Volo, volo e suolo

Confusione sovrana sopra e sotto il cielo.Impercettibili cambiamenti che a stento percepisco se non nella sovrapposizione di differenti ere.
Imperfetta solitudine amplificata da forme d’onda analogiche sepolte chissa’ dove, digitalizzate nell’ossigeno elettronico e miscuglio di silicio e tempo diretto chissa’ dove.
Senza riferimenti arranco e annaspo, giro attorno e mi perdo in un rondo’ che non so piu’ gestire e miro muto e attonito il nero tappezzato di storie, travi intrecciate contro il tramonto su terre perdute.
Il cielo puo’ essere viola, il mare verde come prato sepolto dalla neve e la sabbia giallissima e perche’ non dovrebbe essere cosi’.
Del resto i ricordi sono fatti della stessa sostanza dei sogni e come i sogni intimamente riempiono buchi d’esistenza adattandosi alla forma e al bisogno.
Non c’e’ bisogno di essere formali, magari leggermente irrequieti, questo si…

Rilievo stampato

Incomprensibili eventi e noiosi sviluppi.
Quando le sfide divengono piatta cacofonia, informe contenitore di nulla, mal di testa pungente e null’altro allora bisogna cambiare.
Ammettere la propria normalita’ non e’ pero’ semplice e cosi’ rifugiarsi nel riguardo, circospezione d’intenti e sostanza, vuoto a perdere di giornate solo in apperenza diverse.
Almeno vorrei capire quale pezzo non combacia anzi basterebbe essere certi che esiste un pezzo fuori posto.
Illusione di anni che dovrei scordare o indugio opportuno se proprio non meditato?
Effluvio di fumo ancora sulle pareti e gia’ a dirsi che niente e’ uguale, abbaiate piu’ simili a latrati soffocati ed ecco il nuovo eroe, del nuovo tempo, dell’infinito mondo.
Quanto puo’ cambiare l’ordinario osservandolo con occhi diversi o l’ennesimo inganno d’inquieta veglia, taglia le gambe a raffronti inopportuni.
Dormire, dormire, dormire…
Risolve, si risolve ma non cura perche’ solo cio’ che non esiste tacita i bisbigli delle ossa, dello stomaco, di sensi abbandonati al sole di una finestra aperta sul passato.
Non so bene non so cosa
non so quando non so dove
non so pi

Incredibilmente semplice

Non focalizzo e disperdo energie.
Dipendera’ dagli Ash Ra Tempel che spingono in avanti e ritrovate poesie in musica di Fiumani che travolgono indietro ma sono un uomo senza tempo, lacerato tra pensieri inconcludenti e sublime inarrivabile.
Non riesco a concentrarmi e ho curiosi desideri di foto tra archeologia industriale, di palazzi in vetro, legno e acciaio, forse di quegli spazi in carta patinata su riviste del settore.
La contraddizione e’ solo apparente se solo ricordo la voglia, la fame di futuro che ho da sempre e l’architettura avvolge e avvolgeva le storie come lucente carta da pacco; nessuna sostanza, solo speranza di un desiderio.
Risuonano le voci di un passato futuro o di un futuro anteriore, chissa’.
Voci cosmiche e mille luci al di la’ del soffitto bianco, allineamento astrale come millenni fa e come i millenni che saranno.
Il ciclo si ripete ma non si esaurisce, spirale a chiudere vede cio’ che e’ stato senza ripercorrere ma solo ricordando impara crescendo in rimbalzo esistenziale.
Il movimento e’ inerziale, definitivo, inviolabile e non oppongo resistenza, cavalco l’impossibilita’ di pensare lucidamente e ne faccio destriero leggendario, felice persino del controllo perduto e dei pensieri che, sempre troppo poco, non mi appartengono.
Il tempo che splende e ci insegue ancora
e queste voci che consumano in fretta la mia vita
mi lasciano solo al centro
fra un passato che non conosco piu’
un passato che rivive in ogni istante
e il futuro che si nasconde di fronte a me… a me…
a me..

Tra casa e non so

A volte un po’ mi dispiace pensando a cio’ che non ho fatto.
E’ un sentimento strano; non e’ pentimento o tantomeno rimorso, non e’ rancore o autocritica.
Si potrebbe definire un volo a bassa quota su cio’ che poteva essere e una volta tanto non ci sono destini deviati o futuri perduti, qualche eventualita’ mancata, sfumature, vita di serie B che poteva essere.
Ancora piu’ strano dispiacermi dei particolari e affatto dell’intero quadro, particolari talmente insignificanti che non varrebbero che pochi secondi di ricordo, eppure divertenti da ingigantire, considerare, evocare persino.
Ecco, la ferrovia dismessa ad esempio.
Ruggine e cocci, plastica deforme e fogli incomprensibili.
Erba rada e disperata in pozze sconnesse e infettate dal tempo e dall’uomo.
Negozi fuori dal tempo comandati dalla fuliggine, bar sudici calpestati da una umanita’ piu’ rassegnata che disperata, capolinea di chi si e’ arreso, meta anticipata di chi non ce la fa piu’, inferno inconsapevole per qualcuno, il miglior mondo possibile per altri, l’unico mondo possibile.
Auto veloci, spietate, senza anima, senza destinazione, solo fermate intermedie tra un incubo e l’altro.
Marciapiedi deserti consumati dall’attesa di qualcuno che li calpesti, vecchio odore d’acciaio non ancora sedimentato piu’ nelle anime che nelle strade, semafori che paiono essere gli unici viventi tra mura scrostate e scritte comicamente e pericolosamente patetiche.
E poi, nel centro esatto di tutto questo, un ricordo lontano strappato dalla mia mente e divenuto luogo, incantevole oasi di cio’ che non e’ piu’, luce da stella esplosa da eoni.
Si, proprio li’, quasi sepolto dal grigio una piccola capanna di edera intrecciata nel filo di ferro e antichi pali scrostati.
Casse gialle e vuote accatastate in un angolo, tavolini in formica sbeccata dai bordi in alluminio, posaceneri in plastica dura col nome di liquori oramai spariti urlato sul fianco, cemento sotto i piedi quando ancora si pensava durasse in eterno.
Quella porta conduceva in un interno forse anch’esso anacronistico ma perche’ preoccuparsene quando tutto cio’ che volevo era gia’ li’ davanti a me.
Non mi sono neppure fermato a lungo, forse piu’ un breve passaggio e oggi so perche’; ho avuto paura, paura dei miei sentimenti, delle mie emozioni, dei miei pensieri e dopo sono fuggito, fuggito da quel luogo e da tutti i luoghi attorno, fuggito da cio’ che non mi apparteneva e a cui non sono appartenuto, eppure e’ stato emozionante, unico nel sapere di poterlo rivivere, unico nel sapere che invece non accadra’, unico perche’ sul serio mi manca…

Nero semplificato

Mi merito di piu’.
No davvero, dico sul serio, mi merito di piu’.
Si, va bene, faccio i miei sbagli, ho le mie colpe, certo pago azzardi e genuino entusiasmo, ma merito comunque di piu’.
Giusta l’accondiscendenza, attutire, sfumare ed ammorbidire ma c’e’ un limite, un limite a tutto.
Non vale neppure la pena prendersela e girare attorno e’ solo un mezzo per non cadere nel mezzo, per non girandolare come carta straccia nel deserto.
E’ che non si tratta di calmarsi, non bisogna fermarsi; semmai l’opposto e ritrovare voglia di liberarsi dall’apatia che nasce dal senso dell’inutile, dello sfogo dal ridicolo, dallo schifo dell’ingratitudine.
Sono talmente calmo che mi godo l’inutile fuori che in senso antiorario precipita nell’imbuto del nulla nella smaltata conca della notte.
Sono talmente calmo che persino i demoni fuggono inseguiti da un demone piu’ potente di loro, i fiumi si seccano e i mari si prosciugano.
Pesa pero’ che chi mi sta vicino, venga trascinato nell’intorno che cade e questo si, si che mi fa stare male ma ora non posso permettermi di preoccuparmene.
Fottuto stupido mondo…
I’ve got word of thanks,
thanks that I’d like to say,
for the rage that I feel,
the rage that I feel today.
Gotta stack, gotta stack, stack of chips on my shoulder,
in everything I do ‘cause I made, I made,
I made the mistake of trusting you.
People like you just fuel my fire.

Non necessario

Giuro, volevo raccontare con lunghe iperboli lisce e lucenti.
Volevo inventare parafrasi innovative e degne di carta stampata, volevo fotografare l’animo umano con figurazioni originali ed innovative, ellissi sottintese ma grandiose nel rivelare cio’ che e’ nascosto per essere rivelato.
Volevo, si volevo, giuro che volevo e da ore ci pensavo e mi aiutava farlo perche’ la rabbia, quella vera, quella che ti cresce dentro come gas mefitico e incandescente, aveva sfogo e controllo, almeno in parte, solo cosi’.
La rabbia espande la materia, la realta’, lasciando aria, lasciando vuoto e lacrime secche e… fa male, cosi’ male.
Infiniti veli solo per attutire giuro poi…
…poi chi se ne frega.
Davvero, chi se ne frega di iperboli, ellissi e veli.
Chi se ne frega di raccontarsi, di spiegarsi, di citarsi.
Chi se ne frega, tanto alla fine torno sempre qui e il mondo gira comunque, la musica gira comunque, quel cane idiota la’ in fondo abbaia comunque e niente, niente, niente cambia mai comprese queste mura, questi vetri, l’algido suono del silenzio e la rabbia, la mia, sempre quella, solo quella.
Words like violence
Break the silence
Come crashing in
into my little world
Painful to me
Pierce right through me
Can’t you understand
Oh my little girl

Treno oltre le colline

Ore 13,15 circa e il sovraccarico.
Mi piace quando avviene, il sovraccarico intendo.
In certi momenti e’ troppo, decisamente troppo e come per Atlantide, il fardello diviene insostenibile e allora che rimane?
Soccombere?
Puo’ funzionare, servire a volte, spesso inevitabile, a momenti auspicabile, utile quanto basta.
Come una bastonata in pieno viso, un’esplosione di dolore e inconsciente totale riposo.
Forse artificiale ma a chi importa; a noi la perfezione fa schifo…
Combattere?
Tremenda, fatica tremenda, rimandare l’inevitabile per uscirne piu’ a pezzi di prima, bagnarsi nella poltiglia di un misero autocompiacimento che dura il tempo di raccogliersi dalla fredda terra e niente piu’.
Poi diciamocelo, gli eroi oggi sono ottuse macchiette giuste per la seconda serata televisiva.
Adattarsi al sovraccarico questo si.
Non e’ facile per niente ma quando riesce e’ sempre eccitante e misterioso.
Le luci si abbassano per un momento, come al passaggio di un portale e l’ambiente circostante non e’ piu’ lui malgrado le apparenze.
Strizzare gli occhi per difendersi da bagliori che non esistono e isolare quel suono ad alta frequenza che penetra nel cervello come una freccia di diamante e a quel punto, solo a quel punto in cui ogni sguardo poggia su un consueto alieno, quando si smette di riconoscere il quotidiano, allora i pensieri si sfaldano, si sciolgono come bitume a ferragosto e tutto si adatta, l’immenso peso poggia dolcemente al suolo sul morbido ego duttile e malleabile.
Poi il buio, reset totale del sistema, azzeramento sinaptico.
Tacciono i muri, i volti, tutti i ieri e i domani a quando verranno.
Meraviglia del non esserci mai stato e stupore del giungere ancora e tutto e’ nuovo, tutto diverso, vergine mondo da esplorare col desiderio.
Nuova partenza e se in breve macigni di poco prima tornano attuali, aiutano nuovi occhi e nuove orecchie, nuove energie, vecchio spazio ripulito e lucidato, non piu’ largo, non piu’ capiente, non piu’ accogliente.
Riorganizzato, rinfrescato questo si, aria nuova in ambiente stantio e se nulla cambia, forse tutto cambia, forse i nuovi sensi danno una nuova visione del se’ ed e’ sempre una partenza, un’ottima partenza.

Carta ingiallita troppo in fretta

E’ forse il viaggio piu’ importante della meta?
Perche’ no, potrebbe anche essere in fondo.
Certamente e’ da discutere quale sia la meta o forse ancora piu’ importante, se questa meta esiste e se ha senso raggiungerla.
Ammetto che gli arrivi mi lasciano perplesso perche’ qualcosa finisce, finisce sempre e se inizia e’ a scapito di altro.
E’ che si e’ perso il gusto del viaggio, questa e’ la verita’ e nella opulenta corsa quotidiana, nessuno ci ha insegnato a guardare da cio’ che ci contiene.
Non mi si parli di tempo, di circostanze, di opportunita’; e’ educazione che manca, illogica conseguenza di ingranaggi sbagliati nella giusta macchina che se ne dica.
Poi non seguo nei fatti i miei pensieri e me ne pento, ma sovente e’ lampo che manca e arriva, si arriva qualche volta.
Cosa mi trattiene questa sera dal respirare aria calda in compagnia di auto lontane, gatti randagi e rami agitati?
Forse scrivere, forse la voglia di dormire, il desiderio di leggere ma piu’ di tutto l’insano vincolo di chi ancora non sa dare valore al proprio tempo, di chi non ha idea che il tempo e’ quanto di piu’ prezioso abbiamo.
Are you such a dreamer?
To put the world to rights?
I’ll stay home forever
Where two & two always
makes up five
I’ll lay down the tracks
Sandbag & hide
January has April’s showers
And two & two always
makes up five

Stagioni bambine

Ricordo tante notti simili e non mi dispiace farlo una volta tanto.
E’ che ci sarebbe troppo davanti, dietro, dentro che richiede attenzione, studio, pianificazione, preparazione, concentrazione e potrebbero persino bastare le energie ma no, non e’ giusto, oggi proprio non e’ giusto.
Dipendera’ forse da una giornata che a conti fatti, si regge sullo stentato equilibrio del bene e male, ore in bilico tra cio’ che e’ stato fatto e quanto e’ da farsi, occasioni vinte equivalenti alle perse.
Troppe, troppe prove, troppi interrogativi, troppi esami, troppi ostacoli e va bene cosi’, sempre va bene cosi’ perche’ l’ho scelto, perche’ non sono mai fermo, perche’ nessuna pietanza e’ mai insipida ma oggi forse il limite e’ stato superato e finche’ ho forza per farlo, decido di fermarmi.
Trovo dentro quella capacita’ perduta di scivolare come fiume nell’alveo e mi prendo un minuto o forse due.
Prima pero’ lascio queste parole perche’ malgrado tutto, oggi sara’ solo un giorno come tanti ma quando mi sentiro’ sconfitto e’ bene sapere che in frangenti simili posso vincere e quando esultero’ e’ bene ricordare che si puo’ sempre cadere.
I know I can never return
To the time of hope when I was born
Let the strength of peace run through my hand
When we walk away from the stormy shore
Then I will be afraid no more
And now I’m sure of where I stand
Let the strength of peace run through this land

Petali grigi

Ripenso al Nosferatu di Herzog e lo trovo dolorosamente perfetto.
Si, scorro le immagini e le sovrappongo alle mie erigendo un ponte lontanissimo, da percorrere e scoprire, talmente importante da spaziare nei desideri arditi.
Cercare l’assenza di colore nell’opposto dell’abbondanza e’ un approccio piu’ emotivo che pratico, e’ riprodurre il complesso di suoni, fotografia e scienza di un movimento col singolo scatto.
Come, come, come, qualcuno mi insegni come rendere quadro il Sanctus, elevare a universo l’orrenda e terribile natura, talmente orrenda e terribile da rendersi archetipo di ogni bellezza al divenire.
Wagner, tra i piu’ grandi se stupidi uomini fossero onesti con la ragione, pare nato per quei monti, quelle acque, quei macigni, licheni.
Mai veduta morte piu’ viva, vita piu’ morta.
Nubi e pioggia, sole che e’ luce ma non calore, non colore.
Poi quella terra spazzata dal vento, sabbia dura come tundra destinata a conservare quelle impronte cosi’ come si sedimentano nella memoria dei momenti memorabili, palpito senza tempo come la figura sempre piu’ lontana, come brina tagliente a fil di suolo.
Incantato e stupito ed ammaliato da immagini che il tempo non sa invecchiare anzi rafforza nei giudizi, immortale e grandioso, osservo e ringrazio estasiato, umile, felice del solo esserci e desiderare.
Il tempo e’ un abisso
profondo come lunghe e infinite notti.
I secoli vengono e vanno
non avere la capacita’ di invecchiare e’ terribile…
La morte non e’ il peggio,
ci sono cose molte piu’ orribili della morte.
Riesce a immaginarlo?
Durare attraverso i secoli
sperimentando ogni giorno le stesse futili cose…