiky grass
The only thing that makes me fall is liberty

Balconi e luci veloci

Viaggi, viaggi da segnare in un pensiero, lontani una distrazione, gialla fluorescente materia e tutto e’ un attimo, ogni segno una strada da percorrere, un mattone da osservare, lauta ricompensa per sfatare illusione d’onnipotenza, d’autosufficienza, di fine imminente che imminente non e’ se non si vogliono sentire sussurri e grida, antica polvere depositarsi ai piedi del nulla, del ghiaccio, del rombo di tuono sempre piu’ distante.
Lama sottile, desiderio che prende forma nell’antico bisogno di via di fuga ed e’ ancora tramonto vicino visto da fresco e protetto luogo sazio e lussuoso ma qualcosa rimane, scia impregnata di passato e bisogni, parvenza di realizzazione, sistematica e periodica ricorrenza che dovrei abituarmi a pensare in statica esigenza.
Fuga, percorso prestabilito, confusione mescolata nel tempo, nei bisogni che non esistono, che non piacciono, che non servono mai del tutto, mai abbastanza, non cosi’ in fretta, non nelle giuste dosi e quantita’ e lo sguardo si fa confuso, glaciale e mascherato, protezione, protezione dall’emozione diversa, residuo di luogo e tempo sconfitto ma non nella memoria, non nell’orizzonte che ancora ne conserva forza e vigore.
Notte, notte profonda e umida e via, via dalla pioggia verso un sole che non voglio sino in fondo, che a volte pare alieno e perduto, rumoroso quanto basta per trascinare quel pezzo di destino mancante nel vortice di emozione mai eccessivamente intensa o forse al contrario troppo suadente ed invitante per rimanere fermi a fissare, immobili e inutili perche’ a volte basta un lampo di luce e tutto quel buio diviene teatro e cio’ che contiene raro gioiello sospeso da chissa’ quale forza, mano divina, volonta’ atavica e potente, immortale.
E’ che non rincorrere le luci del banale stanca, giudicare ancora di piu’, esserlo sempre meno e malgrado vi siano voci amiche e solidali, qualcosa appare confuso e sbagliato, inutilmente asettico, incompleto e se lastricare la propria strada di sogni e’ inizio, fine puo’ comunque sorprendere, sbalordire, atterrire.
Louder and louder
Till I could tell the sound was not within my ears
You should have seen me
You would have seen my eyes grow white and cold with fear

Distopia

Forse non sono cresciuto perche’ il rock mi ha intrappolato in pantaloncini corti, giacchetta blu e cravatta a righe, urlo onnidirezionale sulla frequenza di mettalica corda, di rullante percosso, pop sigillato in stanza con ogni comfort e nuova occasione per nuova lacrima, ancora ricordi, millesimato distillato di passione e proibiti momenti di gioia indefinibile se non nella sua grandezza, presunta o reale che sia, jazz penombra e comodo divano, giallo mondo oltre quei vetri mai abbastanza spessi, spifferi d’esistenza, soffio che e’ scambio, segnale di vita che non potrebbe mai essere.
Forse non sono cresciuto perche’ ci sono parole, tante, infinite, graffi su bianca anima, graffiti di umana conoscenza appartenuta a giganti o pigmei, immobili segni coi quali ho volato, volato in ambra fluorescente laddove infinito e’ particella di altro infinito, ho contato realta’ disponibili e in salita asfaltata ho vissuto, desiderato ed esausto sono giunto laddove il creato e’ bambino silenzioso, vita sillaba di frase semplicissima, luce ed Eden e piu’ lontano mi sono spinto, piu’ vicino ho osservato le mie mani e in esse verita’ ridicolmente semplice da cogliere e comprendere.
Forse non sono cresciuto perche’ le immagini sanno muoversi, spostarsi in luoghi diversissimi e terribilmente meravigliosi e da esse ho compreso che l’esistenza non e’ flusso continuo di corpi in movimento ma istantanee in sequenza delle quali infinite inutili ma per poche eppur vitali vale la pena di piangere, ridere, semplicemente esistere, girare con lo sguardo un angolo in piu’, soffermarsi su minuscole pietre perche’ d’esse son edificate montagne e pianure e se colori sono gioco dell’anima, in quei colori si cela l’umanita’ bramata e perduta.
Forse non sono cresciuto perche’ ogni elettrone e’ sole che bolle sangue, parsec a miliardi nel gioco di astrazione, cosmica energia per formulare logico pensiero, innovativa concezione per spingersi oltre, sfida su sfida su sfida e non finisce perche’ non deve finire, perche’ altrimenti e’ noia, altrimenti e’ sconfitta, altrimenti e’ morte quando ancora so sorprendermi e come bambino la stanza e’ astronave, tasti come pulsanti per spazzare innanzi pericoli e dolore e solitudine e voglia di sapere, di conoscere, di non avere piu’ dubbi, domande, oscuri angoli da illuminare e non piu’ temere, mai piu’ aver paura.
Forse non sono cresciuto perche’ rimango su strada diversa ma maestra, impossibile possibile e non sapere piu’ cosa conta e’ forza, salvezza, strano galleggiare a volte elevarsi altre affondare, qualche altra volare, alcune notti nere, altre tetre, giorni fatti di domani e ieri, poco presente, troppa attenzione e se ho fatto di vizio virtu’ allora sono colpevole di non aver detto basta, di non aver desiderato sino a perdermi, di aver pagato ogni singola goccia di sangue che ho fatto versare, sono colpevole di aver rinunciato alla terra per nuvola bellissima e trasparente, sono colpevole di aver giocato tutto alla prima mano vincendo la possibilita’ di tentare ancora e null’altro, colpevole di non essere cresciuto e per questo crescere e’ ancora alternativa, scommessa aperta per qualcosa per cui crescere so non essere tutto, per cui crescere e’ ancora possibile.
For what is a man? What has he got?
If not himself – Then he has naught.
To say the things he truly feels
And not the words of one who kneels.
The record shows I took the blows
And did it my way.

Pendolo

Se cessasse il rombo di tutti i timpani del mondo allora nessun cuore avrebbe piu’ senso nel battere, mestiere di vivere e raccontare storie per chi solo vuol ascoltare noiose storie vissute e stropicciate, cadenti e decadenti, statiche quanto basta per rifugiarsi in forme e colori, inerti eppure molto molto espressive.
E’ che si giunge sempre al momento in cui formule si bloccano all’altezza del cuore e nemmeno sangue pare trovare pertugio in cui passare e inizia a mancare qualcosa e quel vuoto fa male, quel vuoto toglie vita e forze, fiume asciutto verso il mare, verso un nulla, parvenza di un ricordo, di un bisogno antico, di illusione che e’ stata aria e ramo slanciato in un cielo azzurrissimo, vento incapace di fermarsi, di sussurrare se non urlare forte e maestoso e furioso e osceno.
E’ che si dubita, si dubita di tutto nella spasmodica ricerca di variabili a cui attribuire valore, significato e con esso senso e compiutezza, trasposizione d’oggetto, di soggetto, di locazione in uno spazio mobile, anima statica e solitaria perche’ qualcosa deve muoversi e senza riferimenti puo’ essere sogno, puo’ essere visione di qualcosa che e’ rimasto dietro, sorpassato ma non dimenticato, solo nell’oggi, solo nella notte, solo nel freddo come impronta in fresca neve con sguardo verso luce fioca ma presente, un piede avanti all’altro dentro alla consuetudine quando non e’ tale, in mezzo al fuoco che non e’ mai eterno eppure incapaci altrimenti non si vivrebbe diversamente.
Ho preso dodici chitarre e le ho suonate al ritmo di quei timpani, tamburi miei, solo miei, solo miei, solo miei quando non posso scordare, mentre qualcosa si spezza, altro si riempie, forse comprende e brucia la gola mentre penso potrebbe persino bastare, forse finire, magari uscire imprecando contro foto impolverate ed appiccicose, vetri poco spessi, pozzi molto profondi, neve che non doveva sciogliersi cancellando cosi’ passi infine troppo lontani, strada smarrita, strada perduta, rimpianto, furore esausto, mano immobile, piu’, mai piu’.
io e’ un altro
lo zero non esiste
niente e’ nulla
tutto e’ mio

Prima zona

Un uomo a terra, un uomo cammina, un uomo tocca le stelle.
Distanziati da un singolo infinitesimo punto sono fantasmi sovrapponibili e sorridenti, ognuno una strada, ognuno una missione, ognuno un destino eppure restano indistinguibili, inseparabili, alla mente unico ricordo, confusi, mescolati, perplessita’ e mistero del quale indifferente, ignoro.
Direzioni diverse, mezzi lontanissimi eppure una domanda lega destini talmente divergenti da avere per forza qualcosa in comune, almeno un seme germinato in terreni diversi, con diverse ambizioni.
Domandarsi dove sia la ragione, la direzione, complementarieta’ degli opposti o anni gettati da qualche parte, in discariche emotive, sacchi neri ed ordinati, orrenda fila di cui essere spettatore o artefice, confusione di ruoli e ancora un cerchio che si chiude, spalle che si stringono, mani che proteggono da luce abbagliante.
Intrappolato in quotidiana gabbia di vulcanizzato chiarore, scorgo qualcosa che anomalo cammina, forse scivola nel veloce flusso delle cose, polvere su polvere, asfalto su asfalto, desiderio di camminare contromano, contro flussi, riflussi e doveri, un giorno di violini senza solisti a coprire, a primeggiare, ad isolare un concerto che e’ solo nella mente, nelle notti senza sogni, nelle pagine bianche di libro mai scritto.
Ancora una volta non riesco ad invidiare coprendomi di bigia cenere, come se colore fosse insana corsa, come se strisciare fosse nuvole e mangiare terra, cielo brillante e nel torto ho ragione, nell’errore perseguo universale giustizia, senso di logica vita che trascende mode e periodi e se nell’unico dimora il tutto allora la sola algebra domina l’universo, successione immensa ma non infinita di somme e null’altro perche’ oltre l’unione di unita’ esiste un oceano e in quell’oceano una terra e li’ un luogo in cui le parole finiscono, i pensieri si fermano, il dolore un ricordo, un’impressione.
My life passes before my eyes
And only now I can see…
Obsessive thoughts made me forget
Simple things just like live…

Nell’approssimato dispari

Straccio lenzuola esauste, brucio un fuori, segno tangibile di realta’ che non appartiene a nessuno tantomeno a me, alberi che non crescono, non s’espandono, non inciampano nel legittimo desiderio di abbracciare ogni pietra, ricoprire strade e colline, oscurare astri e nuvole.
Strano, strano modo d’esistere, come frase ripetuta all’infinito, parole che perdono significato divenendo impastati suoni, mantra che e’ racconto, novella d’illusione e se v’e’ trasformazione e’ nel persistere di concetti che alla pari di fluidi viscosi, scivolano tra le pieghe della ragione comandando e definendo la realta’, ridisegnando pregresso, racconto di un passato destinato a sparire se non nei sogni, forse altro ancora da scoprire, romanzo perduto ma non del tutto dimenticato, non ancora sepolto, celato ingegno inesistente.
Sono abitudini, abitudini di provenienza lontana, come ancestrali ricordi sospesi tra mito e risveglio, come vapore che disperso nell’aria notturna muta in foschia lunare, rugiada gelata, irripetibile conformazione atomica, materia non materia, arma di delitto mai compiuto, mai pensato, mai concepito.
Sole attrae e torpore lenisce ferite incapaci di chiudersi, gioviale convivenza in fondo, abitudine, troppa abitudine ma non c’e’ sale su carne viva, non c’e’ quel soffio di vento che increspa pelle e notti, buio oramai pieno di mostri noiosi ed estranei, fastidio e irritazione, ipersensibilita’ al nulla imperante, nascondiglio di ben altri irrealizzati desideri.
E’ che alla fine e’ rientrare in stanze normalmente illuminate eppur cieche nel bagliore esterno, istinto e memoria di muri e corridoi, senza discernimento, senza piano preciso, forse vaga espressione dell’arrivare in fondo, del trovare un traguardo, meta solo fantasiosamente ambita, irreale cammino di qualcuno che ha solo ipotizzato un riparo, stabile tetto e se tutto e’ diverso, se tutto infine scompare poco importa, come sempre del resto.
Open the doors that lead on into eden
Don’t want no cheap disguise
I follow the signs marked back to the beginning
No more compromise

Verve

Difficile persino desiderare, improbo gesto, archetipo da ignorare e mai piu’ seguire quando trucco e’ correre, correre a perdifiato osservando poco, fermandosi meno, meta ambita domani, sempre domani, ancora domani.
Domani e superare il dubbio del domani che verra’, domani e sara’ ancora domani fino a quando faccia al muro, affrontare o perire in scelta inesistente, incosistente, inganno che potrebbe ma non si sa mai, non scommeterei, non giudicherei con eccessiva severita’, con immeritata superficialita’.
Sempre piu’ sottile, impalpabile barriera che separa idealizzato silenzio con programmato caos, vendetta di chissa’ quale dio malvagio in terra rossa, cielo crepitante fulmini e oceani in rivolta, malsana genealogia di nuvole troppo alte, pioggia di gocce pesanti e dolorose e attente a colpire duro, a fare male, a spezzare voglie di quanto potrebbe avvenire.
Attesa sempre meno attenta ed e’ trovarsi in cattedrale deserta, osservare enormi colonne di marmo e sangue a reggere volte imperiose ed inutili, cupola che nasconde stelle senza proteggere da esse, enormi finestre esaltanti luce esterna senza illuminare ambienti cupi carichi di polvere sospesa, particelle come scintille, abitanti di fatato mondo, stato di esistenza, permanenza, ambizione di energia che diviene materia fine a se stessa, utile ad osservare, scarto ininfluente e per questo importante, tranquilla, felice.
Ogni tempo rimane comunque definito nella percezione di omologhi adiacenti, disperdendosi nel soggettivo antico e moderno, congruo e sconveniente cosi’ come fruscio puo’ essere magico assolo nel frastuono e sinfonia puro caos in giornata rabbiosa e maledetta e fosse immaginazione allora cadrebbero leggere parole ma nel frattempo il verbo si fa carne, mesi cani rabbiosi e affamati, pareti tenera sabbia ed osservar girare la ruota, sempre piu’ sorriso va a grande e triste giostra, patetico manufatto, inutile a tutto eccetto che al cuore e al suo tramonto.
This world is helpless…
I descend… I flee
To sympathize for their souls;
You have to humanize me

Ottica gemella

Ho provato ad alzarmi e quasi crollo a terra, necessario restare molto lenti, scambiare dominio del tempo con morbido e caldo pavimento, ascoltare sangue pesante e denso sempre piu’ lento, sempre piu’ stanco e gia’ una mano giace immobile, l’altra s’arrabatta in movimenti sempre meno coordinati, sempre meno sensati.
Potrebbe essere grave segnale, doloroso indicatore di limite oltrepassato eppure e’ strana rappresentazione di quiete, basilare energia che consente poco piu’ di vivere di minuto in minuto, di ora in ora e il resto sia calore in atmosfera fredda ed umida, qualcosa che non aggiunge, qualcosa che non toglie, qualcosa che accarezza il niente.
Torpore m’avvolge suadente, sinuoso e strisciante su pelle arida, arrendevole desidero persista piu’ a lungo possibile senza riflettere, senza questionare, mare placido che esaudisce e sorride nei basilari bisogni di chi e’ uscito dalla competizione anche solo pochi istanti, come finestra improvvisamente spalancata su asfissiante stanza fumosa, acre odore che fugge spingendo lontano aria viziata, falsi miti, negative strutture, inutili discussioni.
Scopro che umane dimensioni vengono definite da urgenti bisogni e una volta cadute implodono volumi e distanze, staccano lancette, spengono luci in eterno notturno soffuso, buio glaciale carico di riflessi e bagliori, lampi di cio’ che e’ lontano, di quello che dovrebbe e fortunatamente non e’, mescolato bisogno d’indefinibile silenzio.
Sento legame proporzionalmente inverso alla distanza e cio’ e’ bene, altra sicurezza, ribellione in fondo a umana inettitudine, ingestibile montagna di verita’ cosi’ alta, immensa ed inutile massa urgentemente da liberarsi, gettare e fuggire, fuggire nel centro esatto d’inopportuno suono costruito nei cavi, nel rame, nell’elettrico elettronico, in un desiderio inquieto ed irrealizzabile, moto parallattico d’apparente vivacita’ in prospettiva sognante, in terra inesplorata, in occhi grandi e stupefacenti come la vita, la vita che dovrebbe.
Heres a good one
Did you hear about my friend
He’s embarrassed to be seen now
‘Cause we all know his sins

Corpo perlaceo

Muro, possente muro che allontana, separa, divisione e protezione anche se cosi’ detto traspare inestistente paura perche’ esistono distanze che rafforzano sensazioni e decisioni, esaltazione di idee e consapevolezza di ragione senza arroganza perche’ certi pensieri sfociano in filosofia, come fluido amico di gravita’, come tempo fedele a fisica inviolabile, rara certezza, sicurezza di fuoco, ghiaccio, acqua.
Incurante proseguo su finita strada che in fondo non importa dove termini perche’ c’e’ traguardo mobile ma non finale, non conclusivo, forse non distante ma prematuro e’ riflettere, banale strizzare occhi per un laddove inutile sul laterale, bordo che ancora desta sorprese, ancora con forza e’ luna per lupo affamato, malgrado tutto selvaggio.
Quindi perche’ definire se non e’ chiaro cio’ che sta fuori e cosa dentro, chi intrappola chi, quale superficie eccelle sull’altra, dove siano nuvole piu’ veloci e leggere, quale cielo conti piu’ stelle e dove la notte faccia meno paura.
Oggi staziono dove non conoscere domina, nel punto esatto pero’ in cui emozioni note e scontate divengono arte e fascino, lacrime caldissime e meravigliose di sconfinata gioia, indomabile senso d’infinito e appartenenza a frammento rotolato da qualche parte ai bordi della consuetudine, dell’abitudine, fuga da mortale noia, indicibile e letale quotidiano figlio di detestato ordinario, conflitto mai combattuto eppure vinto e per questo privilegiato.
Posso toccare cedevole maniglia, riesco a vedere, posso scegliere mossa e direzione nel gioco i cui turni sono infine giunti a me, eppur platealmente, senza eccessiva sorpresa, m’allontano con odiosa flemma mentre pedina immobile, avatar ansioso e insoddisfatto resta sgomento al posto mio, cristallizzato in gioco troppo piccolo per lui, poca aria, poca aria, poco soffitto, incrostazioni impossibili da eliminare.
Inutile combattere blasfemia se fede e’ stato della mente, riposo dell’anima, turbolenza riservata e cio’ che resta nel cuore insonne del buio, lenzuola stracciate, alba vicina, eccessivamente vicina.
Cold and misty morning, I heard a warning borne in the air
About an age of power where no one had an hour to spare,
Where the seeds have withered, silent children shivered, in the cold
Now their faces captured in the lenses of the jackals for gold.
I’ll be there