Significato del mare

Sfreccio fin troppo velocemente urlando a squarciagola vecchie canzoni come fosse la sola cosa che mi e’ rimasta o forse perche’ e’ la sola cosa che mi e’ rimasta.
Quanta teatralita’, che ricerca di attenzione in questo e il vino non attutisce la verita’ di una corsa verso il nulla.
Dovrei forse finire di vedere macerie in ogni direzione e sorridere gioioso alle stelle?
E’ forse servito a Nick Drake immaginare piu’ luce da li’ a poco o il rado jazz tra le dita ha tracciato la sua prematura fine, ha presagito cio’ che inevitabilmente doveva avvenire?
I suoi archi, le sue domeniche potevano salvarlo?
Forse un sax lontano e’ un richiamo troppo forte da essere evitato, luce da falene nel buio dell’anima.
Non lo so, non lo so e’ che mi raccontano di persone che scivolano e mi trovo a scivolare anche io con loro, mi aggrappo con poca voglia alle rare sporgenze e gioco con me stesso evitandole, certo o quasi che sapro’ interrompere la discesa.
Ci vuole talento per scendere senza salire, bisogna essere abili a vendere precipizi come piani verticali, cadute come planate e intanto allegramente i tasti del pianoforte urtano soavemente le corde e come un bambino senza futuro che sa godersi il presente, rido e ruoto e giro e piroetto come se questa giga fosse l’ultima mia danza.
Duole il capo, troppe immagini, troppi pensieri, numeri misteriosi che non definiscono piu’ il mio mondo e che a stento identifico eppure, sembra strano, ancora cerco quelle escrescenze da afferrare, lo faccio forse senza convinzione e magari neppure per me, ma se le ragioni scemano, ancora in forze mi sostengono e lascio le mani comandino, depongo il mio destino tra le mie stesse dita e aspettero’, aspettero’ ridendo, danzando, ballando, scivolando…
Never know what I came for, seems that I’ve forgotten.
Never ask what I came for or how I was begotten.
I’m a poor boy and I’m a ranger.
Things I say may seem stranger than Sunday changing to Monday.
Nobody knows how cold it flows and nobody feels the worn down heels.
Nobody’s eyes make the skies, nobody spreads their aching heads.

Fabbricato Terminale

Mio Dio quanti anni sono passati da quelle canzoni…
Quanti anni eppure non mi sento ancora pronto a scriverne, non lo sono oggi e non lo saro’ mai temo.
E’ che quelle canzoni sono una cosa e una cosa sola e non ce ne sono altre, non ne esisteranno mai altre, non cosi’ almeno.
Non e’ nostalgia, niente di cosi’ piccolo e gretto, non ci sono immagini ne’ volti, luoghi o situazioni, solo emozioni e vita vissuta.
Dentro a queste canzoni sono solo circondato dall’eco del cuore che batte forte, dolorosamente vivo, felicemente vivo, straordinariamente vivo.
Poi la vita e’ una puttana a farmele ascoltare proprio oggi e guardo li’ fuori e rido accidenti…
C’e’ davvero qualcosa anche se non so bene cosa sia e cosa pensa, pero’ c’e’, c’e’ davvero.
Mi accorgo che cedo e tento di lasciarmi scappare tra le mani un po’ di polvere, qualche lacrima mai troppo asciutta, mobili, pareti, finestre, televisori, promesse.
Io potevo essere altro…
Sono terrorizzato solo a concepire un pensiero cosi’ grande, sterminato infinito in infinito in infinito, precipizio a cui non oso avvicinarmi.
Poi mi vanto, mi inneggio e glorifico forza e volonta’ quando ancora fuggo, nascondo la realta’ dietro il dito di cio’ che e’ stato.
So, so, so che li’, proprio li’ potrei ritrovarmi, in quel luogo ho smarrito cio’ che sono e la felicita’ e’ rimasta indietro a cercarmi eppure no, che ogni verita’ rimanga seppellita li’ in fondo, in quella stanza lontana, cammino polveroso verso preziosi dietro quella porta ma che li’ rimangano, che li’ soffochino tra il silenzio e il buio, tanto l’oro non risplende senza luce.
Fuori quella stanza ho iniziato ad essere solo e fuori rimango, che nessuno si avvicini, che nessuno mi tocchi, non si pensi di parlarmi o consolarmi, la vita e’ una sola per fortuna…
E’ che le nostre parole non sanno pi

Uomo e acciaio

Ogni tanto hai bisogno di andare dove tutti conoscono il tuo nome
Cosi’ recitava una celebre sigla ed e’ vero, completamente vero.
Negazione dei miei pensieri, del mio volere lo so, vivo la contraddizione, la sento mentre scava nella struttura, si insinua nelle crepe della corazza e amplifica le perplessita’.
Difficile nascondersi nella misantropia, consueta invisibilita’ e prima barriera di un mondo che a spintoni trasformo in cio’ che vorrei dimenticando cio’ che e’.
Difficile disattivare quei meccanismi radicati cosi’ nel profondo da divenire involontari e spontanei, evitare inquietudini con giocattoli di una vita intera, eppure…
… eppure entro in ampi spazi aprendo porte che conoscono le mie dita, gesti quotidiani sicuri, cronometrati, misurati, passi che seguono cammini prestabiliti e non c’e’ bisogno di guardare, di osservare, di controllare gesti e parole perche’ quella terra estranea e’ comunque la mia terra e quei volti diversi si accomunano negli occhi e nei sorrisi.
Cosi’ mi muovo senza esitazione e lascio fuori un pezzo di cio’ che sono e mi carico del suono degli altri, delle forme e movimenti e la contraddizione una volta tanto, esalta e stimola, forse regola negata dall’eccezione e straordinario e’ un gioco nel monotono quotidiano.
Si, contrapposto pensiero, dissonante forse, stridente in apparenza ma se energia e’ scontro di forze opposte allora il mio giorno ne ha bisogno, la mia mente ne ha bisogno, io ne ho bisogno…
E sia qualunque sia la
direzione
che prendono gli eventi
e sia l’unica via
per un milione di strade
divergenti
Un viaggio inizia sempre dal bisogno
di muovere un confine fino al sogno

Scatto monotono

E’ gia’ curioso stia qui, ora, per quanto sia demolito, per come mi sento, per la voglia che mi sostiene ma non e’ una ragione, nessun motivo.
Non riconosco piu’ nulla, non ricordo una nozione che una, non v’e’ ambizione alcuna e neppure desideri da cui attingere.
Ascolto canzoni pescate dal serbatoio inesauribile degli scarti in attesa di paradiso o inferno, sai il perche’…
Forse ho bisogno di stupirmi, di sentire un brivido, un pugno che mi faccia sanguinare copiosamente e chissa’ cos’altro.
Sono stanco, mortalmente stanco di guardare cio’ che mi circonda, poi lo faccio e mi accorgo di essere nauseato da cio’ che sono e vorrei mandare a farsi fottere cio’ che so e conosco, la deviata moralita’ che a forza ho inculcato tra gli angoli di cio’ che mi definisce, il senso del rispetto e della dignita’.
Fermo, composto, impettito e illuso di essere l’uomo giusto nel posto giusto, perfezione divina in bolla d’acqua invero.
Si, fermo, fai girare la realta’, le frequenze, le vibrazioni… Io posso, io devo…
E’ solo volume che si deve alzare, pavimenti che devono sussultare e la testa esplodere in tutte le direzioni, quei percorsi da intraprendere e finirla una volta per tutte di adoperare gli occhi sbagliati per guardarle.
Roccia che cade, acciaio che ammacca, terra che scivola e raggiunge un luogo che non e’ il centro ma neppure inutile periferia e forse e’ punto di partenza, ritrovo senza destinazione ma che importa, chiudendo gli occhi una strada la trovero’ di sicuro.
And if you think I

Assi levigate

Parlando con una nuvola mi scopro un po’ piu’ leggero, meno legato a terra, differente massa, differenti pensieri, differente stato fisico e quasi nessun vincolo.
Non mi muovo da qui pero’ e lascio fluire l’emozione del volo, scivolo sul terreno seguendone il contorno e mi e’ difficile abbandonarmi e parimenti impossibile scordare.
Il vento e’ fresco da qui, mi sorprendo ad osservare il cielo e trovarlo ancora piu’ bello di quanto e’, piu’ azzurro di come appare e il tempo si ferma in un oceano di luce, sinusoidi che colpiscono e rilasciano le emozioni.
Qualcosa corre la’ fuori, gioioso e riesco a non pensare, mi sforzo di non ascoltare le voci dentro e lascio tutta l’attenzione a cio’ che sembra, non a come appare.
A volte non comprendo e mi inganno, m’illudo di sapere ogni cosa, di poter interpretare i movimenti e le sfumature ma cosi’ non e’ e lo so, lo sento.
Posso semmai bluffare e riguardo il cielo, le sue onde, sentire il vento e reimmergermi nel plasma turbinoso del giorno, del cuore.
Potevo dire, potevo fare, potevo osare, rinunciare e cosi’ ho fatto perche’ le nuvole non si afferrano, non si catturano, non si imprigionano.
Semmai le si osserva, ammirare da lontano, lontano dalla mente, non dalla pelle, mai…

Al meglio

Desiderare, ragionare, fermarsi, fuggire, forse dormire e che altro…
Fanno male le braccia e gli occhi lentamente planano distratti sugli oggetti piu’ vicini.
Rilassarsi magari ma che vuole dire, come fare e poi cosa, dove e rielaborare risposte che gia’ conosco.
Mi fermo con placida flemma in un gesto che tende all’assoluta stasi, al rallentare prima e giacere poi in impeto curatore, lasciare che i nervi smettano di contrarsi, i muscoli di flettersi, la carne rilasci il sangue e resti esanime, tramortita in un mare di stoffa, tra parole e immagini lontane.
Ho bisogno di fermarmi ma so che non ripartirei, paura immotivata ma non potrei diversamente.
Il cuore, il cuore, il cuore attende un po’ piu’ in la’ ma non importa se fa cio’ che deve senza pretendere, senza arroganze, senza esigere la prima fila.
Terminare senza finire e’ una corsa senza tempo e lasciarsi andare, non ascoltare chi urla e sbraita, chi pretende e chiede senza sosta.
Accidia, accidia ecco il tuo nome, fantasma antico, spettro di altre ere, scheletro non nel mio armadio eppure non mi astengo dal preoccuparmene, dall’evitare confronti scomodi e inopportuni, nel trovare nuovi modi per farmi male.
Forse e’ cosi’ ma e’ benzina nel mio motore che non si ferma, non si ferma mai sebbene questa sera una pausa sia dovuta, meritata, ambita e sono ad un passo dal riuscirci, dal vedere un domani su cui riversare l’oggi e il passato tutto, spostando cio’ che non e’ in cio’ che non e’ un giorno dopo…
Falling,falling
What do you do when your falling you’ve got 30 degrees and your
stalling out
And its 24 miles to the beacon there’s a crack in the sky and the
warnings out
Don’t take that dive again
Push throug that band of rain

Costante movimento

Myung suonava luci lontane, lampi intrappolati tra nubi spesse e minacciose.
Portnoy scivolava tra lampioni e catarifrangenti a bordo strada, velocissimo, come solo lui sa fare e le sincopatie del ritmo sincronizzate al cuore mi fondevano con asfalto, riflessi e bagliori di un sentiero troppo vicino.
Il navigatore indicava percorsi che invero esistevano solo nella mente, creazioni estemporanee della mia consuetudine e della luna eccessivamente luminosa, persino invadente nella ricerca di intimita’, nel cammino quotidiano sempre uguale, talmente comune da desiderare che almeno mi appartenga.
Corsa veloce e d’un tratto mi sono sentito solo.
No, non quella solitudine che implode dentro, che toglie il respiro e intrappola i sogni, semmai consapevolezza e conseguente ritrovamento di determinazione e volonta’ di corsa al buio, quel buio prima profondo poi tenue e fluorescente ma palpabile, percepibile con tutti i sensi acuiti al massimo grado.
Ho iniziato a correre nella musica prima, sulla strada poi, nell’ombra dopo ancora, infine nel freddo silenzio e ho corso tanto da confonderli tra loro, amalgama indistinguibile le cui peculiarita’ risaltavano pero’ in nuova forma che senza comprendere ho osservato e quando mi pareva di coglierne la sostanza, come mercurio in assenza di gravita’ mutava in eccentrica figura, in nuova luce, in nuova solitudine.
Ad ogni modo sono arrivato a casa, certo non felice ma un po’ di quella solitudine, di quel buio era rimasto indietro, mescolato all’asfalto, ai lampioni, agli alberi.
Solo la musica dentro e nota per nota ha soppiantato quanto perduto ed eccomi qui, stesse note, un po’ meno solo e nuove canzoni da tenermi vicino, conservare dentro…
Tunnel vision at blinding speed
Controlling my thoughts, obsessing me
Void of any uncertainty
Throughout my very soul
Lost illusions of my control
Resisting all hope of letting go
Racing impulse of dark desire
Drives me through the night
I try to shut it down
It leaves me in the dust
No matter what I’ve found
I can never get enough
Frantic actions of insanity
Impulsive laced profanity
Long for elusive serenity
Way out of my control

Verdi rose

La luce era intensissima malgrado l’orario e le ombre, lunghe, profonde, ghermivano le pareti coi loro artigli.
Il riflesso dell’acqua ondeggiava tra terra e vetri danzando con le ombre, intervalli di luce e buio in vivace alternarsi, epica battaglia tra dei dimenticati e potentissimi.
Spessi muri trasparenti tra me e il bosco di pini eppure sentivo la sua voce, il sussurro impetuoso dei rami e l’umile risposta delle creature che l’abitano.
Non capivo le parole ma il senso non era mistero, il messaggio chiedeva solo di sentire senza ascoltare e cosi’ feci, respiro su piccole onde trasparenti, movimenti come ricordi lunari e lentamente il tempo che si spegne come i pensieri, trascinando le angosce e le inquietudini lontano nel loro cerchio, nel centro del nulla.
Ricordo perfettamente come mi sentissi eppure non potrei descriverlo perche’ il contrasto lacerava le definizioni, disgregava i paragoni, annullava i raffronti.
Ricordo che ero irritato e stanco, poi perplesso e incuriosito, infine placato come raramente prima con una punta di fugace eccitazione, mistero da svelare in un nuovo orizzonte, preludio e scoperta.
Davvero fu un preludio ed e’ stato sorprendente scoprirlo lontano nel tempo e nello spazio dai quei luoghi.
Tutto lontano ora eppure ne percepisco lo schema, la precognitiva evocazione e quelle acque hanno visto la nascita di un nuovo avvenire, barriera di epoche e scogliera da cui scegliere direzioni diverse e se davvero diverso fu cio’ che segui’, non dimentico quel bivio, quelle stanze, il mistero affascinante di qualcosa che nasce e qualcosa che muore.

Piano terra

Accidenti quante soluzioni, quante risposte, quante e quali stupende opportunita’, ovunque, basta girarsi e allargare le braccia per coglierle.
Cosa succedebbe pero’ ad approfittarne, che accadrebbe se ognuno andasse alla ricerca di cio’ che piu’ desidera, che fine farebbe la societa’ per come la conosciamo?
Freud comprese che l’uomo aveva sacrificato la felicita’ per la tranquillita’ e io come uomo del mio tempo posso solo avallare quella che allora fu solo una tesi.
Del resto e’ nella natura umana, nell’incoscienza della gioventu’, nel ciclo naturale della vita strabordare emotivamente per poi stabilizzarsi in piatta esistenza, volere le stelle per accontentarsi della loro luce, puntare al cielo per gioire di qualche saltello ogni tanto.
Tutto normale, tutto naturale e non certo io sputero’ su questo che comunque rimane il migliore dei mondi possibili ma certo di strada ve ne sarebbe per correggere il tiro.
E’ che basterebbe convincersi che la felicita’ non esiste, non come stato emotivo prolungato almeno.
La felicita’ e’ tale perche’ vive nell’istante della sua presa di coscienza, un’istantanea, una foto da conservare con cio’ che piu’ e’ prezioso, ma nulla di piu’ quindi perche’ ambire utopicamente a un singolo fotogramma quando l’intero film e’ visionabile.
Vorrei puntare a cio’ che mi fa stare bene ecco cosa e se qualche volta posso essere felice allora bene, tanto meglio.
Vorrei trascorrere il mio tempo sapendo sia utile per qualcosa, per qualcuno, forse non apprezzato, ma riconosciuto, quello si.
Vorrei desiderare arrivi l’ora successiva, poi quella dopo e ricominciare il nuovo giorno e quello successivo.
Vorrei una nuova fine o un nuovo inizio, tanto e’ uguale…
Out where the river broke
The bloodwood and the desert oak
Holden wrecks and boiling diesels
Steam in forty five degrees
The time has come
To say fair’s fair
To pay the rent
To pay our share

Nessuno a casa

I numeri dicono che sono a meta’ della mia vita.
Non provo niente, niente che abbia un senso o la necessita’ di essere scritto.
Forse dovrei tirare delle somme, stilare un bilancio seppur parziale ma non ho intenzione, bisogno, voglia di farlo e mi chiedo il perche’.
Potrei accusarmi di codardia, non ragionare per non pensare, non farmi carico di tutte le valenze implicate e potrei avvicinarmi paurosamente alla verita’.
Potrei trovarmi sconfitto, demolito al punto da non avere piu’ forza per uscire da cio’ che sono divenuto e dalla tana che mi protegge e ancora non mi scosterei eccessivamente dal giusto.
Magari incosciente ed arrogante, stupido eterno in eterno splendore nel decadente andirivieni di questa Terra e di cio’ che la popola.
Sarebbe il caso festeggiassi ma ho poco fiato per le trombette e i cappellini danno fastidio, molto da’ fastidio, troppo da’ fastidio.
I numeri sono arroganti perche’ non puoi discutere con loro, a volte ingannare, altri aggirare ma i numeri non ammettono compromessi e per questo, alla fine del giorno, credo solo a loro e solo con loro voglio restare.
I numeri sono amici perche’ sono sinceri, crudelmente veri e mai verosimili e oggi non voglio altro, non desidero altro.
Magari non e’ il caso di restare a commiserarmi malgradi sia scelta, volonta’ e presa di coscienza di non aver imparato niente, di non aver guadagnato niente e che niente mi rimane in queste mani vuote.
Sbagliato qualcosa?
Ma no, niente se sbagliare e’ scelta involontaria ma quando il risultato e’ conseguente risultato allora rimane orgoglio, forza e quel pizzico di coraggio che serve sempre, che fa andare avanti.
Pero’ mi scuso con chi non ha voce in capitolo e vorrebbe averla, con chi scuote la testa e si gira, con chi non gliene potrebbe fregare di meno.
Ora voglio solo tutta la maledetta musica dei miei anni, voglio affogare nel pop piu’ doloroso, voglio precipitare nel vuoto piu’ nero, nel baratro piu’ scuro, voglio perdermi e ritrovarmi ma non subito, trascorrere un po’ di tempo tra pioggia e rovine, sterpaglie ed erba secca, girarmi verso il sole che tramonta alle mie spalle e respirare forte, iperventilare e lasciare andare la testa lontano, leggera, balsa in mezzo alla tempesta ma almeno libera.
… e’ che quei suoni mi tengono qui e vorrei andare, ma non riesco, non posso, non posso, ma non posso e continuano a starmi accanto, a starmi dentro e nulla e’ possibile finche’ restano vicini, io ho bisogno di loro e loro di me…
In questa meta’ vita ho fatto quanto ho potuto e se ho perso, se sono stato sconfitto, se brancolo nel buio piu’ di prima allora questa e’ la mia sconfitta ed il mio buio, amici di oggi, amici di sempre, forse uniche e misere conquiste ma ci so convivere, ci so dormire assieme e li voglio con me, vicini a me perche’ di certo, nella seconda parte della mia vita, so che comunque vada, per quanto resista, non mi abbandoneranno mai.
I’ve got a little black book with my poems in.
Got a bag with a toothbrush and a comb in.
When I’m a good dog, they sometimes throw me a bone in.
I got elastic bands keepin my shoes on.
Got thirteen channels of shit on the T.V. to choose from.
I’ve got electric light.
And I’ve got second sight.
And amazing powers of observation.
And that is how I know
When I try to get through
On the telephone to you
There’ll be nobody home.
I’ve got the obligatory Hendrix perm.
And the inevitable pinhole burns
All down the front of my favorite satin shirt.
I’ve got nicotine stains on my fingers.
I’ve got a silver spoon on a chain.
I’ve got a grand piano to prop up my mortal remains.

I’ve got wild staring eyes.
And I’ve got a strong urge to fly.
But I got nowhere to fly to.
Ooooh, Babe when I pick up the phone
There’s still nobody home.

I’ve got a pair of Gohills boots
and I got fading roots.