Inizio senza fondo

Questo contrattempo spalanca sguardo verso specchio da troppo tempo distrattamente scrutato perche’ e’ ragione nel dire che non sono piu’ io, che plastica fusa rallenta movimenti nell’illusione che mondo stia rallentando con me, che non distinguo piu’ strada da aria da cemento da alberi da elettricita’ da pittura da musica da carta da istinto da sudore da parole da benzina da cibo da ritmo da ritmo da ritmo.
E’ che ho dimenticato quando quella crepa e’ nata, quella crepa si e’ allargata e nel fragore di specchio caduto, innumerevoli scaglie sbriciolate, forse non troppe se ho saltato, calpestato, giocato e gioito sui cocci e se di se’ stessi non si butta via niente, di frammenti ho ricomposto la superficie, di schegge ho martoriato le carni, di sangue ho venato congiunzioni lucenti e ho riso fortissimo, pazzo ho danzato e infine ho rimesso ogni cosa al suo posto e innanzi milioni di nuovi me, minuscoli pezzi che non compongono intero ma l’amplificano in corpo infinito, infinito potere, infinito pensiero, illimitato, illimitato, illimitato e forse non vedo piu’, forse non riconosco piu’, forse non distinguo piu’ ma ascolto, maledizione quanto so sentire in questa stanza piena di luce, piu’ stelle di trilioni d’universi perche’ luce e’ suono, movimento e’ ancestrale rito del quale posseggo conoscenza e ricordo, ora ricordo, so e ricordo.
Da qui si riflette l’infinito niente, sopra, sotto, dietro e attorno ad unico centro e sono dentro, sono fuori, sono ovunque e la vista toglie il fiato laddove persino scudi appaiono micidiali spade e gola piegata, urla di coraggio e forza e la verita’ corre di frammento in frammento e non si ferma, non mi fermo, nulla si ferma.
Quanto dura, da quanto non riposo, per quanto posso ancora mantenere sguardo incantato ed illuso se un giorno mi ritrovero’ in un solo minuscolo punto di luce incapace di lasciare segnale oltre propri confini, oltre un lascito sprecato, al di la’ di una verita’ che inutilmente so essere assoluta ma sempre piu’ se deve essere congiunzione io stacchero’ queste mani dalla terra e anche se non saranno ali, almeno saro’ libero.
Pioneer of aerodynamics
they thought he was real smart alec
he thought big they called it a phallic
they didn’t know he was panoramic
little eiffel stands in the archway
keeping low doesn’t make no sense

Taglio mai netto

Ho sentito il fiume deviato dal suo cammino, greto dimenticato ed ora immacolato, acqua di origine nota e destinazione sconosciuta, percorso in qualche modo piu’ triste e desolato.
Perche’ lo so e’ mistero, cosa dedurre da poca schiuma sopra arrotondate rocce e’ parola detta piano da non svelare anche quando segreto e’ attraversare del tempo, nozioni da imparare, crescere e non fermarsi al dolore del tramonto, arrendersi all’inevitabile ciclicita’ della vita, dell’esistere e ancora un passo a salire su scala d’umano avvicendarsi, metro in avanti verso valle e comunque spostarsi ciechi ed impauriti, trascinarsi, trascinati, viaggio senza movimento.
Forse ho spostato io quel fiume, certo ho spostato io quel fiume e cosa sarebbe accaduto non facendolo, il mare, dove sarebbe stato il mare, quali acque mescolate a quali, frutti, semi, alberi di strane radici, altri senza a navigare su nervosi flutti ma incombente fine come costante ed imprescindibile destinazione.
Uccidere sorriso e’ bestemmia contro umanita’ tutta e condanna esemplare e’ libero osservare orizzonte declinare in nero silenzio mentre alle spalle passato si disintegra in nomi indistinguibili tra loro, lacrime ammassate come carta fragile al tocco, quindi sto pagando, sconto pena tra note dolorose di sassofono senza speranza e senza cuore se cuore muore giorno per giorno tra distanti rive di terre inutilmente esplorate.
Forse non so, cerco perdono nella confusione di acque comunque possenti malgrado colore non piu’ cristallino, troppa terra trascinata negli anni, troppe piogge gelate come frustate che sola mia schiema merita se alla fine nessuno vince, nessuno perde, tutti sopravvivono come possono e nulla e’ come doveva essere, tutto e’ meglio, tutto e’ peggio, tutto e’ diverso, tutto ha dolorosi spigoli e non e’ il male in se’ quanto la domanda che a stento esce da labbra secche ed inutile e’ guardare verso occhi miei bruciati da troppo buio.
Poter versare una canzone nel bicchiere di miglior cristallo certo non basta ma e’ tutto cio’ che so fare, e’ unico inutile merito di mani che non sanno vedere, solo rudemente afferrare e strappare e frantumare e giustificare l’innecessario come universale legge, come verita’ che sa di triste mondo reale in un desiderio frantumato.
Sail on silvergirl sail on by
Your time has come to shine
All your dreams are on their way
See how they shine
If you need a friend
I’m sailing right behind

Segni dentro la mente

Stanotte sin troppo disprezzo indossa abiti dell’oggi per non cadere nella voragine di musica che continua a conoscermi, a salutarmi con una carezza e forse e’ vero essere unico tocco che ormai so accettare, sole labbra di lingua nota, pugno che ancora fa male e sangue vermiglio non mente, non mente mai.
Istinto e mani nervose volano verso sigarette gia’ bruciate, fumo che ancora annebbia occhi arrossati in cerca di autunno mai terminato eppure spaventosamente lontano, mutazione, mutazione e trasformazione, forse crescita o abitudine segnata da solchi non ancora marcati ma inesorabili come fuoco che scava immobile superficie della terra, cristallizzando sabbia, evaporando acqua, incenerendo cio’ che incolpevole vive.
Si faccia avanti quel mare, piu’ vicino oggi di allora eppure sempre piu’ irraggiungibile, guscio di un sogno che non deve essere realizzato perche’ carne soda e compatta di corpo che non s’arrende e non vuole guardare, non vuole vedere, non pensa, non pensa e tutto e’ grigio e tutto e’ rosa e tutto e’ campo verde su fresca montagna, ruscello che ancora non so fermare, mani gelate e bagnate nella conquista di minimo comune denominatore che gia’ conosco e senza vanto posso solo regalare, senso univocamente determinato in un tutto fare ridotto a scelta giusta, quella almeno giusta si.
A volte e’ strana rivelazione, altre bisogno di regressione salutare e benefica, cibo dal gusto acerbo che porto lentamente alla bocca come ultimo pasto, nutrimento che sa di fine e immenso, di dono dovuto, di meritato inno a tutto quanto abbia un senso definibile ed ammirabile in un’arte che non si sa bene cosa, che non si sa bene come.
Ansia da accontentare, nuove scoperte, perfezione rivelata ad occhi chiusi quando gioco si confondeva col cielo e con le stelle, plastica tecnologia di un cosmo che ritenevo immenso eppure tra le finestre l’oggi e il domani, germinato seme, preludio ed epilogo, forse definitivo punto a tutte le frasi ancora da scrivere, ancora da costruire.
There ain’t no communication
but I’m trying to make it
There’s a world of gloss and I’m trying to break it
With my tiny little hands I’m building castles in the sand
I’m only one of the Lost generation

Il vero soffio

Cielo bianco, compatto m’ignora mentre penso a un po’ di tutto, mentre questa terra sfiora senza calore eppure avvolgente e nel mentre percepisco separazione di individui a loro volta scollati, percentuale di trasparenza variabile, nuovi fantasmi, nuovi uomini stratificati nel tempo,futuro  infinitesimo eppure irrinunciabile in cosmogonica logica che idea sola di Dio puo’ far accettare e comprendere e’ rifutare, cancellare, eterno ridotto a ectoplasmatico serale televisivo.
Guido perche’ in fondo e’ raggiungere qualcosa, qualcuno, avvicinarsi se medesimo allontanarsi sopraggiunge ed e’ cosi’ freddo il volto al tocco, talmente algide le mie mani e lontane e asciutte e desiderose di cio’ che gia’ possiedono ma consapevolezza e’ pericolosa, speranza e’ certezza, piccolo brivido elettrico e velenoso, droga ed illusione a pagamento di rinuncia mai del tutto attuata.
Come supplica irrompe compassione e tenerezza, sentimenti di celeste colore e odio quel cielo bianco che tanto rimanda a fluido mio sangue e bramo cessare esistere, indegno ed inutile, soppiantato da storia e uomini, palesemente fuori contesto tra chi ha accettato ruolo e in esso ha significato e ragione.
Vivere vergogna di non vedere con altri occhi, non riflettersi in disagio sconosciuto, coraggio, mancanza di coraggio per sopportare peso di pianeta da edificare, modellare e in quella che appare corsa obliqua, inutile, inutile, inutile.
Cio’ che aleggia non e’ arroganza, e’ umile nullita’, spiacevole ammissione in dolorosissimo minuto nel quale vorrei stringere ed accarezzare, consapevole del donare fortificante acciaio e ricevere verita’ assoluta, unica possibile, la sola necessaria in cio’ che rende tenera comunque ignobile notte e quando raggelato resto nel mio bianco indurito cielo e inseguendo quel profumo eterno di lavanda, sprofondo ancora un poco nell’inutile profondita’ del nulla condurre, dell’osservarsi aliena sostanza in luogo d’altrui materia, di significante oblio.
Say hello on a day like today
Say it everytime you move
The way that you look at me now
Makes me wish I was you
It goes deep
It goes deeper still
This touch
And the smile and the shake of your head

Viatico

Anno 2050
Un treno lontano corre veloce, fischio fantasma a smarrirsi. Piove, un poco piove, poi smette, si smette. C’e’ freschino, il tempo sta cambiando e senza accorgersene il verde degli alberi pare cantare dopo piacevole risveglio. Lampi lontani e l’estate saluta con ampi gesti grigi chi ha voglia di guardare, di uscire innanzi a un mondo che non ha la minima intenzione di fermarsi.
In fondo perche’ mai dovrebbe farlo?
Anno 12432
Un albero cresce, un albero muore, un altro viene tagliato. La citta’ e’ lontana, caldo cibo vicino, punture di rosso tinteggiano la terra, strisce multicolore rigano il cielo ma fredda atmosfera sovente sorprende ed inganna.
E’ giorno che sembra non finire mai, e’ benedizione libera di volare, ali portentose come mai viste prima.
Anno 7045
Strane luci la’ in fondo ma e’ tutto normale, e’ sempre tutto normale. Tende bianche resistono all’imbrunire ma  battaglia e’ persa, e’ susseguirsi delle cose, e’ irrefrenabile onda di migliaia d’altre, milioni forse, equilibrio immutato, acciaio, roccia e oceano indistinguibili tra loro, meravigliosi e possenti seppur soli, abbandonati ma stoicamente integri in riflessi ed intenzioni.
Anno 2024
Grandi piedi pestano brulla terra; ora il frastuono e’ terminato. Da qualche parte bisogna iniziare ed osservare attentamente puo’ essere inizio. Il lago forse non c’e’ piu’, ma la sua acqua e’ ora vapore, presto nuvola, poi energia, infine tavola imbandita di lauto pranzo gratificata e ancora occasione per sedersi ed aspettare
Anno 187633
Vola, si vola. E’ esaltante, e’ divertente, e’ nuova rinascita.
Il mio desiderio e’ esaudito: posso vedere.

Di-nologo

Qual’e’ la canzone del tuo giorno? Tante diverse lo so, ma gli accordi, si gli accordi cosa ispirano, a che luogo conducono? E la testa, quanto fa male aprire gli occhi oltre il necessario oceano di desideri rigorosamente irrealizzabili, tenacemente silenziosi, umili quel tanto che basta per spalancare occhi increduli innanzi al deserto di carne e cemento, scivolando irrequieti tra inutili discorsi e grigi fallimenti quotidiani ed inevitabili.
Voglia di dormire, voglia d’imparare, studiare senza leggere, senza pesante leggerezza di inutili parole vicine per inerzia, per denaro, per politico spiegare un mondo sempre diverso o sempre uguale solo quando non serve, mentre non e’ necessario, elettronica, elettronica, elettronica salvezza di suoni remoti e dimenticati, inutilmente immensi, palestra d’antica ed inutile foggia laddove statico e’ virtuoso e dannoso e’ trasgressivo.
Piccolo theremin, sintetico spaventoso amico, che sia tuo quel giorno tanto agognato, se fosse in te principio e fine, diritto e dovere di qualcosa che per forza cerco ed evito, montagna imperscrutabile e angoscia montante come fitto bosco all’imbrunire, raggi di stelle che non sanno scaldare, soltanto indicare possibile salvezza, forse alternativa fine.
E la mia, si la mia canzone oggi non ha melodia, irriconoscibile tracciato e note come inutili macchie nere su foglio rigato, piu’ silenzio che onda, come fischio che si perde nell’impossibile della notte, nel copioso sudore che impedisce dormire, nella solitudine che mi domina e separa dalla voglia di umanita’ e nulla mi giustifica, forse lamento patetico ma sincero puo’ raccontare, puo’ servire, puo’ aggiungere pezzetto grigio di grigio ritratto svelando grandioso sfondo con minuscola figura indistinta e sfocata sulla quale e’ inutile strizzare gli occhi, comporre versi e giudizi.
Per il resto non so, quanto resta non e’ piu’ qui, cercare oltre, proseguire, proseguire, la via e’ scorrevole e ben illuminata ma oltre, oltre queste colline, lontano da nebbia ed erba tagliata, nel laggiu’ eccessivamente lontano per chi imprigiona canzoni nel cuore, per chi confonde accordi con aria da respirare e respirando fa di questo esistere.
Dico del mio silenzio indiano
un dialetto di lontani specchi
e nuvole parlanti, e’ cosi’
che scrivo io…

Nero stendardo

Lento, lento, lento, lentissimo, bavosa traccia alle spalle del tempo che passa scivolando in fessure sporche, forse inventate, forse annoiate in dormire senza sogni, catalessi che somiglia ad incubo di nebbia e nulla a sostenere realta’ apparentemente liscia, invero carica di bigio vuoto che ferisce ed atterrisce.
Lento, lentissimo, caparbio procedo, nell’ombra osservo, non commento, leggero disgusto, combinato sguardo, consolazione minima solo augurata, bramata senza alcuna convinzione e come automa rispondo a misteriosi comandi dettati da necessita’, compulsivo restare, silente permanere come sopportazione meritata, fio da espiare in silenzio e sottomissione, ribellione rimandabile a tempi migliori e piu’ consoni.
Rientrare combattendo tra sonno e jazzata chitarra perche’ qualcosa ancora non torna e ben piu’ di una domanda attende risposta, nel muoversi che non sento avvicinarsi o lasciare ancora piu’ indietro e quanti inutili tentennanti e fragili sguardi oltre torbida parete, illudendosi che solo li’ vi sia limite vero, timore di solitudine edificata oltremodo spaventosa, consapevole non sia crescere ma invecchiare, attesa di punto di rottura dal quale non tornare, non tornare piu’.
Leggo disappunto, leggera condanna, diverso giudizio racchiuso in cacofonico vento e non v’e’ rifugio nella spaventosa stanza degli incubi colma di malattia e aria nucleare, non c’e’ posto tra fiati imponenti di film lontani, non so raggiungere quel mare ai cui piedi riposano barche colorate e castelli distrutti di pietra comunque eterna e in ogni luogo lontano rosso sole morente, gorgo di tempo e spazio comunque fine degna e ben accetta perche’ se morte separa e amplifica distanze e valori, cosmo ridotto a battito di ciglia e’ pura poesia di materia ed energia, e’ rivincita assoluta del niente sul tutto, maledetto dna inutilmente sparso, perduto e infine troppo tardi ritrovato, walzer ultimo cadenzato da timpani possenti che realmente ci vedra’ felici e abbandonati nel bianco calore di un fuoco infine nostro, nostro davvero.
Shades of night fall upon my eyes
Lonely world fades away
Misty night, shadows start to rise
Lonely world fades away

140×3

Circospetto e curioso, ambiente di luci al neon, pareti immacolate e strana atmosfera, sorta d’iniziatico spazio leggermente fuori luogo, remota appartenenza, saluti tesi, tesi movimenti piccoli e contratti, indecisione bagnata di solennita’.
Figure sbiadite su pagine sigillate ed ecco guida e maestro, parole dette piano per non farsi troppo sentire, per non essere giudicati in eccessiva fretta, per imparare e non farsi notare fluidificando tra fessure e discorsi, tra sorrisi e conoscenze, lenta azione d’indefinibile importanza, di futura rilevanza.
Qualcono smise d’entrare, altri ridevano forte, banale sarcasmo, arroganza di chi non sa, di chi non s’evolve, di chi ritiene sbarre d’acciaio legno robusto e s’accontenta di ferrose schegge illuse in oro ma se saper soffrire e’ dovere, se saper capire e’ paio d’ali, se suolo non e’ polvere ma granito allora e’ lunga strada ma di fine vicina, lampioni illuminati di rossa brace, vento sempre caldo persino nel solitario inverno quando aria e’ premio nella fine dell’indecisione, in luna nuovo sole di notte non piu’ tenebrosa, non piu’ oscura, solenne e maestosa, qualcosa che inizia e non finisce.
Facile tramutare ore in anni e anni in forza e forza in sincretica forma, equilibrio inaspettato, inaspettato avvenire, curioso voltarsi ed osservare e risposte a precedere domande, distinguersi infine per cio’ che si e’, per coraggio scritto su prominenti vene, nell’alzare braccia e gettare senza raccogliere, non elemosinare occasioni ma creare montagne.
Quanta energia afferrata e bevuta come delizioso nettare, incapace di pensare ai mutamenti perche’ non so piu’ ricordare cio’ che non sono stato, svaniscono le azioni non compiute e come fugace visione e’ in me il male che non e’ entrato, il dolore non vissuto, giorno infinito e pallido sepolto da possenti lampi, tempeste vigorose e abbagliante astro in cristallo e brezza fresca come nuova vita che nasce perche’ nuova vita e’ davvero nata prima di farmi cenere, prima d’abbandonarmi a scontata rassegnazione di tempo invincibile perche’ guerra da perdere e’ una ma battaglie vittoriose infinite.
Silence in the darkness creeps into your soul
Envy moves the light of self control
The gate that holds you captive has the door
Burnin’ with determination to even up the score

Piacevoli fluttuazioni

Posso non guardare le mie mani se pensiero analizza spazi e volumi con chirurgica precisione, con mai assopita passione e sorrido osservandomi dall’esterno di anni trascorsi a percorrere nazioni e continenti, cavalcare atomi ed onde energetiche, velocita’, velocita’ oltre lentissima luce perche’ si puo’ andare oltre ogni luogo si desideri.
Allontanarsi e non importa quale sia il ritmo, irrilevante direzione, irrisoria intenzione se spazio curvo non si piega in piani perfetti che perfetti poi non sono mai e occhi s’ingannanano, occhi s’illudono, occhi sbagliano tutto e cosi’ chiudo fuori luce a lascio scorrere potenza e sangue perche’ so esattamente cio’ che faccio, incondizionato riflesso di nuovo respiro, diverso ma necessario, da tempo inusitato ma invero atteso e voluto.
Ebbene viaggiando e viaggiare, allontanarsi e senza rendersene conto tornare, senza un perche’ gioia ed e’ gioia meritata, bramata come impossibile conquista quando gia’ stava in ogni giorno minuto, essenziale ed in questo banale, sottovalutata ipotesi di felicita’, di semplicita’, fuga dovuta ma sbagliata, voluta ma impropria ma non importa, no non importa piu’ se pelle e’ calda da vasca bollente, pancia piena di ottimo cibo, morbido cuscino sul quale smettere di nascondersi e riprendere discorso lasciato a mezz’aria in balia di finestre aperte e correnti gelide.
Con delicatezza appoggio vile materia ed e’ spostare diamante nell’esatto solco pronto ad accoglierlo lasciando statici frammenti a riportarmi laddove imperfezione e’ brivido, quando cuore regala battiti ad altri contatti, altri racconti di vite lontane e vicinissime, altre canzoni che incontrollabili prendono possesso dei brividi in attesa d’evocato richiamo, raccolta preghiera che il mio Dio sa accettare e benedire.
E’ piccola realta’ in immensa fantasia ma so buttare logica alle spalle, so ascoltare sinfonico eco seppur concluso e di certezza far ipotesi perche’ altrimenti e’ fermarsi, alternativa e’ oblio.
C’e’ una porta che rimane aperta
per sentire ogni rumore
per un’altra soluzione incerta
tuo senza rancore.

Cio’ che e’ noto

Ogni mattina una partenza in strana contrazione di tempo e spazio, kilometri come centimetri come siderali micrometri in impaziente mente, assenza di causa effetto, dopo distante un gioco, un sorriso, in attesa di gioia dovuta ed irrinunciabile quando irrinunciabile era assoluto.
Illuminato da sole rovente, nessuna fatica, nessuno sforzo nel rito di mistico inventato e da inventare, accettare quanto accade col sogno di chi ignaro dorme e confonde differenti piani di realta’ mentre asfalto vivo si snoda di serpente affondato nell’azzurro, ripido e spaventoso scivola tra rovi e terra brulla, terra in fiamme, giallo e marrone nel preludio di bianche case, donne nere, nerissime, strana umanita’ alla quale eppure appartengo molto piu’ di quanto vorrei, gente che dimora in guscio di noce nel poco piu’ che primitivo, scomparsi ricordi, atemporale saluto e ricordo sfalsato nei racconti di chi educa, di chi insegna, di quanti non sanno, non capiscono, non si rendono conto.
Redentore nelle note, mano di Dio benevola e gentile se arrivare e’ qualcosa di piu’ di fermarsi e prendersi con forza la vita, se toccare terra e correre e nuotare e inventare e ascoltare e imparare resta immutato e fortissimo, secondi da contare perche’ secondi che contano, perche’ respirare aria tersa ovunque occhi chiusi conducano puo’ essere immenso privilegio, esperienza d’indicibile potenza quando valore del giorno che finisce si misura in lampadine accese, mani gelate, fotogrammi sempre piu’ noiosi, sempre piu’ distanti.
Paradosso di quanto non ha sapore, non piu’ eppure un tempo sale e cuore, energia che muove e agita pensieri malgrado disprezzo e giuramenti, stanchezza e disgusto di luoghi che non ho saputo comprendere, di gente invero compresa benissimo, rimanendo aggrappato a mancanza di nostalgia, forse un ritorno, minuscola voglia d’inconsapevole immortalita’ in luce bassa, sottile respiro, stelle oscurate in tetra anima.
Then I was inspired, now I’m sad and tired
After all, I’ve tried for three years seems like ninety
Why then am I scared to finish what I started
What you started – I didn’t start it