Potrebbe persino essere vero che qui non vivo ma mi rifugio.
Sarei poi cosi’ deprecabile, sarei cosi’ inumano e deviato? Lo sarei davvero?
Poche cose ho imparato nella mia vita, ma tra queste c’e’ che una persona e’ cio’ che e’ 24 ore su 24.
Si, ci si maschera, ci si nasconde, indossiamo sorrisi piangendo e uccidiamo lo stomaco con la rabbia che vorremmo buttare fuori, ma dentro, dentro siamo quella persona al di la’ dello specchio, quell’uomo che al mattino si alza perche’ ha dei doveri e alla notte non dorme perche’ le ore passate non si placano mai, girano e rigirano per lasciarti veglio ed asausto al loro interno.
Ebbene che dovrei fare quindi?
Vivere la mia ora di “famiglia felice” come ora d’aria in premio?
Stendere le gambe sulla poltrona preferita e farmi raccontare la giornata da figli sorridenti, mentre la mogliettina in cucina sparge aromi per casa e il cane porta il giornale scodinzolando?
Magari qualche volta alla settimana, come se il resto del tempo non esistesse?
Come se quell’uomo oltre lo specchio non esistesse?
E allora cos’e’ per te la vita?
Forse un morso della migliore torta del mondo e’ meglio di nulla oppure senza mezze vie con quella torta ci si toglie l’appetito?
Lascio agli altri la risposta, io mi limito a porre la domanda e a sorridere dalla cima del mio trono, dal basso dei miei giorni…
I can hear the cry
Of the leaf on a tree
As it Falls to the ground
I can hear the call
of an Echoing voice
And there’s no one around
We’re two of a kind
Silence and I
We need a chance to talk things over
Two of a kind
Silence and I
We’ll find a way to work it out
Bagliori di citta’
Ho una infinita’ di lavoro da terminare e ho come l’impressione che non terminero’ quasi nulla di quanto dovrei.
Indiscutibilmente ho dato molto, non troppo perche’ troppo non lo e’ mai, ma se rinvio a domani non mi sentiro’ certo in colpa.
E’ che il mondo gira lo stesso, affermazione banale ma verissima, affermazione erroneamente semplice quando per anni emulare Aliante sembra piu’ missione che dovere.
Poi resisti, stringi i denti e si cade, perche’ sempre si cade e dal fondo delle piastrelle accorgersi che nulla e’ fermo, niente e’ in attesa e concitato chiedi aiuto per rialzarti il prima possibile, per reagire il prima possibile, per tornare in sella il prima possibile e non c’e’ una mano che si tende, non c’e’ una parola di incitamento, non c’e’ un sorriso a sostenerti e ricordare cio’ che hai realizzato non aiuta, non aiuta comunque e comunque ogni persona, ogni oggetto, ogni lancetta si sposta alla medesima velocita’ di sempre, forse un po’ piu’ lentamente ma indipendente da te, piu’ lentamente delle aspettative, delle speranze, dei desideri.
Ci si rialza, si riprende a correre perche’ anche cosi’ ti senti un po’ piu’ vivo ma la corsa cambia, non rallenta ma muta in sospinta accelerazione da cieco e sordo spasmodico protendersi.
Sempre avere avanti il perche’; il dove sara’ una conseguenza e se spiacevole pazienza.
E’ il viaggio, si il viaggio, sempre il viaggio ad essere importante…
So I went from day to day
Tho my life was in a rut
till I thought of what I’d say
Which connection I should cut
I was feeling part of the scenery
I walked right out of the machinery
My heart was going boom boom boom
Hey, he said, grab your things, I’ve come to take you home.
Yeah back home
Angelo inquieto
Il fato puo’ essere incredibile.
Vi sono luoghi, oggetti, semplici situazioni in cui una infinita’ di linee temporali, eventualita’ a miliardi, occasioni inesauribili convergono in un solo punto, solitario e univocamente determinato.
In questo punto nessuna variabile o possibilita’, solo certezze e inequivocabili garanzie.
Come strettissimo imbuto, tutta l’esistenza che potrebbe essere diviene cio’ che sara’ per emergere e divergere ancora una volta, ma non li’, non in quel momento.
Un po’ come questa cassetta audio, una di quelle che gia’ appartengono al vetusto modernariato, scrittura incerta ma curata, senza errori o quasi, righe traballanti malgrado le linee guida e un leggero abbozzo di stile per renderla meno ordinaria.
Due amici diversi per registrare due album molto diversi, per gruppi molto diversi ma entrambi figli del loro tempo, del mio tempo.
Niente lasciava presagire che avrebbero inghiottito il presente e ogni tipo di futuro, remoto o meno, niente poteva suggerire che in questo vortice mi sarei perso per uscirne diversissimo, profondamente mutato, trasformato in qualcosa di nuovo, in cio’ che sono in fondo.
Si potrebbe osare che siano solo coincidenze, simboli profani di inevitabili accadimenti, viaggio distorto e disturbato di un tempo eccessivamente distante, ma no, non la penso cosi’.
In fondo se una lama lascia cicatrice, se duro colpo scheggia, se acqua leviga, perche’ il destino non puo’ donare musica?
Life’s not complete till your heart’s missed a beat
And you’ll never make it up, or turn back the clock
No you won’t, no you won’t
Taglio finale
La notte e’ giusta per farsi accarezzare dai demoni di Waters.
Del resto tra queste mura ho imparato da tempo come convivere coi fantasmi, tutti i fantasmi, i fantasmi di chiunque.
E’ che la solitudine non esiste se non stato mentale, ponteggio di paure e catastrofi annunciate, spauracchio da madre a bambino.
Un tempo le notti non avevano luci, non avevano fuochi, non avevano calore e come topi spaventati e infreddoliti ci si ammassava per giungere alla notte successiva e a quella dopo ancora.
Mio Dio che terrore abbiamo provato per conservarlo ancora dentro, l’orrore della solitudine che si propaga nel tempo e nelle anime come onda di sasso in placido lago.
In quelle grotte siamo pero’ cresciuti, abbiamo creato la tecnica, l’arte, la scienza, in quelle grotte a un passo dal mondo esterno abbiamo visto le stelle e sognato di raggiungerle riuscendoci.
In quegli anfratti di roccia il tocco si e’ trasformato in carezza, l’urlo in parola, il movimento in danza.
Nella solitudine, nel terrore, nel freddo, nel buio, siamo divenuti uomini e per questo non ho paura di starmene qui, in quegli stessi luoghi, dell’anima forse se non geografici ma che cambia.
Si, rimango nel vortice di ombre e spettri anche per stanotte e forse avro’ persino voglia di allungare il collo per guardare le stelle e chissa’ che davvero non sia la volta buona che mi decida a raggiungerle…
Fu nefasta e temibile l’eta’ del tempo
Di profonda e irrimediabile poverta’
Quando ancora non si distingueva l’aurora dal tramonto
quando l’aria della prima origine mischiata a torbida
e instabile umidita’ al fuoco ed alla furia dei venti
celava il cielo e gli astri
Nuova eta’
Giorni come questi sono lerci sacchetti di plastica su smeraldo prato all’inglese.
In giorni come questi le canzoni non hanno titoli ne’ autori, nessun anno tantomeno storia, solo suoni incontrollabili amalgamati con la storia di qualcuno che non conosco e di cui non ricordo nulla.
In giorni come questi l’aria e’ densa melassa, ti sbatte violentemente sul volto e scivola come viscida lumaca giu’ per i polmoni, lasciando bruciante apnea nel petto, nello stomaco, negli occhi.
In giorni come questi concedi magnanimo indifferenza ed esigi ampi inchini ed onori perche’ in giorni come questi la gente, gli animali, gli oggetti, tutto lo stramaledetto pianeta ti deve qualcosa.
In giorni come questi sei solo perche’ li’, li’ fuori ci sono strade che non conosci, alberi minacciosi attorno sentieri aridi e polverosi, estranei con niente da condividere e la poca luce crea sinistre ombre allungate che si protendono sulla pelle bruciandola come acido.
In giorni come questi il cibo e’ un dovere, materia da inglobare come ameba ottusa, il gusto e’ un lusso lontano nemmeno desiderato, un poco sperato forse, in fondo un optional e certo unico perche’ il cibo del passato non e’ piu’ neanche ricordo, tantomeno piacere.
In giorni come questi non so perche’ scrivo o forse faccio solo finta di non saperlo per ignorare nei giorni come questi come mi sento dentro, per non pensare che vi saranno altri giorni come questi e nei giorni come questi chissa’ che non aiuti ricordarmi che gia’ l’ho vissuto, che gia’ ne sono uscito, che giorni come questi non durano per sempre…
Regioni antiche
Ecco, ora si che il cerchio torna a chiudersi.
Cosa potevo aspettarmi, cosa volevo veramente in quale illusione stagnante mi sono tuffato credendola fresca neve appena sciolta.
E’ che devo convincermi che nulla e’ per caso, forse non predeterminato ma di certo non fantasia di un giorno di noia.
C’e’ qualcosa maledizione, qualcosa nella mia equazione che sbilancia il risultato, variabile imperfetta, imprevedibile e viscida.
Io pero’ mi fermo qui, davvero, non c’e’ abbastanza scienza nella mia logica, non abbastanza estro nella mia arte, insufficiente forza nei muscoli per andare oltre.
Poi forse basta poco, tanto e’ sempre questione di poco, e’ comunque questione di poco, dipende ogni volta da poco, ancora poco e il traguardo, forse meno e la conclusione, infinitesima distanza ed eccoci alla fine.
Ormai ho capito la lezione, compresa da piu’ tempo sperato e depongo le armi, non per resa o codardia bensi’ viso aperto laddove non c’e’ piu’ timore di sconfitta perche’ nulla si vince e tutto si perde.
Pero’ qualcosa imparo e non sempre cio’ che nuoce fa male perche’ forse avro’ torto oppure ragione, ma e’ certo che ho, e’ sicuro che sono, senza altri margini d’errore, senza zone d’ombra o incertezze.
Si, questa volta mi propongo senza domandarmi, offro senza discutermi e cosi’ rimarra’ finche’ rimango perche’ esisto nei diritti, una volta tanto nella certezza dell’immutabile e nella consapevolezza di essere fermo e solo punto, immobile in me stesso ma almeno non piu’ in balia di onde che mi vogliono differente.
Prendere o lasciare, ecco tutto.
Io intanto mi sposto un po’ piu’ in la’; una volta tanto il teatrino voglio guardarlo e non viverlo.
Prezzo esposto differente
Non sarebbe niente se fosse per i giorni, tutti i giorni, quasi tutti i giorni.
Scalare piedistalli altissimi, vertiginosi, indossare maschera e corazza, magari quella nuova nuova, appena forgiata, senza una sola ammaccatura e splendente come un sole nuovo.
Accidenti che meraviglia, che portento, che supremo godimento.
Accade pero’ qualcosa ed e’ sempre inaspettato, celato in stupidi film, frasi buttate a caso, sequenze intercalate, montaggi imperfetti.
A volte e’ un sorriso, un gesto distratto di qualche sconosciuto, fugace pensiero che oscura come un rapido uccello davanti al sole e si rimane nudi, difesi solo dall’orgoglio e dalla dignita’ e tutto, tutto, tutto e’ talmente inutile…
E’ come bicchiere di vino per ex-alcolista nelle sere difficili, e’ come sigaretta quando la pressione e’ alle stelle e hai smesso di fumare.
Tentazione di abbandonarsi e non risalire piu’, sdraiato su un divano come in grembo, precipitare con molta calma da altissimo palazzo e godersi la caduta, tanto che costa…
Poi si, se ne esce, se ne esce sempre, le corazze sono ovunque nel giardino spoglio sotto casa e la coerenza di necessita’ fatta virtu’ aiuta.
Anche un po’ di vittimismo serve, ma e’ bene non dirlo troppo in giro, a voce troppo alta…
Waiting again
Waiting
Like I waited before
Waiting again
Waiting here for nothing at all
Heaven fills up my dreams
And I love it
Like a baby screams
Impari
Indefinibile malessere, stato di inutile ineluttabile.
Sembra gioco di parole ma e’ guerra di nervi, stato emotivo come stato di vita, condizione permanente oramai, cronico incedere quotidiano senza sbocchi o uscite.
In fondo cosa mai sara’, come evadere da un cerchio dal quale non si vuole evadere.
Affrontare la realta’ e’ anche guardarsi incapaci di reagire oltre il caldo habitat di disorientamento, scusa pronta ed efficace per non uscire troppo, magari senza cappottino e maglietta di lana.
Necessariamente male o solo una guerra diversa?
Conflitto interiore sorto dalle ceneri di desideri irrisolti oppure normale condizione per non morire su un divano, per non seccarsi in aride risate, in aride uscite, in aride convivenze che per qualche ragione bisogna subire?
E se non fosse una scusa, se non fosse un rifugio ma all’opposto il declivio per muovere acque altrimenti stagnanti, uragano con aria stantia, movimento subatomico per dare calore a particelle statiche e gelate.
Disagio come attacco e non difesa, arma micidiale e non passivo scudo dietro il quale pararsi.
Urlo di rabbia o dolore che sia puo’ spaventare il nemico e come potrebbe comprenderne la differenza se la resa incondizionata non diverge dalla cieca collera quando ci si scaraventa con la determinazione di colui che niente ha da perdere.
Forse sono parole, ma c’e’ un nulla la’, la’ fuori dal quale e’ difficile fuggire, che promette aria malsana e acque ferme, proprio quelle acque da cui si cerca di scappare.
Mi arrendero’, tutti lo fanno, tutti lo facciamo ma per ora ho ancora qualche lacrima da spendere per rimanere al mio posto, almeno un po’, ancora un poco…
A me il sole da fastidio e sai che
Le giornate troppo limpide
Reazione alla luce
Nuovi strani sogni e nuove domande e nuovi ricordi e nuove perplessita’.
Ho congelato quelle immagini, analizzato il simbolismo, immerso in auto-transfert per ricavare misere verita’, banali congetture, inutili responsi.
E’ che in una realta’ sbandata, persino il percorso onirico puo’ essere quello giusto.
Ipotesi, supposizioni e una sola certezza nel caos inconscio: See Me, Feel Me degli Who che mi segue dal risveglio.
Non e’ esatto; e’ musica e immagini da Tommy, la sua sequenza finale.
Tommy libero che risale la corrente dove il fiume e’ ruscello, rocce levigate sempre piu’ appuntite e a strapiombo, nera parete e infine il piano, la vetta del mondo, del proprio mondo e il sole come premio.
Caldo sole da accogliere a braccia spalancate, fusione sacra e pagana, umano corpo eletto a corpo celeste come da Kubrickiana memoria e infinita pace, liberazione da ogni fardello, da tutti i dolori, dai dubbi e dalle domande.
Non molto diverse dalle scogliere di Quadrophenia in fondo; percorso inverso ma perche’ non finale ad anello nel suo opposto?
Davvero, non voglio riflettere su significati o collegamenti semplicistici, lascio letti e lettini alle spalle e nella penombra della giornata trascorsa soffiero’ ancora una volta sui graffi che la chitarra di Townshend lascia sulla pelle e con l’aliante bianco volero’ ancora una volta sul mediocre mondo sotto me.
On the dry and dusty road
The nights we spend apart alone
I need to get back home to cool cool rain.
The nights are hot and black as ink
I can’t sleep and I lay and I think
Oh God, I need a drink of cool cool rain.
Solo nuovo
Vorrei possedere l’anima innovatrice di Le Corbusier, l’armonia fluida di Gehry, l’estro disgregatore di Ito, gli stilemi spaziali di Meier, la luminosa tridimensionalita’ della Sejima.
Vorrei creare luoghi in cui vivere, spazi che tolgano il respiro, luci in cui fondersi, interni in cui abbandonarsi.
Acciaio, vetro, luci azzurre e gialle per attirare sguardi come falene con l’irradiante viola, cemento ordinatamente schierato in possenti griglie ed irriverenti interruzioni ritmiche di scale e piani in trasparenza, neon come tenui fuochi fatui, inorganici e asettici eppure avvolgenti ed ipnotici.
Riflettente marmo venato di profondo nero sotto i piedi e ceramiche traslucide ad altezza uomo, immensi atri come in antichi castelli, come le nuove cattedrali erette dall’uomo per l’uomo, ode alla modernita’, al progresso, alla civilta’.
Eppure intimo, sicuro, accogliente, ritrovo prima di individui, solo dopo uomini.
Socializzazione come scelta e non obbligo, collettivo voluto e non imposto, unione che non significa promisquita’.
Questo e’ il luogo che vorrei creare per gli altri perche’ non saprei erigermi un posto simile, sarebbe troppo immenso, troppo sfarzoso, troppo meraviglioso per la vertigine dei grandi spazi, troppo luminoso per la pupilla, troppo invitante per la misantropia che mi contraddistingue.
Mi nutro di luce riflessa e se dovesse confondersi con generosita’ allora cosi’ sia.
Guardero’ da fuori, spettatore curioso, testimone soddisfatto, sincero grazie bastera’ per essere, per esserci.