Come tra cristalli, immobile per non turbare, non guastare, non agitare, non fare male.
Inopportuna sensazione d’inutile presenza, ruolo non voluto ma cercato nei fatti anche se non nelle intenzioni.
Non amo questo stato di cose e mi aggiro nervosamente tra il pattume sparso di cio’ che rimane dopo l’ennesimo fallimentare giorno.
Sinergie tra passato e presente, ricordi che si fanno attuali e trappole nelle quali non finiro’ mai di cascare e cosa altro rimane del resto se non la costanza dei miei sbagli.
Consapevolezza non rammarico e per questo una tranquillita’ forse immeritata o forse l’unico frutto che il mio albero puo’ produrre e gustarlo puo’ essere poca cosa ma persino importante.
Piccolo habitat e tenero incedere di coscienza determinata se non forte e mi fermo qui, mi accontento di questo.
Incomprensione di parole sotto incipiente apatia o forse apparente apatia.
Troppo fermo, troppo soddisfatto, non resa ma restio a sbilanciarmi in posti anche solo diversi, figuriamoci ignoti ed e’ un limite, un forte limite allo spirito inquieto, all’aria mai troppo calda o fredda che respiro a pieni polmoni, irrorando sangue e pensieri di realta’ non abbastanza reale, non quanto vorrei almeno.
Time slips away
And the light begins to fade
And everything is quiet now
Feeling is gone
And the picture disappears
And everything is cold now
The dream had to end
The wish never came true
And the girl
Starts to sing
Nel fiore, nella pelle
No non va tutto bene, non va mai tutto bene, forse non lo merito neppure.
Campanellini nell’aria, soavi voci riempiono il campo sonoro e non vedo piu’ bene, non muovo il corpo, a stento le dita scivolano automatiche ed e’ cristallo che si ricompone dall’urto che sara’.
Rifletto su come questo istante sintomatico dell’essere, ronzio su melodia, disturbo accettato ed accettabile.
Incapace di dirmi che non e’ normale e non importa se cosi’ deve essere.
Urlare non ci sto, e’ inutile perche’ sarebbero urla a uno specchio ed inutile piangere sul raccolto dopo il seminato.
Accorgersi dell’abisso e non evitarlo, non importa del resto, cosi’ il dado fu tratto e io risi quel giorno.
Quanto resta non lo so, chi lo sa, ma puo’ andare cosi’ sino ad allora?
Puo’ essere un si, potrebbe bastare il si.
Diviso ancora mi ripeto che buio e luce non competono, non differiscono, non divergono, si riflettono e si identificano negli opposti, negli antagonismi compenetrano, nelle tinte si mescolano e cio’ che rimane e’ quanto e’, quanto sara’.
Un po’ come questi suoni hanno gettato fondamenta e sono fondamenta solide, che lo sia anche il nulla, il bisogno, il desiderio, la stanchezza e un pensiero che riposa li’ ora, da sempre.
So ya
Thought ya
Might like to go to the show.
To feel the warm thrill of confusion
That space cadet glow.
Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you wanna find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise.
Trasparenza silenziosa
Come una scatola vuota avida di essere riempita, gia’ mi sazio della potenzialita’ delle offerte presenti innanzi a me, ma non so, credo rimarro’ nella contemplazione di cio’ che non faro’.
E’ che mi sento esausto, incapace di offrire alcunche’.
Inutile, inutile cercare qualcosa che ora non c’e’, qualcosa che non posso dare, qualcosa che non ho voglia di esternare.
Un po’ e’ arrendersi lo so ma imperativo ignorare cio’ che dovrebbe e riconsiderare cio’ che non e’.
In fondo e’ trovarsi in freddo campo arato nel cuore del silenzio e’ c’e’ il suo fascino, contemplazione e lunghi respiri o luce abbagliante e frontale, azzurra, arida ma almeno diversa se non altro.
Questo e’ quanto, questo e’ cio’ che rimane, questo deve bastare e al diavolo il resto.
Combattuto un po’ lo ammetto ma cerco capacita’ di lasciare dietro un po’ di doveri e il resto a venire.
E’ che mi sento lontano come la visione di un film di Natale in pieno Agosto, come una risata sguaiata nella santita’ di una cattedrale, come fango su lucido marmo.
Ricercare qualcosa di sbagliato e’ una opzione da considerare ma che alternative ho del resto.
E se invece di leccarmi le ferite lasciassi che la brezza le rinfrescasse e che sia quel che sia.
Si puo’ fare, oggi si puo’ fare e se e’ solo voglia di farsi compatire, di sopportarsi, di piangersi addosso allora si, che sia, davvero che sia…
This machine will, will not communicate
These thoughts and the strain I am under
Be a world child, form a circle
Before we all go under
And fade out again and fade out again
Un problema di meno
E’ come ripercorrere i propri passi cambiando la strada, non il percorso.
Ho bisogno del mio passato, cresco e prospero sul mio passato e il passato e’ un lungo ininterrotto filo del quale si possono dimenticare pezzi e tratti senza eliminarli pero’.
Riconfigurare, ridisegnare allora, cronologia bypassata, storia non come la si aveva lasciata ma alternativa nuova ed inesplorata, studiata, riadattata ma almeno diversa.
Ma non e’ la partenza, la destinazione disturba quindi volere fare cosa, illudersi di cambiare cosa, tormentarsi perche’.
Quante inutili considerazioni pero’, che stupido modo di rovinare la serata.
E’ che certe porte aperte andrebbero non chiuse ma accostate anche se bisogna poi convivere col proprio egoismo, con la faccia dell’ingratitudine e dell’irriconoscenza.
Che fare quindi e cedere sotto il peso di qualcosa che non appartiene piu’ non e’ possibilita’ contemplata, prevista.
Un treno e’ passato, io sono salito e qualcosa, qualcuno importante no, ecco tutto.
Ho sbagliato, devo tornare indietro, devo cambiare, devo, devo…
Devo fare finta di niente, devo ignorare, devo chiudere gli occhi e poi si vedra’, si sentira’, si capira’…
Well, it’s not far down to paradise, at least it’s not for me
And if the wind is right you can sail away and find tranquility
Oh, the canvas can do miracles, just you wait and see.
Believe me.
It’s not far to never-never land, no reason to pretend
And if the wind is right you can find the joy of innocence again
Oh, the canvas can do miracles, just you wait and see.
Believe me.
Pietre allineate all’imbrunire
Non fermarsi non e’ essere in movimento e non silenzio non e’ frastuono quotidiano.
Il silenzio puo’ ferire quanto un rombo esplosivo ed assordante, fermarsi logora mente e corpo quanto estenuanti turni di immani sforzi.
Esiste il non silenzio pero’ ed e’ pieno di rumori lontani, strumenti accordati suonati dal vento, dai motori, da voci stridule attenuate dallo spazio.
Esiste il non fermarsi ed e’ ossigeno roteante e sfuggevole, luce che avvolge e sposta come meridiana, foglie il cui moto e’ relativo all’esistere, mondo in movimento attorno al quale farsi centro e moto.
Vicino, piu’ vicino ma sempre troppo lontano quando l’esterno e’ fuori dalle consuetudini.
Trovarsi nel consueto ed e’ come vacanza, nuovi colori, nuove forme, nuovi odori.
Stupisce la semplicita’, sorprende come diamante nel carbone il cui luccichio sovrasta il nero e incanta.
Forse e’ oscurita’ nella luce o luce nell’ombra ma e’ inaspettato fascino e se e’ poca cosa, perche’ e’ poca cosa, c’e’ bisogno anche di questo, uscire dal ruolo assegnato, deviare dal percorso e poi rientrare certo, sempre, comunque ma dopo, solo dopo, tra un po’ magari…
We fired the gun, and burnt the mast,
and rowed from ship to shore
The captain cried, we sailors wept:
our tears were tears of joy
Now many moons and many Junes
have passed since we made land
A salty dog, this seaman’s log:
your witness my own hand
Luminosa fragranza
Non ricordavo quasi nulla di quel film eppure mi rimase qualcosa addosso quando lo vidi.
Sospeso sull’acqua, plastica cedevole e cielo terso a tenermi lontano dal fondo.
Musica lontana, quasi soave ma il caldo a renderla tale e vento fresco suo alleato.
Non ricordavo praticamente nulla di quel film eppure ho ripensato a quel cielo, a quella piscina, a quel caldo.
Cercavo film, film perduti, non ricordavo quasi nulla di quel film eppure mi e’ tornato alla memoria ma non sapevo cosa volere, come trovare.
Uno spot, un titolo e ho saputo senza saperlo, pochi secondi ed era il mio film, anche se non ricordavo quasi nulla.
Si, non ricordavo quasi nulla se non che era una notte in cui il solo pensare al domani faceva male, faceva malissimo.
Era una di quelle notti in cui ogni stanza e’ troppo piccola, ogni rumore e’ frastuono, ogni pensiero ago rovente nella carne.
Anche un solo film puo’ essere l’unica salvezza, la sola luce.
Quel film non lo fu e lo disprezzai per questo ma ugualmente rimase qualcosa addosso.
Non so, non so proprio di che si tratta ma so che si trova in quel cielo e quella piscina, in qual caldo e in quel vento, in quel dolore e nell’esserne emerso ancora una volta.
Transistor lineare
Chiudo gli occhi e cerco un posto distante, non troppo distante, solo un po’ distante.
Ho gia’ girato tutti i posti ma non importa, ci torno comunque prima o dopo, tanto non e’ mai tardi, in fondo non e’ mai tardi, sempre e mai non sono tardi.
I posti sono luoghi ma anche tempi e colori e ho visto tutti i colori ma non i tramonti, quelli no, ne mancano tanti e non c’e’ mai tempo per farlo e ho paura di non riuscire a vederli tutti.
Macerie e fondamenta sulla sabbia si confondono e si mescolano, danzano nella calda luce su ritmi sintetici e se un po’ di noia avanza, ne afferro l’anima sublime e mi inchino ai privilegi che la posizione comporta.
L’intorno va bene, l’intorno funziona, l’intorno luccica come oro ma ho gli occhi stanchi, le gambe stanche, i pensieri stanchi e lascio che la meraviglia mi sfiori senza ghermirmi, luce al neon che non nuoce ma non scalda, cielo artificiale perche’ il cielo vero appartiene ad altrui cuori.
Questi sono piccoli posti ma sono miei, sovrano di niente col sogno di non possedere nulla, ma che sia almeno un nulla di chi amo.
Della tua vita
mi regali un attimo
e io so che malgrado il passato
e malgrado il futuro
questo istante che e’ la nostra vita
e’ l’attimo in cui mi ami
Ho diviso un istante
L’universo finira’ con me: non mi spaventa, e’ quasi conforto, protezione.
Non c’e’ paura, non c’e’ mai nella consapevolezza assoluta, nella verita’ indiscutibile.
Dovrei sentirmi molto solo ma non lo sono perche’ il futuro converge col nessun futuro, bianco e nero, acceso e spento, no mezzetinte o penombre a creare indecisione, sospetto, titubanza.
E’ talmente facile, cosi’ facile, come coprirsi gli occhi e non vedere piu’ alcuna luce, tapparsi le orecchie e lasciare i rumori lontani da se’.
Cerco ragioni per smentirmi ma non riesco a trovarne.
I lasciti esistenziali sono talmente impegnativi, cosi’ pesanti e pressanti, responsabilita’ che trascendono i doveri, impegno verso un’umanita’ indifferente, troppo protesa al perfetto e all’eterno per bazzecole come la mortalita’, cio’ che transita e non stazione, non prolifera, non germoglia.
Sono un’istantanea nel flusso d’immagini, fotogramma in fusione bloccato sulla lampada, colori brillanti e luminosi poi bolle marroni e odore di bruciato.
Un rivolo di fumo e cosa rimane, forse ombre sulle pareti, parole sospese, canzoni dimenticate, qualcuno che mi ricordi, a cui ho dato qualcosa forse…
The innocence of sleeping children
Dressed in white
And slowly dreaming
Stops all time
Slow my steps and start to blur
So many years have filled my heart
I never thought I’d say those words
The further we go
And older we grow
The more we know …
The less we show …
Rimozione sicura
Potrebbe anche essere la notte giusta per arrendermi, almeno un poco.
Abbandonarmi nella fragilita’, cedere alla debolezza, permettermi di non essere all’altezza, concedermi il lusso di una resa incondizionata.
Cio’ che vorrei di piu’ ora sarebbe qualcuno mi sussurrasse che tutto e’ sotto controllo e gestito senza di me, che ogni pezzo si incastrera’ con gli altri magicamente e senza alcuno sforzo.
Vorrei un lungo fiume e una barca su cui riposare mentre la corrente ed altrui braccia traghettano la stanchezza delle braccia, delle gambe, dei sensi, lontano da me.
Smettere di vedere il giorno con un grandangolo ed essere preso per mano, guidato con lenti movimenti e sicuro non preoccuparmi di ogni passo da compiere.
Eccomi quindi solo sul palco, tutte le luci puntate su me, dai riflettori odore acre di polvere bruciata e l’immensa sala innanzi allo sguardo.
Un bell’inchino alle sedie vuote, ai loggioni deserti, un umile passo indietro e ancora avanti per ringraziare nuovamente, si spengono le luci, lento scendo le scale del palco e senza esitazione mi incammino verso l’uscita.
Il palco e’ vostro, senza rancore, almeno per oggi voglio fare lo spettatore lasciando i protagonismi a ieri e al domani.
Io che non ho trofei
dentro i miei musei
nei tornei che non ho vinto
certo o incerto se ogni d
Finale
Cosa rimane del giorno quando il giorno non e’ mai stato tuo?
Come il charlestone di Connie Kay, batte costante il senso di qualcosa che e’ andato perduto, meglio sprecato, forse inutilizzato.
Eppure intensa, eppure riposante, eppure vitale, eppure tranquilla, bianco e nero, ventaglio emozionale vissuto, quindi che chiedere di meglio?
E’ nel senso e controsenso a ben rifletterere e in essi scopro di non essere stato ringraziato abbastanza e di non averlo fatto a mia volta.
Ingratitudine, a volte solo carenza d’educazione e ci si domanda se e’ infantile bisogno di soddisfazione o meritato riconoscimento di valore umano e professionale.
Ancora una volta lasciare correre in manifesta superiorita’ o esigere inutile seppur giusto tributo, domanda a sua volta da scivolare tra le dita come fastidiosa polvere grigia e irritante.
A mia volta in difetto invero di ingratitudine, di un solo grazie ma importante, il piu’ importante perche’ certe persone non sono carne, ma fondamenta su cui poggiare il giorno, le opere, tutti i grazie non ricevuti…
Voi, voi che noi amiamo. Voi non ci vedete, non ci sentite.
Ci credete molto lontani eppure siamo cosi’ vicini.
Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi e’ lontano,
siamo messaggeri che portano la luce a chi e’ nell’oscurita’,
siamo messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono.
Non siamo luce, non siamo messaggio, siamo i messaggeri.
Noi non siamo niente. Voi siete il nostro Tutto.