Come al tramonto, stagliarmi contro il sole e carpirne colore e forma.
Dominare la fine come preludio di un nuovo inizio e osservare le mutazioni, fugace incedere di una emozione.
Ora non canta nessuno ma questo e’ il tempo della quiete.
Lasciate che cessi, avanzi il crepuscolo, datemi riposo…
Semplice superficie
Quando tutto sembra uguale, mentre la strada non ti segue piu’, nel mentre in cui l’aria diviene cemento, eccola fluire negli anfratti lasciati vuoti da troppo silenzio.
Vorrei vivere dove lei vive, al mattino lasciarmi inghiottire dalla grigia tundra al di la’ del vetro coperto di vapore, inseguire il respiro tra rocce che ancora sanno di creazione e sprofondare nella rugiada ghiacciata.
Da qualche parte esistono case in legno fiancheggiate da alberi nobili e imponenti, vi sono luoghi dove il sole non ha potere e tantomeno la notte, luce iridescente che scava, rivela, mostra pozze di acqua grandi come laghi in cui non e’ possibile mentire, dove non si fugge, non si prega.
So che in quei luoghi sono nato senza viverci, a volte li’ muoio senza dolore e se mi mancano quelle rocce, quelle acque, quelle luci, proprio in quel momento so di essere arrivato…
all that no-one sees
you see
what’s inside of me
every nerve that hurts you heal
deep inside of me
you don’t have to speak – i feel
emotional landscapes
they puzzle me
confuse
Passaggio inesorabile
Sprofondare in cio’ che e’ stato, a volte sembra affogare.
Leggere storia che appartiene, essere stato li’ quando avveniva e sentire di appartenere a qualcosa.
Ero giovane, ero in un posto non mio, tra gente diversa, spaesato ed entusiasta.
Grigia periferia tra treni e autobus, terra incognita, un po’ di timore, tanta eccitazione.
Poi la pioggia, poi tanta gente, poi confusione, poi…
… il resto non conta, ero li’ ed era la sola cosa che importasse.
A pensarci ora quell’anno cambio’ tutto e lo fece per sempre e non so in quale direzione.
Solo un mese dopo e cosi’ tanto diverso…
Che anno terribile fu ma fondamentale, necessario, dolorosamente presente.
E’ che a volte sento ancora il bisogno di comprendere, di sapere se e’ stato giusto cosi’, se ho meritato o sub
Fiamme libere
Questa notte ricorda quelle di tanto tempo fa, quelle notti in cui era quasi magico il solo respirare.
Notti tranquille perche’ il giorno era tranquillo e il giorno era tranquillo perche’ pieno di cio’ che serviva, nulla di piu’ e nulla di meno.
Ci sono notti in cui il giorno passato ha regalato qualcosa e forse il successivo fara’ altrettanto, notti con un silenzio capace di avvolgerti e l’aria, l’aria si muove lenta e sinuosa, danza tra i rami spogli e ogni cosa vibra piano, ondeggia con grazia sotto l’egida della luna piena.
Guardarsi attorno e comprendere che queste notti non sono nell’aria ma nell’anima, in quella zona posta tra cuore e cervello, tra i pensieri e le emozioni, tra i bisogni e i desideri, a cavallo della gioia e la tranquillita’, nel centro esatto dell’esistere.
Non mi domando perche’ tanto rare queste notti, a che serve in fondo.
Sono gemme preziose sul fondo di un fiume pietroso e non ci si chide il perche’, si raccolgono con un umile grazie.
Say goodbye on a night like this
If it’s the last thing we ever do
You never looked as lost as this
Sometimes it doesn’t even look like you
It goes dark
It goes darker still
Please stay
But I watch you like I’m made of stone
As you walk away
Blu color vita
L’aria dopo la tempesta e’ davvero diversa.
Tutto e’ giusto, tutto e’ corretto, tutto e’ pulito, tutto risplende di vividi colori.
Un temporale e’ forse la terra che si permette di dire basta, che spurga dolore e sfoga rabbia.
E’ il sorprendere le piccole cose sottostanti con la potenza del rancore e della stanchezza, e’ l’urlo per riappropriarsi di un equilibrio prima interiore poi elettrostatico.
La tranquillita’ come la felicita’, e’ piu’ concetto che status; ragione d’essere nell’istante in cui avviene, ambita meta in tutti gli altri.
La tranquillita’ come la felicita’, hanno senso nell’assenza, vivono di desiderio e speranza, di ricordi e sospiri, di passato e futuro, mai presente.
So solo che i suoni si fanno ovattati, le parole meno fluide ma piu’ importanti, i pensieri si diradano aprendo cammini nuovi, nuovi posti, il blu vira nello smeraldo e c’e’ un po’ piu’ senso, un po’ piu’ equilibrio.
Attendo il nuovo movimento ma intanto riprendo da qui.
Non chiedo altro…
Dragonfly out in the sun you know what I mean, don’t you know
Butterflies all havin’ fun you know what I mean
Sleep in peace when day is done
That’s what I mean
And this old world is a new world
And a bold world
For me
Strati di foglie leggere
Amo certi film in cui l’umanita’ e’ la stessa solo un po’ piu’ strana, un po’ piu’ bizzarra.
Gente che non esiste ma che potrebbe essere, gente che vive in luoghi con strane dislocazioni spaziali, dove il filo del telefono e’ lungo decine di metri, dove le case sono sempre linde anche se nessuno le pulisce, dove i pugni non feriscono e le parole non uccidono.
C’e’ musica in sottofondo ed e’ la musica giusta, c’e’ sempre sole quando le cose vanno bene e c’e’ pioggia a tre quarti dalla fine quando gli innamorati si lasciano per poi riunirsi nel finale.
Le auto scintillano, le donne ammaliano ma non eccitano, gli anziani non sono vecchi, i cani sono intelligenti come bambini e i bambini disquisiscono sulla vita come filosofi.
Nessuno muore e se succede si fa con gioia, perche’ cosi’ deve essere, perche’ cosi’ e’ il ciclo della vita, il trascorrere delle stagioni.
Non si ride mai ma si sorride tanto e va bene cosi’ perche’ talvolta si e’ stanchi di risate sguaiate e pianti a dirotto, certe volte e’ bene immaginare un mondo senza fuliggine, un cielo senza nuvole, una notte senza incubi.
I reached inside myself today
thinking there’s got to be some way
to keep my troubles distant
Touch me
how can it be
Believe me
the sun always shines on TV
Fumo sospeso
Aggrappato ai piccoli piaceri dell’ozio, scopro di sapermi arrestare talvolta.
Il gusto sta nel poter scegliere, nel sapere di ricominciare, nello scorrere dei minuti, buttandoli senza sprecarli.
Dilatare le sensazioni a conservare come menta sotto la lingua l’immobilita’, mentre il resto ancora corre.
Regalarsi tempo quando lo abbiamo sperperato per pagarci ombrelli di carta e fegati dilaniati.
Illudersi di poter eliminare le cataste di libri ancora da leggere, di smaltire centinaia di ore di film in dischetti argentati, di scrivere e descrivere ogni piccolo particolare vissuto, anche se non frega a nessuno, neppure a me.
Ho decine di ricette da provare, migliaia di siti da visitare, terabyte di software da testare, programmi da scrivere, oggetti da catalogare e faro’ tutto, tutto questo per domani.
Non importa che nulla sia vero, e’ lo stesso che niente cambiera’ ma il tempo serve anche per illudersi, dona opportunita’ per ingannarsi e una volta tanto, scegliendo coscientemente di farlo.
Ora ti sembro pi
Cornice del forse
E’ come se fossimo partiti tutti con tempo e risorse limitati affinche’ si potesse realizzare il meglio possibile, quanto fattibile, tutto lo sperabile.
Poi c’e’ sempre qualcosa che mette fine alle infinite opportunita’ e dove si e’ si e’.
Eccoci quindi adulti e in un secondo il tavolo da gioco muta in qualcosa di inedito e diverso chiamato -fai il meglio con quanto possiedi-
Non e’ peggiore del precedente, solo diverso.
Non e’ vendere l’anima, e’ semplicemente sostituirla con una nuova.
La nuova ricorda la vecchia e la vecchia arranca ogni tanto sulla superficie pretendendo ricordo e rispetto, tolleranza e nostalgia.
Succede che qualcuno non acquisisca mai la nuova anima e altri non ricordino la vecchia e cio’ e’ innaturale, straziante, doloroso, molto doloroso.
Tanti ne soffrono, molti non comprendono il disagio, le voci che non fanno dormire, l’incessante bisogno di qualcosa, la fame di esistere che non sazia mai, non soddisfa mai, impaludati in giorni eccessivamente intensi per non pensare, per non voler capire forse.
Andare avanti, che altro mai, cos’altro resta e consolarsi, se consola, di essere comunque vivi, solo un po’ diversamente.
L’uomo che regalava canzoni
L’uomo che regalava canzoni non sapeva comporre. Si accontentava di vagare attorno ai suoi soli come un pianeta arido. Non conosceva alcun accordo eppure nessun accordo gli era sconosciuto.
L’uomo che regalava canzoni quando regalava canzoni riceveva solo dei grazie e nessun sorriso.
L’uomo che regalava canzoni andava spesso sul suo balcone e respirava aria fresca. Oltre le colline il sole si spegneva e non sapeva che pensare. In quel momento c’era sicuramente qualcuno che guardava quel sole sorgere ma questo non lo consolava. Non provava tristezza o solitudine eppure non riusciva a cavalcare quei raggi pieni di vita.
L’uomo che regalava canzoni piangeva poco ma quando lo faceva le lacrime gli bruciavano il volto come colate di piombo. Egli non lo faceva vedere eppure non si nascondeva. Come un bambino andava nell’angolo piu’ lontano della stanza e aspettava che qualcuno venisse da lui e quando nessuno veniva chiudeva gli occhi e si immaginava un nuovo gioco.
L’uomo che regalava canzoni era pesante ma un tempo correva piu’ veloce di un levriero. Aveva un bellissimo paio d’ali ma ormai non sapeva dove volare e branchie per le profondita’ piu’ oscure, ma non sapeva che farsene mentre sguazzava nella pozza in cortile.
L’uomo che regalava canzoni sognava laddove gli altri ballavano. Un tempo era stato in quei luoghi e gli erano piaciuti. Ricordava feste e danze. Ricordava viali alberati con strade misteriose e suadenti. Aveva percorso quelle strade ma era diventato stanco e si era fermato sotto un pino, uno dei piu’ alti e possenti ma questo non bastava a proteggerlo dalla pioggia e dal freddo.
L’uomo che regalava canzoni aveva nelle scarpe un ritmo tutto suo.
Lo zio Agostino
Ognuno ha in famiglia uno zio Agostino.
Lo zio Agostino si fa vedere durante le feste e le grandi occasioni, sempre perche’ invitato, mai per sua iniziativa.
Dispensa grandi sorrisi di circostanza e fa pesare il suo non volerci essere con ogni movimento del suo corpo.
Parla lentamente, cadenza le parole esprimendo solo concetti di base, riducendo l’interlocutore a un minorato mentale dopo pochi secondi.
Le donne di casa sono le uniche a cercare un varco nella perfidia, sforzo sempre vano ma dovuto, affinche’ la natura materna abbia sfogo e compimento.
Gli uomini no, non ignorano ma parlano tra loro, con voce stentorea da farsi sentire e perche’ no, sperare di coinvolgere, magari sulla propria linea di pensiero.
I bambini odiano lo zio Agostino.
Egli li ignora con la forza dell’intolleranza e loro lo sentono, lo percepiscono ma peggiore e’ il contatto diretto ove lo zio ti osserva con lo sguardo piu’ ironico e falso che possiede, mostrando un’accondiscendenza viscida e unta, generata dal fastidio piu’ totale.
La sua voce diviene sciroppo marcio che scivola nelle orecchie, blocca ogni tentativo di interazione successiva, crea disagio che in giovane eta’ muta presto in timore.
La vera potenza dello zio Agostino e’ invero a tavola.
Nessuno lo ha stabilito ne’ deciso ma sempre suo il primo piatto, portato dalla donna piu’ anziana.
Egli lo osserva fastidiato, solleva lentamente la forchetta. Il silenzio dura un istante ma il peso specifico e’ altissimo. Assaggia.
Lo zio Agostino ha un suo metro di valutazione espresso in ordine inverso dai comuni mortali.
Cio’ che adora viene liquidato seriamente e fastidiosamente con affermazioni perentorie del tipo “manca sale” oppure “la carne non e’ buona”.
All’opposto, quando non gradisce qualcosa seppur estremamente raro che avvenga, il sorriso si fa enorme e carico di pieta’ come a dire “ti perdono perche’ non sai quello che fai”.
In mezzo milioni di sfumature, di parole, gesti, sorrisi.
A questo punto si scatena il dibattito, per consolare la/le donna/e artefici della pietanza, ridotte ormai a cumuli di depressione.
Grande solidarieta’ dalle altre donne, capaci persino di rimbrottare verso lo zio Agostino sempre pero’ con tono materno, indulgente e un poco sottomesso mentre gli uomini si dividono tra il pro e il contro, a maggioranza pro anche se con estrema cautela, con pacatezza e una sottile ricerca di complicita’ del tipo devodareragioneallamogliemalapensocomete.
Tutti sanno che lo zio Agostino adora quei piatti, ma come un grande libro o un grande film di cui conosciamo gia’ il finale, ci si fa comunque trascinare nella finzione come fosse vita vera, perche’ lo zio Agostino sa condurti nel suo gioco ammaliatore e raffinato.
Lo zio Agostino non esprime mai altri giudizi, solo al commiato rilancia con tutti i denti possibili i complimenti alla cuoca ed e’ qui che la confusione si fa grande, nasce il dubbio che davvero non abbia gradito e come un getto di acqua gelata, sferza le volonta’ a fare ancora meglio la volta successiva, dimenticando che il meglio e’ gia’ stato raggiunto e che la perfezione e’ solo un gioco dell’anima.
Da tanto tempo lo zio Agostino non c’e’ piu’ e ambisco prenderne il posto.
In parte riesco; i bambini mi temono, le donne tengono per me il migliore riguardo, gli uomini bendispongono ma in cuor mio so di non possedere la dosata cattiveria, il sano cinismo, la regolata crudelta’ e non per ultimo, l’essere un figlio di buona donna al punto giusto.
Con gli anni miglioro, cresco di abilita’ ma lo zio Agostino e’ inarrivabile, lo zio Agostino e’ assurto al ruolo di leggenda, lo zio Agostino e’ unico e immenso.
Ciao zio Agostino, sarai sempre il piu’ grande.