Qualcosa striscia tutt’attorno e non so ancora cosa sia.
Qualcosa si muove da tempo, non ho percepito la partenza e questo mi urta.
Tra non molto chiudero’ gli occhi e non mi piace pensare sia una via di fuga, un’alternativa e non cantuccio buio.
Mollo tutto, smetto di scrivere e mi tuffo in qualcosa e non importa cosa.
Non e’ neppure sentirsi giu’ e nemmeno stanco; e’ la fastidiosa sensazione che non tutto sia sotto controllo, e’ l’ombra di cio’ che non si trova al suo posto, l’alone sfumato di controluce indefinibile nel contrasto.
Vorrei comprendere se desidero spegnere o accendere uno degli interruttori o solo guidare la mano al giusto controllo.
Poi un eco, piu’ sussurro che suono e un pensiero: non farai in tempo.
Cosa non faro’ in tempo, esiste l’irrinunciabile o irrinunciabile e’ quello che non si puo’ fare?
Il peso non e’ massa, il peso si definisce nella gravita’ e senza e’ trascinarsi di numeri senza significato, numeri orfani di base, astrazioni, sintassi senza linguaggio.
Perdo tempo quando dovrei spenderne e se vedo limiti allora abbatterli, abbatterli, altrimenti perche’ essere qui…
And it’s something quite peculiar,
Something that’s shimmering and white.
Leads you here despite your destination,
Under the Milky Way tonight
Contemporaneamente
Oggi e’ freddo davvero e sento il tempo fuggire via…
…mi sento non felice…
Ti parlo di frammenti, briciole d’esistenza e di cio’ che dovrebbe essere, racconto non senza un briciolo di malinconia del miglior mondo possibile, di una vita che malgrado tutto e’ poesia anche se non e’ quella immaginata.
C’e’ un pensiero detto piano, il desiderio di qualcosa tenuto a freno dal freddo di tutti i giorni e girarsi un poco per dirsi almeno ci sono.
Piccoli rimpianti su qualcosa che non avrebbe potuto essere, destino giusto ma sfasato nel tempo e in fondo va bene cosi’; poteva divenire orrendo mentre ora e’ solo in ritardo.
Sorrido e un po’ mi arrendo nel farlo ma non smetto di pensare, di volere un modo per indietreggiare le lancette avanzando nel contempo.
Lampi repentini sembrano quelli giusti e ancora non li afferro.
Veloci ma inizio a comprendere la direzione, il movimento, lo schema di fondo ed e’ li’ davanti e non manchero’ la presa al momento giusto.
Questa e’ la forza che serve: il resto e’ tempo inutilmente sprecato.
Running all my life
Running all my day
Running through the night
Seems like forever
Take me now
I’m so tired
Take me now
This time, forever
Diamante
Poco al mondo e’ piu’ radioso ed esaltante di un oceano di archi e fiati su un 4/4 martellante e sei corde elettriche.
La grancassa demolisce i bassi e attorno, un poco piu’ in basso, nascosta ma esaltante la Fender.
Un sussulto, quattro battute e trombe ovunque, ottoni esplosivi che stordiscono, bulldozer apripista per un esercito di violini li, proprio li’ al centro del campo sonoro.
Come un maglio sfondano frontalmente lo spazio e a pochi millimetri dall’esatta equidistanza dell’udito, si scompongono in infinite particelle luminose, in ogni dove, in ogni quando, un imbuto perfetto e fluorescente di toni dalle sfumature lisergiche di albe aliene.
Lo sciame ripiega e la schiena d’acciaio del basso e batteria sostiene il rientro dei fiati ora piu’ misurati ma non meno efficaci.
Cosi’, cosi’, niente cede, nulla si arrende e non c’e’ respiro, non un solo micron tra le fessure dello spartito ed e’ corsa forsennata, inseguimento furioso, guerra di contrappunti, fisica e selvaggia.
Non c’e’ tempo di respirare ma chi ha bisogno di farlo, non serve, non e’ necessario quando la portante sonora sostituisce sangue, carne e tempo che scorre.
Quanti temporali in quarti ritmici ed ecco una nuova realta’ piu’ spaziosa e luminosa, apoteosi di passati eroici e futuri infiniti, mondi sempre piu’ rari e per questo piu’ preziosi, universi che nutrono, danno vita, forse l’unica che realmente ha senso vivere.
Anche se serve
Sssshhh… fai piano…
Serve silenzio, bisogna essere cauti.
Passi nel silenzio come luce nera nel buio, un po’ di chiarore ma assenza di suoni.
Non parlare, non fiatare neanche, non muovere aria perche’ l’aria e’ pesante, perche’ l’aria trasmette movimento, perche’ l’aria e’ viva e puo’ raccontare, narrare di cose, persone, pensieri e sensazioni.
Serve calma, infinita calma.
Cio’ che circonda deve rimanere, statico e stazionario, mantenere, mantenere senza turbare, senza spaventare, non agitare.
Silente e sfumato, io acconsento, fermo i pensieri e spengo la parola, l’anima, l’essenza dell’esserci.
Struttura di niente e in niente rimango in attesa, nella pace del nulla.
Veliero
Rimango nella penombra di una luce riflessa con la punizione di una posizione ingestibile per scrivere.
Dormire, ma quale sonno rimane se rimbalza dentro il desiderio di esorcizzare il giorno, se anche solo un sospiro, forse un rantolo immerita il riposo.
Lontano dai miei luoghi soliti ma non distaccato completamente, realta’ alternativa in fondo, leggero brivido per allargare leggermente, poco i confini.
Inutile ma un po’ funziona e piccole magiche scintille trasformano la ventola in soffio di vento sul mare, lampada in tramonto, silenzio in tranquilita’.
Gia’ nel rientro godevo dell’arrivo domandandomi cosa avrei voluto una volta a casa e nell’indefinibile un pensiero troppo grande: essere migliore.
Perche’ no in fondo… eppoi con queste stelle, con l’anima grigia, le spalle ricurve e il passo incerto, potrebbe persino divenire realta’ e se cosi’ non fosse mi bastera’ averlo voluto, ambito, respirato.
Un giorno, un buon vento
Oggi ho risentito quella canzone…
Erano gli anni in cui il caldo estivo si combatteva con millimetri di finestrino abbassato.
L’equilibrio tra aria fresca e rombo del motore era arte oltre che esigenza.
Non potevo piu’ dormire completamente sdraiato come qualche anno prima, l’altezza non me lo permetteva e cosi’ assumevo strane posizioni tra cuscino e portiera.
Poche pause e gia’ sei ore di guida sulle braccia, nella testa di mio padre e un po’ anche nella mia.
Erano anni in cui ci si domandavano pochi perche’ e si accettava quasi tutto, anni in cui il futuro era troppo lontano e il passato decisamente vicino.
Ultima corsa prima delle fine delle vacanze, la piu’ lunga, la piu’ attesa, implacabile e irrinunciabile, l’appuntamento inderogabile che valeva un anno intero.
Il sole a picco non si fermava sull’asciugamano bloccato dal vetro e attraversava l’intero capo per sciogliersi sulla federa immacolata.
Aprii gli occhi e per un istante raccolsi i pensieri per collocarmi in uno spazio ben preciso ma piu’ forte il ricordo del sogno, assordante e dolcissimo il canto dalla radio.
Quella, quella era quella canzone col suo nome che la evocava attraverso le porte dell’oblio, quella canzone che conoscevo da tanto, che mi piaceva si’ ma che mai avevo collegato emotivamente alla sua figura se non nel titolo.
Eppure l’avevo sognata ed ecco quelle note a seguire delle immagini ancora tanto vivide.
So oggi, sapevo allora che la musica aveva svegliato l’inconscio, ma allora come oggi amo pensare che sia stato un segno, una coincidenza fantastica, un avvenimento raro e prezioso.
Le immagini erano finite ma non la melodia e seppur sveglio continuai a vederla, bella come me, innocente come me, con tanta confusione come me.
Un po’ incredulo, molto incantato, la mente in due reami e nuovi motivi per essere felice; mio Dio era cosi’ facile essere felice…
Un mese di ferie, un mese di mare e poi di corsa a casa a comperare quel disco e poi a scuola per rivederla ancora e ancora e ancora quella musica per tutto questo tempo e ancora quella voglia di ascoltare nuovamente, di rivederla nuovamente, di vivere cio’ che non avevo neppure concepito cosi’ splendente e meraviglioso.
Troppo lontano per avere senso immediato e cosi’ mi sedetti al centro del sedile; era quasi il momento di fermarsi per pranzare, meta’ del viaggio era alle spalle, un sorriso di mia madre, una esclamazione di mio padre e ogni cosa era cosi’ attraente che a pensarci ora fa quasi male.
Pensarci ora…
In fondo non mi importa neppure sapere dove sia finita, che cosa le abbia riservato il destino ma spero sia felice, fosse solo per ringraziarla di quel momento, per quel sole, per quella canzone, per il senso di stupore che mi ha regalato, per un ricordo luminoso che non mi abbandonera’ mai, neppure nelle notti buie come queste.
So wild, standing there, with her hands in her hair
I can’t help remember just where she touched me
There’s still no face here in her place
So cool, she was like jazz on a summer’s day
Music, high and sweet, then she just blew away
Now she can’t be that warm with the wind in her arms
Risonanza
Autori come Palahniuk sanno sorprendere.
Leggere tutto e non tutto e non sempre aggancia, ma in qualche modo convince e se non e’ storia e’ concetto e se non e’ concetto e’ esecuzione o ancora stile o magari una singola frase, una di quelle pero’ che aprono porte, spalancano occhi, filtrano luce diversamente.
Aspettarsi una piacevole ripetizione di racconti sospesi tra ricordo e leggenda ed ecco nero su bianco vite straordinariamente ordinarie, solo un poco deviate, leggermente fuori fase, fuori sincronia, sfumate al punto giusto da strabuzzare gli occhi e chiedersi se poi sia tutto vero.
Palahniuk ha occhi diversi, pupille contratte con cui contrastare lo straordinario e offrirlo nitido e definito, per lasciare ai nostri occhi il gusto di meravigliarsi, fermarsi ad osservare e domandarsi come e’ stato possibile non vederlo prima, non averlo pensato prima, non essersi stupiti prima.
Come i grandi, lo scrittore non risponde ad alcuna domanda, semmai ne scatena nuove, solleva dubbi ma sono i dubbi giusti, i quesiti da cui ripartire nella ricerca di quell’indefinibile bisogno di aria respirabile.
Autori come Palahniuk non sono Virgilio, non sono Caronte e di certo non e’ lo Stige ad essere percorso ma solo perche’ il viaggio inizia e non finisce, le gambe si muovono fresche e si parte con l’unica destinazione della rivelazione, o qualcosa di maledettamente simile.
I suoi libri occupano sempre piu’ spazio nella libreria cosi’ come nei pensieri, in entrambi i casi immobili ma pesanti, colonne portanti di cio’ che non e’ ma che dovrebbe essere, pilastri del nulla che vuole divenire, fondamenta dell’inesistente da esplodere in cosmo.
Autori come Palahniuk danno senso, sono li’ e io con loro…
Puoi vivere la vita non autentica di cui parla Kierkegaard.
Oppure fare quello che egli definiva il salto della fede, con il quale smetti di vivere in reazione alle circostanze e inizi a vivere in vista di quel che vorresti essere.
Poesia da rifare
Ma le parole sono cosi’ misteriose?
C’e’ davvero ancora qualcosa da capire?
Forse sono io, io che non trasmetto, non comunico, magari criptico, sempre in gironi poco frequentati, certo inutili, sicuro confusi.
Eppure, ma si eppure ho detto tutto, ho scritto tutto, ho raccontato tutto.
Magari confonde il luogo; lo spazio da’ una tridimensionalita’ non voluta, un volume apparentemente da riempire quando vuole essere solo un passaggio.
E’ che il luogo non e’ neppure importante se non nella misura di diverso, di estraneo, di desueto.
Dove arrivare e’ molto ma il tutto e’ partire, e’ giungere su strade nuove eppure conosciute, in edifici freddi da chiamare casa.
Poi si, certamente, senza dubbio, un laddove giace adorato sul cuscino, nel tepore di un soffio caldo sul viso, in quel bagliore tenue che impedisce alle palpebre chiuse di far sprofondare nell’abisso, ma quel luogo solo similmente esiste perche’ va pensato, deve essere meditato e deciso, creato magari, inventato…
… voluto, si voluto sopra ogni cosa.
Ci sono cose che non puoi capire adesso,
cose veloci che rimuovono il senso del perfetto.
Ci sono cose fatte come miele, madido progresso.
Veloci scendono un respiro e la tua forma di rispetto.
Cose che cambiano tutto.
Accordi avanti
A un certo punto della nostra storia, qualche stolto ha raccontato che i sogni erano gratis, che il vivere era un diritto, che il mondo si poteva prendere ora, che tutto era dovuto, che bastava mettere la fantasia al potere.
Che enorme danno e’ stato fatto da cosi’ poche e inutili creature…
Tutto ha un costo a questo mondo e guai se cosi’ non fosse perche’ solo cio’ che non vale niente non costa niente e desiderare un passo in piu’, un gradino in piu’, un po’ di luce in piu’ deve esigere un po’ di anima come tributo, dedizione e volonta’, tanta volonta’ affinche’ ne valga la pena sul serio, perche’ si possa essere fieri di qualcosa, orgogliosi di esserci.
E’ il percorso compiuto che consegna la conquista, non i pochi passi alla meta raggiunta.
Arcaiche suppliche per cio’ che dovrebbe invero essere una lezione innata, strani pensieri estranei che voglio miei, sento miei, desidero miei.
Il tempo passato non e’ amico, ma quello che sarebbe stato fa paura ancora di piu’ e allora cominciare ad uscire dagli schemi, terza persona di un modo d’essere sempre meno aderenziale e sempre piu’ preconfezionato.
Non so, non so davvero che era si prospetta, in quale illusione ci si tuffi, ma c’e’ ancora forza dentro, ancora spazio fuori, ancora voglia di ridere, almeno un grazie da rivolgere al cielo.
Half my life
is in books’ written pages
Lived and learned from fools and
from sages
You know it’s true
All the things come back to you
Sing with me, sing for the year
Sing for the laughter, sing for the tears
Sing with me, if it’s just for today
Maybe tomorrow, the good Lord will take you away
La strada che dovremmo essere
Colline sfumate in foschia notturna come highway fusa al sole del deserto?
Quando sai perche’ sei partito si, quando sai che in un modo o in un altro bisogna arrivare si, quando una volta tanto conta il presente si, mentre e’ la strada che ti viene incontro si, con Van Morrison si.
Ancora una volta scoprire che i sensi non contano, non servono; meri attrezzi subordinati al cosmo interiore, percezioni come interpolazione di una realta’ sotteranea solo similmente reale.
Simulacro imperfetto, riproduzione viziata, foresta di plastica, verosimile fatto materia.
Ancora una volta fermare i pensieri e tornare ad un equilibrio piu’ naturale, piu’ sensato, piu’ ambito.
No, non c’e’ domani se il futuro non appartiene, non c’e’ passato se non e’ il proprio e il calore diviene musica lontana, pagine stampate, penombra di lampada alogena, divano con ancora il suo profumo e audio al minimo di televisore.
Ancora una volta la strada e’ dentro ma anche il panorama attorno lo e’, quindi fermarsi e’ contemplazione, e’ bisogno dovuto, e’ meritato sospiro.
If I ventured in the slipstream
Between the viaducts of your dream
Where immobile steel rims crack
And the ditch in the back roads stop
Could you find me?
Would you kiss-a my eyes?
To lay me down
In silence easy
To be born again
To be born again