Prolungare

Cielo coperto e ampi sprazzi di blu, sole coperto ma luce a sufficienza.
Pomeriggio avanzato, forse ora di rientro dal lavoro, pedonali deserti, un bambino lontano in bicicletta e qualcuno avanti lui, forse la madre, una persona non ha fretta di uscire dal campo visivo, probabilmente non ha fretta affatto.
Prato in ricrescita, foglie minuscole su alberi ancori spogli; la primavera sta arrivando.
Architettura semplice, essenziale ma atipica, certo funzionale nell’esprimere estro non appariscente, elemento di disturbo al piatto territorio, in qualche modo fusione non integrata ma inventata per sobborghi che chiedono di muoversi lenti, a passo di uomo.
D’istinto penso a Bach e alla sua Sinfonia N.ro 3 ma e’ manifesto di anima non fotografia, ripiego quindi su una fuga magari il Preludio e Fuga in re maggiore.
Ci siamo quasi ma troppa enfasi vira i colori su sfumature inopportune quindi perche’ non la Fuga N.ro 8?
E’ perfetto ora, troppo perfetto per riuscire a staccare gli occhi da quella singola immagine, fotogramma di un mondo impossibile, scrigno di tesori che non possiedero’ mai.
Desiderio intenso, profondissimo, dolorosissimo ma non e’ invenzione, non e’ illusione e gia’ aiuta a guardare un po’ oltre, solo un poco, quel tanto che basta per una nuova alba, una nuova canzone, un nuovo sorriso.

Nascondendo il respiro

Avrei bisogno di un po’ d’inverno, almeno stanotte.
Sento la necessita’ di provare freddo e di udire gelida aria sibilare tra le fessure, insinuarsi tra gli stipiti delle finestre, strisciare bassa sul pavimento e infine aggredirti tra un pensiero e l’altro.
Il gelo aiuta il silenzio a parlare, lo accompagna nel narrare storie spesso semplici ma importanti perche’ e’ nel vento ghiacciato che i racconti escono a danzare pattinando celeri nella stasi, senza paura, senza timore di essere scoperti perche’ col freddo le anime si rannicchiano in cerca di caldo, protette dal proprio tepore, chiuse in se’ stesse come gatti assopiti e sornioni, incuranti di quanto avviene, indifferenti a chi fugge, a chi volteggia, a chi semplicemente non teme di rivelarsi.
Ci vorrebbe gelo intenso e polvere sospesa nella luce dei lampioni, minuscola materia che non appartiene piu’ a nessuno e per questo di tutti, forse inutile scarto o forse messaggera di quei racconti che si credono propri.
Chissa’, magari neuroni di cosmica mente, energia visibile nell’aria immobile e noi illusi di individualita’, inconsci ricettori di insieme universale, gia’ chissa’…
Forse e’ addentrarsi in sottorealta’ schiacciate dalle logiche premesse del mondo, inutili cerchi tracciati in ancora piu’ inutili slanci di indefinibile bisogno.
Ancora una volta non sara’ chiaro il come ma il cosa e’ lampante.
Il ghiaccio si confonde
con il cielo, con gli occhi
e quando il buio si avvicina
vorrei rapire il freddo
in un giorno di sole
che potrebbe tornare in un attimo solo.
Forse stanotte,
se avro’ attraversato
la strada che non posso vedere
poi in un momento
copriro’ le distanze
per raggiungere il fuoco
vivo sotto la neve.

Il lungo molo da percorrere

Il Ben Watt di “North Marine Drive” sembra ascoltato oggi per la prima volta e un po’ mi fa riflettere.
Non so se sia positivo o meno; sono talmente tanti anni che mi accompagna e l’ho tenuto vicino a me, accanto a me, stretto a me in lunghi giorni e cosi’ tante notti che pare qui da quando esisto.
No, non so se sia positivo tremare come una foglia sulle note di quel sax disperato e solo malgrado ne conosca le note meglio che la mia voce, non so se sia positivo far scendere un velo sulla stanza scarsamente illuminata e tuffarmi un tutte le ombre di ieri, di oggi, di sempre.
Se ripenso a cosa e’ cambiato da allora, trovo solo la premonizione dei bisogni futuri di quel mare gelato del nord, icona estiva fuori tempo, pesanti abiti da indossare per viverlo, grigio come abito naturale relegando i colori sgargianti al tempo dei turisti e li’ un arrivo, chissa’.
Un tempo vi trovavo solidarieta’, complicita’ disperata, un po’ di comprensione.
Oggi e’ piu’ amico, racconto liberatorio, dialogo sussurrato, un po’ di rassegnazione.
L’equazione torna, e’ la vita che non lo fa, quasi mai…
Crippled anger from a crippled brain
Crippled footsteps through a crippled train
Bloody headwound leaves a bloody stain
On a raincoat smelling from the rain
It’s the last train, it’s the last train home
It’s the last train, it’s the last train home

Libreria impolverata

Riconosco un solo profumo, ma quel profumo vale tutto cio’ che sono.
Non importa dove mi trovo o quanto tempo sia passato ma accade che la realta’ si contragga al momento in cui il profumo, no il Profumo, entro’ nella mia vita.
C’e’ l’inverno e il fuoco dentro, lenti tornanti, scale di legno e giorni che non posso dimenticare.
Ci sono segnalibri nella memoria, passaggi obbligati a cui sottostare davanti ai quali fermarsi e riflettere, ricordare, un po’ sognare, ancora chiedersi cosa diavolo si e’ divenuti, quanto si e’ invecchiati nel frattempo.
Piu’ ci penso e comprendo quanto tempo ho sprecato, occasioni gettate via per trovare quanto era li’, vivo e presente e allora sia catarsi e intesa con la disperazione di un ricordo mai arido, caposaldo di migliaia di azioni a venire.
Incantato, vorrei almeno una risposta, conferma nella rinnovata e mai doma fuga in un luogo meno doloroso, forse meno intenso e vivo, piu’ normale, ordinario magari, quando ordinario esalta e non deprime il concetto.
Il Profumo e’ ancora qui, qui con me, sempre con me anche quando lo dimentico, lo ignoro, lo nascondo ed e’ meglio non ci pensi troppo perche’ potrei scoprire che non ho mai avuto niente di meglio, niente di piu’…

C’e’ qualcosa lontano

Non ce n’e’ piu’ per oggi e probabilmente per qualche giorno ancora.
Perdere fa male ma vincere demolisce e non lascia molto a disposizione, nessuna riserva.
Il corpo si difende paralizzandosi in dolce calore mentre i pensieri rallentano, rallentano come batterie oramai esauste e il tempo scarta i sensi con scatto irresistibile.
Comunque ne vale la pena, continua a valerne la pena ma e’ lecito chiedersi verso quale direzione stia andando o almeno se stia prendendo abbastanza.
Adattarsi o accontentarsi, dilemma non scelta, risposta futura, forse temuta, certo scommessa, una di quelle importanti che non si possono perdere.
Il barlume nasconde particolari e ne rivela altri, gioco di ombre lunghe, niente da leggere, colori in sfumature di giallo ed eccessiva fede in cio’ che vedo, piu’ ancora in cio’ che vedro’.
Non dovrei stancarmi, nemmeno per concetti base, ma se devo dare un senso allora che venga dalla tranquillita’ di una corsa sul posto piuttosto che dallo strisciare furtivo sulle pareti di muri da costruire.
Arrive alive…
We’re heading for home
Before the dawn comes
Arrive Alive…
Eyes in the night
They’re keeping me right
They’re guiding me
Arrive Alive…
We’re heading for home
Before the dawn comes

Resistente al trauma, trauma resistente

Sospeso su un accordo lunghissimo mi sento felice, al sicuro, protetto dalla tentazione di svendere ricordi sbriciolati in coriandoli multicolori, virati leggermente al grigio magari, solo un po’.
Potrei persino illudermi che la ruota non giri oltre e che la testa cessera’ di girare con essa, abbandonarmi si, abbandonarmi, lasciarmi cadere morbido senza timore di non potermi rialzare piu’.
Non so se potrei realmente farlo perche’ sono troppo vecchio, troppo cosciente di me e onde ghiacciate hanno consumato la voglia di sole, di calore.
Si e’ vero, non posso piu’ essere determinato e incosciente e troppo, troppo, troppo, troppo presto mi hanno insegnato a non esserlo e a volte basta un 45 giri, un telefono bianco, la calda primavera che lascia spazio all’estate.
Troppo forte per farmi male, troppo debole per essere ferito: la corazza ha giunture logore vulnerabili e si, si, lascia stare li’, li’ com’e’, chiudi gli occhi, piano.
Oggi puo’ bastare, puo’ andare bene cosi’ come stanno le cose e domani nuovi accordi e la primavera sempre piu’ lontana, un giorno in piu’…

La grande piazza vuota

Non trovo logica in palesi illogici fatti.
C’e’ da perdere la ragione nel cercare di comprendere cosa non si riesce a comprendere.
Forse e’ possibile essere una particella tra miliardi e illudersi sull’Assoluto ma se davvero lo si vedesse l’Assoluto, magari perche’ invero e’ piccola cosa?
Sul serio l’Assoluto e’ cosi’ inesplicabile e indecifrabile da farci rinunciare nel capirlo, nell’analizzarlo, nello spiegarlo.
E se un giorno qualcuno si alzasse urlando “Io So”, dietro quale ipocrisia potremmo nasconderci? Quale preconcetto alzeremmo a scudo? In quale nozione nasconderemo la testa?
Se il Grande Inganno fosse che non esiste nessun grande inganno sapremmo accettarlo?
Potrei pormi infiniti quesiti e girare attorno come animale pazzo, senza pause, senza riposo, senza fine, per anni, secoli, interminabili secondi oppure accettare il semplice fatto di avere ragione, no di avere Ragione.
Descrittore di me stesso forse ma e’ un inizio dal quale partire.
Stupidi esseri decerebrati si riempiono la bocca e lo stomaco degli altri, del fuori, del diverso volendo abbassare ogni essere senziente allo stesso livello ed e’ cosi’ maledettamente facile partire dalla propria Ragione per innalzarsi sempre piu’, ogni giorno di piu’, forti della convinzione che una societa’ simile guarderebbe le stelle, non la terra.
Gia’ facile, ma iniziamo da qui intanto

Impaziente rintocco

Ancora sogni su viaggi da intraprendere e ancora una volta in ritardo, in tremendo ritardo.
Si ritardo, vecchie stanze, musica pesante della mia vita e mescolanza di oggetti ed elementi.
Ritardo e angoscia, qualcosa o qualcuno da raggiungere e pezzi di passato, volti del passato, luoghi del passato.
Gia’, ritardo, ma ritardo per cosa, cosa e’ rimasto indietro, magari incastrato in qualche piega imprevista, un contrattempo infido, un sospiro che avrebbe dovuto essere un urlo ma giuro, mi e’ sfuggito, non me ne sono accorto e forse quell’urlo era importante, si poteva essere importante.
Mi rendo conto di qualcosa anche se non vedo, non sento, non tocco.
Poi voglio essere letterale e mi sforzo di pensare al viaggio, al ritardo e percorro velocemente prima, lentamente poi e piu’ mi sposto piu’ rimango immobile, insabbiato in un labirinto inesplicabile.
Cio’ che esiste si confonde col sogno, cosi’ come non so piu’ se voglio seppelire qualcosa che emerge o far emergere il seppellito, se mi muovo affondo e paralizzato affondo di piu’ quindi cosa rimane mai da fare?
Sfiorare delicatamente la superficie increspata del sogno e pezzo per pezzo condurla qui, qui da me, davanti a me e ricavarne chissa’ cosa poi.
Credo di sapere cio’ che devo fare, io so, io so, io so dove sono ora, so come ci sono arrivato, quello che mi e’ costato e allora mi domando perche’ sono in ritardo, cosa mai ho dimenticato.
Lo inseguirei se lo sapessi, giuro che lo farei davvero, ormai la mia forza e’ questa del resto.
Se solo potessi iperventilare i pensieri, i polmoni, la mente…
E’ cosi’ chiaro dopo, cosi’ semplice dopo, cosi’ tranquillo dopo, potrei persino desiderare di farmi aiutare dopo.
Forse pero’ e’ proprio il dopo il problema, un dopo che prolunga il presente in un eterno domani stirato e allungato come elastico troppo teso, un dopo che non mi interessa scoprire perche’ da scoprire c’e’ ancora tutto qui, oggi, ora, si ora perche’ le macerie non interessano a nessuno ma e’ l’istante del crollo che affascina e incanta…
Tutto cio’ e’ molto stupido, ma stanotte ho bisogno di farmi male…

Curve

E’ una linea che non riesco a passare cosi’ come l’adrenalina non scende e non c’e’, non c’e’ nulla che mi calmi.
Gli occhi non percepiscono le giuste forme, i giusti colori.
Certa materia pare composta da vapore, altra piu’ densa del diamante e ho perso i legami fisici e logici di buona parte attorno.
Le mani, le mani sembrano strane, curiosi segni che non riconosco, nuove forme inseguono sentieri scavati di fresco, eventi veloci, forse troppo veloci, cosi’ veloci che non so.
Strano, in circostanze simili so rilassarmi, so carpire schegge di domani e possederli oggi ma evidentemente non oggi e non resta altro che un telo bianco e poca vernice.
Vetro opaco e zigrinature e cosi’ un tocco di cio’ che e’ stato che non guasta mai…