Ho la testa che scoppia e non metto bene a fuoco.
Probabilmente basterebbe un po’ di aria fresca, magari due passi ma cosi’ facendo eviterei la sorsata di fiele quotidiano, cilicio d’ordinanza e abbondante sale sulle ferite.
Poi non e’ vero neppure questo, solo intima autocommiserazione condita da fecondo massaggio dell’Io.
Probabilmente basterebbe un bel film, uno di quelli con la pretesa di far vedere coi miei occhi, magari cercando di trasmettere stupore e sublime meraviglia ma finendo per mostrare il dito col quale indico.
Dipende da me forse, che sono appassionato ma non convinco e allora che rimane, su quale cavallo puntare le ultime monete…
Non accetto il ruolo di novello cassandra, non desidero imporre alcunche’ ma il bozzolo che contiene l’istinto di protezione sputa un po’ della sua forza imprigionata e cerca di parlare, ragionare, raccontare.
Poi mi rendo conto che certi bisogni non si estinguono a parole, certi dolori non passano con le carezze, certe ferite non si chiudono a sorrisi.
Perdonatemi per questo, scusatemi se non so come si fa, se non ho avuto occasione di apprendere, di scoprire i segreti delle meccaniche celesti, io, io che non esisto oltre le mie frasi, i miei libri e le mie canzoni, io sterile pensiero dai fertili desideri, notte senza alba, lacrima senza guancia, urlo senza bocca, io che rimango io, comunque, ovunque…
La parola non ha
ne’ sapore ne’ idea
ma due occhi invadenti
petali d’orchidea,
se non ha
anima.
Coprifuoco
Per qualche strana ragione amo le periferie, la loro estetica soprattutto ma e’ il complesso degli elementi che le compongono ad affascinarmi maggiormente.
Non parlo di ghetti o del degrado col quale tendiamo a descrivere certe zone cittadine, bensi’ di agglomerati urbani inevitabilmente compatti e compattati, ripetizione causale ed armonica seppur semplicistica, di spazi abitativi, spazi contenitivi forse.
Esiste un ordine specifico nelle periferie e se cosi’ non fosse, non potremmo riconoscerne il caos altrimenti.
Cio’ che davvero contraddistingue le periferie dal resto della citta’ e’ l’imperferzione, la crepa nel centro esatto di ogni parte che definisce e compone.
Intonaco grossolano e venato, ampie zone che paiono staccarsi al primo tocco e che gonfiandosi riflettono la luce diversamente, come respiro di un corpo che affanna per vivere.
Colori desaturati come i panni stesi sui balconi semitrasparenti dai quali emergono oggetti coperti da plastica sporca di smog, residui di passato costato dolore e forse per questo ancora conservato, ancora vicino, ancora posseduto.
Colori spenti come le tende che dividono quel poco di casa dalla barbarie, bozzolo per non sentire, non vedere, seta con la quale sperare di emergere come farfalla dopo bruco.
Colori malati come l’anima dei volti di persone piu’ deluse che arrabbiate, non del tutto arrese, con ancora forza sufficiente per tenere basse le pieghe della bocca e incise le rughe sulla fronte.
Amo la concretezza delle periferie, lo spasmodico sforzo di democratico appiattimento stilistico, spezzato da rigagnoli arrugginiti di grondaie forate, dai buchi lasciati dalle piastrelle ornamentali oramai staccate, dalle esalazioni di tubi corrosi.
Adoro le pavimentazioni grigie degli ingressi, consunte superfici, irrimediabilmente opache di graffi e strisciate, tracce di una umanita’ che arranca senza correre.
E’ quel verde dei cespugli spogli anche d’estate che affascina, i mozziconi e i kleenex, carte di gelato e plastica trasparente gettata da uomini piu’ stanchi che maleducati.
Cio’ che e’ perfetto abbaglia, ma e’ nelle periferie che ritrovo la mortalita’, il susseguirsi della vita, il ciclo dell’esistenza e in fondo la speranza, l’ambizione, la voglia di un mondo troppo grande e bello per chiunque, di certo anche per me…
Colonna riflessa in acqua immobile
Cos’e’, ho il cuore duro forse? Deludo, faccio rimpiangere favolosi tempi passati?
Che devo dire, ancora accetto, ancora sopporto.
Se solo, se solo, se solo potessi uccidere il cinismo che mi avvelena il sangue e rendere il cuore immarcescibile pietra allora sarei libero, dopo potrei andare al largo e muovermi verso il fondo, mia unica meta possibile, senza alcuno sforzo.
Mare…
In certi momenti mi rifugio nel pensiero del mare, chissa’ perche’.
Magari e’ solo un luogo lontano, chimera del diverso, desiderio piu’ relativo che assoluto, dislivello di terre ed emozioni ma la realta’ e che non importa davvero dietro quale dito si nasconda la ragione.
E’ quell’onda bassa e leggera che si antepone tra sabbia e dita che non riesco a togliermi dalla vista, e’ sole caldo ma non rovente e vento, tanto, tanto, tanto, vento.
La verita’?
Le gambe non mi reggono ed ogni passo e’ agonia ed e’ cosi’ difficile aggrapparsi a qualcosa…
… o forse non so piu’ che significa dipendere dagli altri e completare cosi’ la disfatta in patetica resa e’ passaggio piu’ banale che scontato.
Comunque sia, se il pavimento e’ solido e se le ginocchia reggono posso anche aspettare qui che le forze tornino e al diavolo tutto il resto.
When the singer’s gone
Let the song go on
It’s a fine line between the darkness
And the dawn
They say in the darkest night
There’s a light beyond
Luna immobile
Esigo solo essenziali presenze.
E’ come se ogni pietanza oltre il pane divenisse indigesto boccone, mefitico intruglio da evitare per avere vita salva.
Cosa aspetto, il fine settimana forse, la fine di qualcosa, l’inizio di altro, non so, non so davvero.
Servirebbe un boato di timpani tra un esercito di archi per suscitare emozione e voglia, crescendo in crescendo, turbamento di ore incoerenti nella contemplazione di cio’ che non merita ma ora immenso come un unico dio.
Potrebbe essere attesa, potrebbe essere sana tensione emotiva, potrebbe essere un cuore libero.
Potrebbe manifestarsi pero’ in qualcosa che brucia, qualcosa che non dovrebbe, qualcosa che si agita nell’ombra, maledizione senza luce, reietto fantasma tra stanze deserte e abbandonate.
Si, potrebbe ma posso dimenticare, posso stogliere lo sguardo e immaginare un luogo immerso in questo solo vento tiepido che porta con se’ aroma di limoni, di erba fresca, di natura che riposa senza dormire.
E’ che non ho altro rimedio al desiderio di un po’ di requie laddove non una singola parola viene compresa, non un gesto correttamente interpretato, dove scientemente si desidera colpire per noia, per frustrazione, per strana forma di rivalsa.
Poi non comprendo, difficilmente mi adeguo tantomeno mi interrogo, forse mi dico che sono inezie e me ne convinco perche’ e’ la verita’, poi basta un po’ di aria calda e profumata affinche’ ne valga ancora la pena.
We move in circles
Balanced all the while
On a gleaming razor’s edge
A perfect sphere
Colliding with our fate
This story ends where it began
Istinto dal timbro metallico
Un tempo ero piu’ diplomatico.
Non e’ vero neppure questo, forse un tempo ero meno compresso e meglio dosavo le emotivita’ negative per rilasciarle con grado e moderazione.
Oggi comprimo, oggi conservo, sfogo quando e come posso e altresi’ sbotto pericolosamente.
Talvolta mi ammanto di finta comprensione, falsa sopportazione che inevitabilmente sfocia in ingiustificata escandescenza.
Strana dote la diplomazia, certo ci si nasce, forse la si impara, sicuro la si perde.
Da giovani forse e’ difficile coltivarla nell’irruenza ormonale ed emozionale, oggi c’e’ ancora troppa corsa nelle gambe per rallentare e mediare, troppo sangue nelle vene che scorre impetuoso con la forza di colui che ha sempre meno da perdere e tutto da guadagnare.
Invero me ne frego della diplomazia ed e’ missione averne sempre meno bisogno.
E’ guerra alle metafore, ai giri di parole, ai sotterfugi, agli eufemismi; brutalmente sincero ricerco chi comprenda, chi arrivi a disprezzarmi dandomi pero’ credito di coerenza ed onesta’.
Posso permettermi di sfidare il mondo e le persone che ci sono dentro?
No, no di certo e saro’ perdente per averci provato, ma se avro’ l’onore delle armi seppure inutile, sara’ vittoria.
Andare a piedi fino a dove non senti dolore
solo per capire se sai ancora camminare.
Il mondo
Inatteso lucido
A volte guardi un telefilm, uno di quelli nuovi e luccicanti e in esso ritrovi un oggetto, messo li’ per poco, per niente ed ecco infinite ore che tornano come amici da un viaggio lungo e lontano.
Non ho resistito e ho dovuto resuscitare il vecchio Apple II dal sepolcro di polvere e ragnatele.
Non funzionava e verrebbe da dire ovviamente e aprirlo e’ viaggio in un futuro anteriore, sogno steam-punk di un’epoca lontana piu’ vicina ai romanzi che alla realta’ e in fondo non diversa da oggi se il fiato e’ rimasto in gola per lunghi secondi dopo lo schiudersi del pesante coperchio in lamiera.
A differenza di allora oggi ho sorriso, questo si, ma senza ironia, niente da sbeffeggiare o deridere.
Un sorriso all’innocenza, foto ritrovata di bambino e di luoghi accantonati.
Toccare quelle schede, sistemarle in slot dalle piedinature imbrunite, arrotolare filamenti di rame, ancora uno sguardo curioso, alimentazione e accensione.
Il suono del bootstrap non l’ho mai scordato ed e’ saluto affettuoso, pochi secondi e il cursore lampeggia fedele, rassicurante, invitante.
E’ quasi emozione scrivere e ogni tasto e’ un rintocco, ritmico rilascio plastico di molle, automatismi acquisiti divenuti innati, riflessi non piu’ nozioni, conoscenza non piu’ sapere.
Il mio software, innocente quanto inutile eppure cosi’ grande, importante, immenso.
Leggo ancora la magia in quelle righe, trovo dedizione e capacita’, fondamenta di grezzo cemento armato, registrazione in altra forma, in altra lingua, in altra disciplina di giorni importanti, unici.
Capisco sembri patetica nostalgia ma ogni avventura ha bisogno di un mezzo per essere vissuta e se come scrissi in passato, certi oggetti hanno un’anima, altri l’anima sanno donarla.
Chi e’ maestro nell’arte di vivere distingue poco fra il suo lavoro e il suo tempo libero.
Persegue semplicemente la sua visione dell’eccellenza in qualunque cosa egli faccia,
lasciando agli altri decidere se sta lavorando o giocando
Canzone della terra
Frasi strappate tra un volteggiare di archi e l’altro.
Non so perche’ e da dove venga questa voglia di Sakamoto, forse anch’egli a cavallo di due differenti luoghi o solo desiderio di quell’anima immensa racchiusa in uno scrigno di malinconia.
Devo solo superare questo momento a sua volta sospeso, appeso sopra il conflitto estenuante tra dovrei e saro‘.
Vincera’ quello che non doveva, la strada meno probabile sara’ imboccata, ora lo so, ora lo vedo.
Non mi dispiace nemmeno piu’ di tanto solo un poco; non doveva proprio andare cosi’ ma e’ la cosa giusta, ora lo so.
So anche di essere molto, molto lontano ora.
Distratto e se la presenza fosse sbagliata, ma non sono proprio qui, mi dispiace ho bisogno di fare mio l’essenza nuova e la nuova assenza.
Forse mi giudichi diverso ma non sono mai stato tanto vero.
Forse mi reputi incoerente ma se osservi a fondo vedrai collimare pensieri, gesti e parole con rara precisione.
E’ che ho sopportato tanto, ho affrontato le paure piu’ orrende, ho demolito e ricomposto il tempo trovando una risposta per ogni domanda.
Mi sono smembrato e persino umiliato, giocato a scacchi con me stesso vincendo senza perdere e in quella casa orrendamente vuota e impolverata si sono affacciati fiori e colori, fragranze mai sentite, canzoni stupende.
Cosa ho dato in cambio?
Risate nervose e lacrime copiose ecco cosa.
No, non posso reggere oltre; io mi fermo qui e non e’ cattiveria, solo debolezza.
Infine sconfitto.
Evil turns to statues – and masses form a line
But I know which way I’d run to if the choice was mine;
The past is knowledge – the present our mistake
And the future we always leave too late;
I wish we’d come to our senses and see there is no truth
In those who promote the confusion for this ever changing mood.
Posti in cui andare
Tornando a casa guardavo il cielo, lo faccio sempre del resto.
E’ un momento banale ma e’ un momento mio e in questa epoca di immense emozioni e gesti eclatanti, qualcosa di cosi’ piccolo e’ faro in buio profondissimo.
Gia’ banale, mortalmente banale…
Banale il cielo grigio solcato da profonde striature azzurre, banali le cime degli alberi leggermente piegate da un vento dolce ma persistente che sapeva di buono e come non definire altrettanto banale il bagliore malato ma ancora potente a ovest di un sole stanco ma con tanta voglia di esserci.
Quanto puo’ essere banale specchiarcisi dentro, proprio li’, proprio ora che si avvicina la mia di tempesta.
Sono nella fase del vento, quello crescente, nuvoloni grigi, veloci e luce che lentamente e’ destinata ad eclissarsi.
Ormai lo so, ormai sono pronto, ormai controllo la rabbia e la paura, ormai e’ quasi diversivo, quasi amico.
In fondo e’ divenuta una delle cose che so fare meglio, persino il mio orgoglio a ben guardare ne gioisce ma non cambia l’essere come nuvole sempre nere, sole sempre piu’ spento, vento sempre piu’ impetuoso.
Mi chiedi come sto…
Sono un sole che non scalda, una nuvola che copre senza bagnare, brezza che aspira a tempesta.
Sono solo molto stanco, sono molto debole e sto terminando i sogni a mia disposizione…
Well I’m feeling nervous
And I find myself alone
The simple life’s no longer there
Once I was so sure
Now the doubt inside my mind
Comes and goes but leads nowhere
Just when I think I’m winning
When I’ve broken every door
The ghosts of my life
Blow wilder then before
Just when I thought I could not be stopped
When my chance came to be king
The ghosts of my life
Blew wilder than the wind
Importazione
In rare occasioni ho l’occasione o dovrei dire l’obbligo di entrare in zone dell’esistere che non mi appartengono e quando avviene spesso e’ un disastro.
Non evito la realta’, semplicemente la circoscrivo in ampissimi recinti che non mi lasciano troppo tempo per fermarmi, mi fanno incontrare centinaia di persone ma contestualizzate in ambiti ben precisi e se il mondo e’ il mio campo di battaglia, almeno le zone di sole le scelgo io.
Mio malgrado quando sfondo confini che non voglio oltrepassare continuo a stupirmi come fosse la prima volta, come se non avessi mai visto, come non avessi mai immaginato…
E’ che quando avviene qualcosa dentro di me inizia a sussurrare, a fare domande, a chiedersi dei perche’, a sbattere pugni su muri troppo spessi e non voglio, non devo, non posso soffermarmi troppo su questi particolari.
Io sono un equilibrista, uno di quelli nati sulla corda, mi ci contorco sopra da che cammino e col vento ormai ci scherzo, con la pioggia danzo piu’ forte, con i sussulti rido beffardo e mi faccio potente ma la terra ferma no, quella devo evitarla, mai guardare, mai soffermarsi troppo anche solo al sapere che esistono luoghi di immobile stabilita’.
Perche’?
Perche’ ho poggiato i piedi su quella terra e non ho saputo correre, non ho saputo andare lontano, non ho potuto andare lontano e tornare da dove sono venuto e’ stato vivere non ripiegare.
E’ che quella terra certi giorni e’ troppo vicina e a chi posso raccontarlo, come spiegare il bisogno di una luce vista tante volte, piu’ volte di quanto posso accettare.
E’ che quella terra certe notti e’ stilettata nel cuore, lama gelata nell’esatto centro dell’anima e come raccontarlo senza mostrare la gola, senza ammettere paure, timori, debolezze, piccolezze e storture che i miei anni, i miei occhi spalancati non meritano.
Non oggi, non stanotte e se sara’ un mai invece che un forse non so, ora mi sento solo di urlare…
Poi la smetto, giuro…
Qualche illusione ce l’ho
qualche ricordo si sa
qualche valigia disfatta qua e la’
ma dimmi chi non ne ha
Trent’anni vedi non mi fanno male
e mi va bene cosi’
e non ho voglia di fermare questo mare
che poi ci bagnera’
Rallentatore
Quanto inutile superfluo che calpesta il giorno, i ricordi.
Accade che i riferimenti vacillino e noi con essi in azzardati movimenti senza piu’ assi vincolanti.
E’ in questi momenti che riaffiorano certe immagini, i luoghi non visitati, le persone non salutate.
Sottospecie di espiazione, semplice strumento per non ridursi continuamente con l’acqua alla gola, dialettica autoipnotica sedante per l’anima.
Forse e’ un segno di abbandono progressivo, di distanza inesorabile seppur graduale dalle cose, dalle persone.
Faccio davvero fatica a riconoscere negli altri la loro emotivita’, le espressioni di esaltazione, la grande gioia e i grandi dolori.
Se fosse diversa abitudine, diverso modo di intendere allora potrei confrontarmi, discutere o discutermi forse, si forse ma se a pararsi davanti fossero alieni e non estranei, con nessuna possibilita’ di dialogo, di impossibile caratterizzazione somatica, inesplicabile atteggiamento frutto di retaggi culturali a me ignoti allora Io non sarei mai Loro.
Sempre le solite domande del resto, sempre il medesimo rituale di disorientamento e conseguente analisi dei se, dei pero’, dei dovrebbe e potrebbe.
Mi sto stancando anche di questo, mi sto annoiando dei miei stessi dubbi, delle perplessita’ che non troveranno comunque risposta.
Meglio abbandonare, meglio ignorare, meglio usare la forza del non avere confronti, non avere riscontri, non avere quei bisogni.
I’m wearing someone else’s clothes again
Walking in the streets I know again
Back in the old familiar glow again
I’m wearing someone else’s clothes
Painting quiet pictures in my ear
We’re driving past without a wish to steer