Camminavo e ho guardato avanti spaventandomi.
Troppa strada oltre lo sguardo o forse troppo poca chi puo’ dirlo, comunque incognite, comunque delusioni, incomprensioni, tenebra e ragnatele.
Ho girato la testa ma sono stanco di rivedere cio’ che gia’ conosco, sono annoiato dalle orbite prestabilite di quanto gia’ e’ avvenuto.
Guardando in basso non cado, nessun ostacolo inatteso, passi precisi, controllo assoluto.
Immensa noia di asfalto sempre uguale le cui infinitesime asperita’ non emozionano, non eccitano, bastano a stento a dare un senso al solo camminare.
E allora rimane il cielo, su, oltre l’aria, oltre la luce, oltre il vuoto, fino all’origine, giungere da dove si e’ partiti in fondo, laddove sapevamo davvero cosa significasse l’assoluto, nel luogo in cui materia e tempo e pensiero davano senso alla densita’, al peso della realta’, plasma caotico eppure ordinatissimo nell’immenso peso specifico, nel sentirsi appartenere a un insieme senza confini perche’ indefinibili, inconcepibili, incalcolabili.
E allora guardo in alto, sospinto dalla stessa aria calda che conduce nuvole nere verso di me, anche loro viaggiatrici, anche loro alla ricerca di un infinito e chissa’ che non sia proprio quel selciato dal quale tento di allontanarmi…
I am the eye in the sky
Looking at you
I can read your mind
I am the maker of rules
Dealing with fools
I can cheat you blind
And I don’t need to see any more
To know that I can read your mind, I can read your mind
Prepotenza straziante
Non e’ questione di ricordare troppo, di tornare indietro in inutile gioco ma e’ la musica che non mi da’ tregua, e’ il mio legame con essa, quell’energia chiusa in me che cela momenti altrimenti perduti.
E’ forse quella magica simbiosi con le sette note che ho da che ho ricordi, da prima ancora se ascolto altrui racconti.
Sono quelle canzoni di milioni di anni fa, quelle da guardarsi al sabato sera su quel divano marrone tra moquette e strani soprammobili.
Tende con vistosi pattern in tinte autunnali, dirompente lampadario, forme tondeggianti a perdita d’occhio e l’immenso televisore, pesante anticipo del benessere a seguire.
Sdraiato tra l’intensa luminescenza del tv e i commenti dei miei, gli spettacoli di quando non esistevano scelte e forse per quello, magari solo per quello, immortali.
Odo quella voce, quell’intensita’ cosi’ comune allora, dolorosissima oggi, parole aspirate che strappano respiri dal petto, battiti dal cuore.
Girandola di emozioni, come le immagini di allora, bianco e nero che ruota vorticoso alternando scenografia, orchestra, pubblico e lei al centro, al centro delle immagini, al centro della musica, di sensazioni che non sono mai uscite dai miei pensieri.
Girandola di quel bambino che non sapeva, non capiva ma in qualche modo sentiva piu’ che ascoltava, con quell’uomo che e’ divenuto poco protagonista della sua vita e troppo di quei testi maledetti, impronte di qualcuno che fu cio’ che io sono, cantate da chi avrebbe potuto cantare a me, urlandomi in faccia cio’ che non dovevo, cio’ che non potevo, cio’ che non e’ stato.
Traslazione ed identificazione: la trappola piu’ antica del pop ma quando ci si sente un po’ fragili e’ consolante cascarci dentro e illudersi di una resa che non ci si puo’ permettere, che non possiamo mostrare davanti a quel silenzio, a quella voce che non risponde, a quella figura che e’ sempre fuori tempo, fuori fase, fuori la preghiera che la invoca.
Lascero’ il bambino ad ascoltare quelle canzoni e io staro’ qui ad attenderlo, anche se gia’ so che qui non arrivera’ mai, mai piu’.
Ma posso dirti finalmente
che c’e’ voluto del talento
ad essere vecchi e non adulti.
Amore mio
mio dolce, grande, immenso amore mio
dall’alba fino a che il tramonto io
ti amo ancora sai, ti amo…
Aveva il tempo
Era un sabato mattina e non ero a scuola.
Le ferie natalizie si stavano esaurendo ma innanzi ancora qualche giorno libero.
Che terribile Natale fu, sento i segni addosso persino oggi…
Stordito, dolorante, non riuscivo a collocarmi del tutto nella realta’ circostante e l’incubo in cui ero immerso mi intrappolava in un sogno veglio, sabbie mobili da combattere immobili, luogo in cui movimenti uccidono e pensieri come bracciate nocive.
Un paio d’ore e il pranzo, patrimonio di tempo da spendere fuori, fuori da quella casa.
Neve ovunque, fresca e ancora immacolata, segnata qua e la’ da passi incerti.
Strade pulite da poco e guizzanti rigagnoli scendevano dai cumuli a bordo strada nei tombini.
Il sole era bellissimo e il cielo ancora di piu’.
Formidabile luce da ogni direzione, riflessa e diretta, candore come corpo vivente, plasma caldo e avvolgente, mare splendente con cui incantarsi.
Nessuna particolare direzione da seguire, le gambe il solo possibile mezzo di locomozione e avanti verso qualcosa, non necessariamente luogo.
Era come respirare per la prima volta da quel 13 dicembre, era come avessi aperto gli occhi da allora, piacevolmente abbacinato.
Felice? No quello no, circospetto, un po’ spaventato forse ma nella sostanza tranquillo, tanto tranquillo da guardare in direzione della sua finestra, la seconda da sinistra al sesto piano e senza la consueta fitta allo stomaco.
Quella luce era percorso, strada de seguire e uscire, uscire fuori, riuscire, riuscire a vedere ancora tanti kilometri prima del capolinea, nuovi viaggi, nuovi racconti, tante parole che attendevano solo di essere combinate e avidamente lette.
In quell’istante ascoltai la musica dentro di me e trovai le note di quell’album regalo di amici, vinile che attendevo da tanto, musicisti come eroi e canzoni che divennero inni alla vita.
Quasi distrattamente ho riascoltato quei brani ed ancora quella luce, ancora quella neve, ancora quella voglia di vivere, ancora quella finestra, ancora quella fitta nell’anima…
… non importa, va bene cosi’, e’ giusto cosi’.
L’anno che arrivo’ fu l’inizio di tutto e fu la fine di tanto.
Vissi cio’ che per un uomo e’ importante vivere, intero spettro emotivo e cio’ che ero cambio’ per sempre.
Non voglio guardarmi dentro ora per trovare quel male e quella gioia, musica lo fara’ per me, note come ricordi, esorcismi per demoni non del tutto assopiti, risveglio di cio’ che non mi ha mai abbondanato, forse vera propulsione del mio presente.
A secret smile
Comes to my eyes like a bolt from the blue
It’s not your style
But it leads me to dream about what we could do
Could it be the same
Ever be the same
Could it be the same
Ever the same again?
Misteriose risonanze
Colline sbiancate dalla foschia come dipinte da romantici inglesi del XIX secolo e pioggia rada ma uniforme, triste epilogo di giornata.
Non c’e’ mai abbastanza poesia in me per fermarmi qualche minuto ad osservare, respirare umido odore di terra, muschio, grano acerbo.
Piccolo timore di cio’ che mi sovrasta e spazi che ghermiscono trascinando in luoghi che talvolta e’ bene evitare, non esplorare, non visitare.
A che puo’ servire poi, a chi giovano atmosfere rare e suggestive se quell’asfalto umido conduce a puntiformi destinazioni costruite su sabbia, acqua e silenzio.
Conosco pero’ quelle strade, ripide, sgretolate, del colore del cielo qualunque esso sia, pentagramma cosparso di note da eseguire con una sola mano.
Nulla e’ incompleto ma e’ pezzo di mondo scialbo e sciatto, disimpegno di un dio troppo stanco, troppo affacendato, distratto o chissa’, forse irritato e punitivo.
Poi so che non e’ vero e quelle colline innanzi a me sono come nuvole a cui do’ forma con le mente, misto di fantasia, emozione e realta’, proiezione di scelte, destini, paure e voglie, visione ad occhi serrati e polmoni desiderosi di vita.
Mi specchio in quelle cime e cio’ che penso, tutto cio’ che sono sfuma in amalgama grigio come quella terra sempre meno lontana.
Cosa rimane infine non saprei dire, forse la sola coscienza che la nebbia non elimina, non cancella, nasconde senza annullare e qualcosa sopravvive sempre al di la’ della coltre e chissa’ che cosi’ non valga anche per me.
Un freddo pi
Qualcosa
Irlanda, Marzo 2000
Dovevo tornare su quella cima.
Un lungo respiro, sigaretta, passi lenti, misurati e mi incammino verso la meta.
Inutile affermare che e’ stata una sofferenza, una lunga, estenuante marcia dove ogni passo costava dolore e fatica. Letteralmente.
Una cosa pero’, il mio spirito stava bene. Ero in pace con me stesso.
Ho pensato molto in quei momenti…
Nei giorni passati non sempre la mia vita era stata al centro dei miei pensieri, ma in quell’istante malgrado tutto, una misteriosa mano amica scaldava la mia e un dolce volto mi rasserenava il cuore.
Poi qualcosa e’ mutato nella mia percezione.
Salivo e vedevo le loro case, curate, ordinate, luminose nonostante il cielo grigio.
Sentivo l’odore del loro cibo che mogli premurose preparavano tra il tepore dei fornelli mentre ragazzi tornavano da scuola e mariti facevano ritorno dalla passeggiata col cane.
Li ho visti nelle loro case attraverso le finestre, con i volti illuminati dal bagliore del fuoco nel camino, in poltrona col giornale o indaffarati in chissa’ cosa.
Mi sono riscaldato con i loro fuochi, ho mangiato il loro cibo, ho giocato con i loro figli e ho dormito il sonno del giusto nei loro letti
La sua versione
Giorni intensi quelli passati eppure non mi e’ rimasto dentro il necessario per immortalarli, santificarli, idolatrarli.
Troppo realista o troppo poco?
Annoso interrogativo, superficiale interrogativo.
Mi domando cosa rimarra’ realmente e come mi vedro’ ripensandomi.
Sto diventando cosi’ freddo, cosi’ indifferente, asetticamente corazzato, spettatore in terza persona della mia giornata.
Continuo a credere in cio’ che credo, amare cio’ che amo, seguire quanto seguo e la fede resta immutata, il credo imperituro, il pensiero saldo e forte e grandi le energie per non fermarmi, per non temere nulla.
Le motivazioni, le motivazioni ci sono, sono importanti, sono tutto ma dipendera’ da questo cielo con troppa foschia ad ingrigire l’azzurro, forse quelle nuvole nere si stagliano innanzi la luna e ne soffocano la magia, forse l’erba non e’ abbastanza verde e i fiori mai troppo colorati e non so, senso di perdita, alone di vittoria che troppo assomiglia a pareggio se non sconfitta per ignorare le mura che mi circondano.
Da tempo il vittimismo del meritarsi di piu’, non alberga dalle mie parti anche se la resa del potere fare oltre, infastidisce oltremisura lo preferisco, lo prediligo nelle mie notti piene di accessivo e abbagliante me stesso.
Equilibrio in fondo e non sono sicuro sia un bene…
Sono arrivato a sospettare che il male e’ banale, dopo averlo letto
sono arrivato a non aver bisogno sempre e per forza del mio spettro
sono arrivato e voi eravate strani, zitti, immobili, non ubriachi
e non ho neanche capito se vi divertiste
Reazione senza azione
Oggi sento addosso il tempo andato o buona parte di esso, non so perche’.
Dipendera’ dai giorni un po’ tranquilli che lasciano tempo ed energie per guardare e guardarsi meglio dentro e cosi’ svelare polvere, riviste accatastate, ragnatele e appunti ingialliti, angoli bui che normalmente declinano all’oblio.
Antichi ricordi, anche piacevoli perche’ no ma che messi li’ uno sull’altro fanno un po’ impressione.
I ricordi, gia’…
I ricordi non se ne vanno, non ci lasciano mai e neppure svaniscono come fantasmi alle prime luci dell’alba.
I ricordi sono schegge traslucide sempre piu’ trasparenti, ogni giorno meno visibili forse ma non per questo meno presenti.
Dimenticando, il fondo diviene sempre piu’ evidente e prima di esso le vicessitudini sottostanti, frammenti diversamente polarizzati che rotazione d’asse tramuta da nero inesplicabile a invisibile presenza.
Ricordare opacizza e concentra lo sguardo strato su strato e ogni ricordo cambia posizione nella scala delle visibilita’ e delle memorie e cosi’ si diviene cio’ che si vede in quell’istante in un turbinio temporale ed emotivo che puo’ stancare, puo’ schiacciare, puo’ ferire.
Poi e’ in fondo un gioco, banale stratagemma per non sentirsi soli e sperare nel controllo, sbracciare nell’aria senza annegare ed emergere forse piu’ rinfrancati, magari in affanno ma nuova aria nei polmoni di questi tempi e’ benedizione.
Dig for victory, go for gold
I don’t wanna die before I get old
And I wonder where I’m going to
There’s some way out, there’s some way through
But I’m lost, I’m lost, I’m down again
My direction is changing, which way,
Which way can I go…
Bugia imperfetta
Il mio amico mi parla e sento rassegnazione, troppa per poche ragioni.
Perche’ mi chiedo, quale linea si scavalca per ritrovarsi dopo cosi’… perduti.
Forse e’ come sonno che si perde dopo una certa ora o fame che declina in bisogno se troppo ignorata ma rimane tutta quell’amarezza, quell’incolmabile vuoto di chi sente di avere smarrito definitivamente qualcosa d’importante.
Un piede nel passato per non dimenticare chi si e’ stati, il rimanente nel futuro perche’ il tempo va in una sola direzione e nel mezzo la stramaledetta incapacita’ di farsene una ragione.
Domande, troppe, sempre troppe domande e spaventa pensare al giorno in cui una risata non bastera’ piu’ per risposta.
Abbiamo visto troppo e lo scontiamo con la consapevolezza di essere il prototipo imperfetto di una nuova razza di disadattati, in noi seme abortito che sogna di essere sequoia.
Epoche sbagliate, qualunque, in ogni dove e in ogni quando e si osserva attoniti cio’ che non si comprende, cio’ che non si e’ mai compreso anche se le ragioni sono diversissime.
Siamo bambini anziani, geneticamente fallati per la felicita’, inutili puzzle emozionali, vetusta elettronica mai entrata in commercio e sappiamo di esserlo, perche’ no, malcelatamente compiaciuti forse, fieri di inutile distinzione quando omologare, schierare e contrapporsi all’interno dello stesso stupido gioco e’ regola.
Capirlo giorno per giorno aiuta solo nella ricerca di fresca grotta dalla quale gridare al mondo intero; inutile e ridicola pretesa che vi sia un senso, una utilita’, un interesse.
Forse fa meno male se proprio il gaudio non e’ a mezzo e magari fosse sentimento e non grigia cortina sempre uguale, sempre testardamente compatta e impenetrabile.
Si forse o forse tutto quel dolore non colpisce, non segna perche’ i nervi non ricevono, non trasmettono, non s’interfacciano con la realta’ circostante.
Compimento ultimo o ultima possibilita’?
Temo che la risposta giungera’ troppo tardi…
Devi considerare la possibilita’ che a Dio tu non piaccia.
Che con ogni probabilita’ lui ti odia!
Non e’ la cosa peggiore della tua vita! Non abbiamo bisogno di lui.
Al diavolo la dannazione e la redenzione! Siamo i figli indesiderati di Dio e cosi’ sia!
Devi avere coscienza, non paura. Coscienza che un giorno tu morirai.
E’ dopo che abbiamo perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa!
Congratulazioni, ora hai fatto un passo verso il fondo.
Dove e se
Verso l’ora di cena un’ora prima del tramonto, ritrovo un piccolo pezzo di qualcosa che non so bene che sia ma che insisto a cercare, a volere.
E’ una specie di magia, un incanto che avvolge esseri viventi e non, un mistero che non so svelare, colgo appena come un fiore troppo delicato persino per essere annusato.
C’e’ quel momento in cui le persone smettono di arrabattarsi e si chietano davanti a qualcosa, cibo o televisore che sia.
C’e’ una frazione di secondo dove la moltitudine di uccelli si riduce in sparuti richiami sempre piu’ sospesi, sempre piu’ lontani.
L’aria e’ fresca, degno preludio all’imbrunire e i colori cambiano, impastano il cielo con la terra, le nuvole con le ombre e proprio quando lo scorrere dei secondi si fa piu’ evidente, proprio li’ il tempo si ferma, la luce si ferma, la vita si ferma.
Aroma di erba fresca a volte, altre di camomilla, come se persino i profumi si alzassero per congiungersi al loro giaciglio.
E’ una sfera lanciata in aria, lo zenith della parabola, la sua stasi e il riconoscere in quel momento di equilibrio assoluto la via per ritrovare il proprio massimo nella curva dell’esistere.
Mi sento molto, molto infelice eppure cosi’ contento, cosi’ pieno di gioia.
Immenso il baratro che solitudine scava, eppure sono in sintonia con quanto vedo, con cio’ che sento.
Forse in quel singolo punto in cui tutti i valori di moto e realta’ si invertono, proprio in quel punto i desideri e le paure divengono uno e l’impetuosa onda dei pensieri s’infrange con violenza sugli scogli del giorno che muore e noi con esso.
Cosa rimane dentro non so, me lo chiedo anche adesso.
Probabilmente dovrei chiudermi anche io nel televisore, nella consapevolezza che banalmente e’ il susseguirsi di luce e buio, semplice e antico quanto la terra stessa, eppure in quella semplicita’, in quella banalita’ ancora mi perdo, ancora ci soffro, ancora so scoprirmi sereno, ancora mi riconosco.
Ma… dici che i sogni non hanno potere qui?
Dimmi Lucifero stella del mattino… chiedetevi voi stessi, tutti voi…
Che potere avrebbe l’inferno se quelli imprigionati qui non fossero in grado di sognare il Paradiso?
Mare cobalto
Questa e’ per te che non esisti, che non ti conosco, che non ci sei mai stato.
Forse qualcuno sapeva di te senza vederti, forse ti hanno persino parlato ma nessuno, di certo nessuno ti ha scritto come sto facendo io ora.
E’ una sensazione strana, in fondo sei piu’ concetto che materia eppure c’e’ qualcosa che ti fa sentire a me vicino, quasi amico, cameratismo forse ma con la straordinaria coincidenza di spiccata affinita’.
Poi lo so, e’ la potenzialita’ degli eventi che ci lega, e’ cio’ che non e’ stato ad avvicinarci, quello che non e’ avvenuto un connubio potente.
Entrambi non apparteniamo a questo continuum, entrambi abbiamo tempi e luoghi differenti da questo piano di realta’, cernita tra infiniti di infiniti ma non qui, non ora e forse la catena che ci unisce e’ meno labile di quanto appare.
In fondo che significa non essere quando tutto il concepibile e’ solo da concepire affinche’ si compia e per le stesse ragioni essere e’ solo una sfumatura cognitiva e percettiva, limitata analisi locale e non globale, lacrime destinate ad asciugarsi, incubi da cacciare al primo sole, ombre che si affievoliscono col tempo.
Potrei dire che mi dispiace tu non ci sia, ma sorrido pensando che starai dicendo la stessa cosa di me in un gioco di specchi senza fine perche’ mai iniziato.
Invero non avrei neppure diritto di pensarle queste cose ma in fondo che ho da perdere, tu cosa hai da perdere.
Questo e’ un incontro unico e irripetibile; mi scordero’ di te e persino rileggendo, ammesso che lo faccia, tra anni o forse mesi non sapro’ piu’ chi sei, ma ora sono qui, qui con te e come eventi improbabili ci incrociamo e ce ne andiamo ognuno per la propria strada.
Vorrei lasciarti qualcosa di mio ma non ho nulla degno di te da donarti, quindi spero che le mie scuse, un ciao e un buona fortuna ti accompagnino sempre.