Sguardo senza fuga

I ricordi possono essere in bianco e nero?
E la musica? La musica puo’ esserlo?
I sogni sono a colori, il passato non lo e’, non sempre.
Come nelle pellicole di Soderbergh e’ il luogo e’ il tempo a virare le immagini, e’ la consistenza, e’ l’espressione del contenuto che trasluce o stinge.
Consueto, normale in fondo ma la musica, gli odori, i movimenti sempre un po’ a scatti, traslazione di quadri con effetto morphing, non so, e’ strano.
Mi rendo conto che vale la sensazione, il lampo espresso nella frazione del percepire e la forma sfuma appiattendosi sullo sfondo livellando contorni e particolari e nel marasma emerge solo colore e solo il colore marca la valenza e la consistenza del ricordo stesso.
A volte e’ come osservare in controluce attraverso immensi finestroni affacciati sul fuori, abbagliante sensazione di intuire senza capire, rilassante immergersi nell’incertezza dei ricordi.
Rimangono i pulsanti premuti, premuti dentro e diramazioni a miliardi collegano altre diramazioni e se osservo bene, osservo abbastanza allora capiro’, certo che capiro’…

Luci solitarie, pallide

Sovente vado sulla spiaggia virtuale, specie quando mi sento molto stanco e un po’ solo.
Attivo la mia minuscola frazione di mondo fittizio e non e’ finzione la pace che provo, non e’ una promessa lo spirito sospeso in un luogo cosi’ ambito.
Autunno probabilmente, mattina giovane, mare calmo, cielo coperto da nuvole pesanti portate da vento leggero ma costante.
Sole velenoso, stanco molto stanco, con luce del doverci essere ma bramoso di oscurita’.
Sento gabbiani e li vedo sfrecciare alti, veloci, unica presenza viva oltre al vento, meglio brezza e la loro presenza mi conforta, sfuma il confine tra realta’ e fantasia.
Sabbia compatta sotto i piedi e posso sentire affondare le suole tra lo scricchiolio del suolo che cede debolmente e mi aggiro tra rocce, alghe e legno spezzato.
Non provo la tristezza che dovrei davanti a quel mare minacciosamente tranquillo e senza vita; all’opposto ne sono affascinato e placidamente osservo, mi placo, ritrovo il gusto del viaggio, di quelle case abbarbicate sulla collina e delle vite che dovrebbero abitarle.
Niente e’ vero ma se la finzione e’ un gioco dei sensi, allora i sensi si specchiano davanti allo schermo, dentro allo schermo, dentro me…
I look to the sea
Reflections in the waves spark my memory
Some happy, some sad
I think of childhood friends
And the dreams we had
We lived happily forever
So the story goes
But somehow we missed out
On the pot of gold
But we’ll try best that we can to carry on

Solo di sole

Florinda Bolkan e’ la carne del suo tempo.
Tesa, nervosa, disperata.
E’ anche diversa dal suo tempo pero’, perche’ bellissima, raggio di sole nel buio, ombra rinfrescante nel solleone.
C’e’ in lei una disperazione profonda, l’inquietudine manifesta nella tensione dei muscoli, il lampo fulminante che attraversa lo sguardo e ogni movimento narra di notti insonni, di domande senza risposte, di amore non ricambiato.
Si muove ed e’ fluido mercurio che scivola vizioso tra gli interstizi delle mattonelle, tra le note della colonna sonora, tra i desideri dello spettatore.
Florinda Bolkan non ha eta’ perche’ eta’ implica tempo e tempo implica mortalita’ e quando la donna e’ astrazione, dea di tempi antichi, genitrice di terra, acqua, fuoco e vento allora la morte non la tange.
E’ una creatura senza estetica perche’ rifugge la barbarie delle classificazioni, icona di una femminilita’ viva soltanto nell’ipotesi di un mondo passato, transizione tra l’idea e la realta’ di donna, segreto di un desiderio mai svelato e per questo piu’ vero e caldo e intenso.
Archetipo, sovente ideale e si’ idealizzato, topos che trascende e attraversa gusti ed epoche, astrazione e non per questo meno reale e meno suadente e se e’ vero come e’ vero che non sto parlando di una donna ma della sua idea, allora le mie parole sono per Florinda Bolkan e’ vero ma ancora piu’ vero per colei che e’ unica, immensa e per sempre.

Lezione di confine

Mi muovo agile e veloce e ancora mi diverte farlo.
Ancora c’e’ un senso perche’ ancora mi diverto, ancora mi preoccupo, ancora mi esalto ma piu’ di tutto mi sorprendo.
In ogni nuova interazione posso cogliere frammenti di codice nuovi e stimolanti, forse simili tra loro ma come una neonata stella scoperta tra miliardi, infinite ipotesi e possibilita’ si aprono innanzi agli occhi e i pensieri si riordinano in nuove configurazioni.
La logica e’ perversa quando si schiude inavvertitamente e urla di essere intesa, decodificata, tradotta ed applicata.
Schegge da ricomporre in piani tridimensionali e il pensiero non puo’ bastare se non prima riconfigurato e riadattato.
Nuova lingua in nuova sintassi, costrutti alieni eppure elementari in semplicita’ di un dialogo da comprendere solo in funzione del risultato.
Si, ancora mi sorprendo ed e’ tutto in un a realta’ in cui la ricerca del basilare e del precostruito domina le altrui menti e mentre immagino nuove strutture sempre piu’ complesse, ricombino e decostruisco cio’ che ho imparato per nuovi schemi, nuove figure, nuovi e magnifici ordini di comprensione.

Innocente ancora

Software in multitasking che lavora, elabora, gestisce, vortica in tutta la rete.
Io osservo, un po’ impaziente, un po’ stupito, molto calmo e cosciente di cio’ che avviene.
In fondo ho sempre voluto questo e si e’ vero, sono un privilegiato ma l’ho voluto con una intensita’ forse eccessiva ma tanto vera da divenire palpabile, a volte credo persino vivente.
Troppa letteratura fantastica per non voler appartenere a questo mondo, troppo desiderio di futuro per non vivere poche schegge nel presente.
Pero’ e’ curioso…
Decine di programmi in funzione, sparsi in ogni dove ma assoggettati sotto le dita, eppure scrivo, racconto di qualcosa che si nutre della ripida collina delle vita, dove gli elettroni sono astrazioni matematiche e null’altro.
Essere in luoghi cosi’ lontani tra loro e scivolare, scivolare tra le esistenze assottigliando sguardo e sensazioni, orientare i punti cardinali dell’egosfera su topologie costruite su dimensioni note.
Un po’ mi sorprendo ancora, ma e’ questo poco che da’ senso al resto.
It is the night
My body’s weak
I’m on the run
No time for sleep
I’ve got to ride
Ride like the wind
To be free again

Stella silenziosa

Raggi di luna inopportuni rammentano che questo non e’ il mio posto, non a questa ora almeno.
Dolore allo stomaco per non ambire a qualcosa di meglio, forse piu’ duraturo, meno fugace.
Non mi aspetta granche’ oltre questa stanza ed e’ pensiero che paralizza e non lascia spazio a voli distesi e prolungati.
E’ che vedo al di la’ della cortina del giorno e certamente c’e’ qualcosa di piu’.
Forse e’ vero che sono abituato a tutto questo, ma e’ anche vero che non lo sono abbastanza per non sapere, non vedere, non immaginare.
Io aspetto, ti aspetto, so aspettare…

Ora io ho

Stanotte ho sognato di camminare ancora per le strade di casa mia, quelle strade in cui sono nato milioni di anni fa.
E’ strano ripensandoci perche’ quelle strade le percorro ogni giorno eppure non mi fermo, non guardo piu’.
Rallentare e forse rivedrei quel paese dei sogni, quello sospeso tra il ricordo e l’illusione, quello col sole caldissimo a precipizio e l’odore d’asfalto rovente, quello con la neve sporca ai bordi strada e profonde pozzanghere nere.
Il paese con negozi che ancora vendevano qualcosa con un senso, coi bar pieni di fumo e qualche videogioco, fermate di corriere, portici da percorrere velocemente in bici e cantieri ovunque.
Erano anni in cui ci si spostava coi mezzi disponibili e lunghi tragitti a piedi davano il senso delle crepe sull’intonaco, delle scritte sulle colonne, della vernice scrostata dalle panchine e ogni passo conduceva a quelle giovani avventure fatte di amici per la pelle e nemici acerrimi, di ragazze da guardare con aria spavalda mentre qualcosa d’indefinibile moriva dentro, di motorini e odore di miscela bruciata, di crescere piu’ velocemente del mondo attorno.
Quelle strade sono oggi cosi’ vicine eppure mai cosi’ lontane e mi domando perche’.
Fermarsi anche solo in sogno da’ tempo di chiedersi cosa ho lasciato li’.
Amici sicuro, qualcuno in meno purtroppo, scuole piene di avventure e patemi, gente che a stento ricordo eppure vivissime, emozioni a 360 gradi e sensazioni che ancora oggi straziano e curano pelle, cuore, mente.
Ragazze mai divenute donne, strade ancora poco illuminate, case sgombre da genitori indaffarati, libri vicino al letto e miriadi d’eternita’ che ancora aleggiano da qualche parte.
Basterebbe cosi’ poco ripercorrere quelle strade eppure non c’e’ mai tempo, non c’e’ mai occasione, non c’e’ mai ragione…
Piu’ ci penso e piu’ scopro di temere cio’ che potrei trovare nel mio paese, cio’ che potrei perdere o forse cio’ che ho perso…
So many
Bright lights, they cast a shadow
But can I speak?
Well is it hard understanding
I’m incomplete
A life that’s so demanding
I get so weak
A love that’s so demanding
I can’t speak
I am not afraid to keep on living
I am not afraid to walk this world alone
Honey if you stay, I’ll be forgiven
Nothing you can say can stop me going home

La foto sullo specchio

Sento che il corpo cede e non lo spiego, non mi piace ma comprendo, conosco i motivi.
E’ che forzare ogni giorno le barriere dei propri limiti rende difficile vedere i bordi delle possibilita’ raggiungibili.
Basta cosi’ poco per non essere schiavi della propria determinazione, della necessita’ di proseguire ad oltranza.
Essere sulla cima dell’ego e non cedere il passo, puo’ essere stimoltante ma ingabbia dentro recinti d’acciaio.
Talvolta sembra da stupidi ma la determinazione e’ un muro in cui ogni mattone e’ fondamentale, ogni frammento regge la struttura o cosi’ pare e non importa sia vero o meno ma bisogna crederci e crederci tanto perche’ non si corre per meta’ percorso, non si sale meta’ rampa, non si scala meta’ montagna, non si suona un solo atto di sinfonia.
Tanto non mi fermo anche se dovrei, ma le regole non cambiano e senza dolore non c’e’ risultato.
Mai.
We’re not indestructible, baby better get that straight
i think it’s unbelievable how you give into the hands of fate
some things are worth fighting for some feelings never die
I’m not askin’ for another chance i just wanna know why
there’s no easy way out there’s no shortcut
there’s no easy way out givin’ in can’t be wrong

Tregua momentanea

Davvero e’ la confessione e non il confessore a dare l’assoluzione?
Credo di si, a questa eta’ si.
Le parole volano, volano, fuggono e non rimane quasi nulla neppure nella mente o nel cuore di chi ci ama piu’ profondamente perche’ non e’ colpa di nessuno, perche’ siamo uomini, perche’ ci paralizzeremmo se ricordassimo tutto, perche’ impazziremmo se dovessimo ripetere ogni gesto quotidiano avendo ben presente il giorno prima e cosi’ sorvoliamo, sfumiamo i ricordi, quanto dato e quanto ricevuto.
Anche le gioie vanno dimenticate perche’ se tutto e’ routine, la felicita’ non e’ da meno e avanti scordare per essere felici ancora.
Serve fermarsi quindi, raccontarsi e perdonarsi, solo un poco perche’ in fondo i torti maggiori li si infligge piu’ a se stessi che agli altri.
Fermarsi, raccontarsi e la scrittura e’ un mezzo, prova provata non di confessione ma di perdono, testimonianza del coraggio sufficiente a dirsi “eccomi qui e ora andiamo avanti”.
Trascinarsi su sentieri gia’ battuti e’ banale metalinguaggio quando le parole sul presente mancano o semplicemente pesano tanto da far paura, quindi perche’ no, e’ un mezzo come un altro.
Non c’e’ nulla da temere, si scivola come sempre ma almeno con un po’ di dignita’ in piu’ e se la vita non e’ un film allora rimarra’ almeno sceneggiatura.

Storia divisa

Mi accorgo e certo non senza sorpresa, che ti parlo di me molto piu’ oggi che in passato.
Strano a dirsi dopo cataste di frasi e parole, ma cosi’ doveva essere dal principio.
Il dialogo e’ sempre una mediazione, un accomodare, modellare il proprio pensiero sulla forma dell’interlocutore.
C’e’ una fase di traduzione che toglie senza arricchire, filtraggio di un’idea, scrematura di un concetto.
Nella mente e’ l’elettricita’ a guidare il passo e come un albero di luce, cio’ che pensiamo si evolve a velocita’ fantastiche.
Rami su rami, foglie, fiori che generano frutti che generano semi che generano piante e ancora rami, foglie, fiori alla rapidita’ di un battito di ciglia; come tradurre in suoni quando i suoni sono lenti, inadeguati, impacciati.
Per il monologo e’ lo stesso ma aversi di fronte semplifica perche’ rimane il solo esprimersi senza spiegare.
Forse e’ piu’ complicato comprendere, frasi decontestualizzate sono criptiche senza riferimenti ma il flusso deve condurre e non trascinare, l’idea assume forma anche coi gesti, non solo col corpo.
Forse e’ un viaggio un po’ piu’ complicato e non ho idea se ne vale la pena, ma la strada e’ questa, la percorro e mi piacerebbe non essere solo.
Looking out at the road rushing under my wheels
Looking back at the years gone by like so many summer fields
In sixty-five I was seventeen and running up one-on-one
I don’t know where I’m running now, I’m just running on