Artigli nel ghiaccio

L’uno vive in una sfera molto differente da quella dei molti, le sue regole sono diverse, talvolta paiono bislacche, altre eccentriche, spesso incomprensibili.
Deviante creatura, mutante e mutevole, sfuggevole alle catalogazioni seppur mitizzato nel comprimerlo a topos bidimensionale, astratta pantomima, ridicola maschera.
Non e’ mai la sola apparenza dei fatti a definirne atteggiamento, non e’ mai la filastrocca raccontata per zittire, sorprendere, stupire e raccontare la verita’ per quanto in essa sia radicata oltre la maestria del lessico.
Funambolo, si mostra sicuro allo spettacolo, sorride come se il mondo fosse un luogo meraviglioso, sprezzante gestisce e comanda ma dietro ai movimenti sicuri e misurati c’e’ fatica immane, quella che chiude gli occhi sprecando lacrime, c’e’ poca luce, molto cielo, troppa energia, poca illusione.
L’uno non comprende la lingua dei molti ma voci lontane di paesi e terre oltre il tramonto sono familiari, stranamente vicine, calde come una coperta sotto la quale rifugiarsi quando il freddo paralizza e non lascia spazio ad alcuna forma di calore.
Voci che paiono colmare spazi siderali e alte onde del tempo, provenienti da epoca che a stento individua, piu’ simili a ricordo altrui, sogno di bambino e non distante realta’.
Cio’ che l’uno non sa e’ che i molti non esistono, i molti sono frutto della sua incapacita’ di danzare, di muovere passi bislacchi per onorare cio’ che e’ stato, cio’ che poteva essere accettato e goduto.
I molti corrono e rapidi rispondono a chiamate che non riconosce e forse e’ difesa e se anche non fosse e’ bene non dire, non far capire, non distogliere lo sguardo dal dito che copre il firmamento intero.
Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you wanna find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise.

Affilato minore

Ampia, ampissima macchia sulla luna, sfuggevole luna, sguardo rotondo con movimento asincrono, vibrante, sussulti nello spazio da confondere movimento con riferimento, onda senza criterio, senza logica, senza senso che non sia fuggire ed ingannare.
Il cuore fa male e stringo il petto tra dita contratte ma e’ solo un istante che termina presto tra ricordi e occhi luminosi tra erba alta.
Lo stomaco impreca ma quando non lo fa, quando mi lascia sperare, pregare forse, inginocchiata voglia di luogo fresco e asciutto negato da troppe maledizioni, troppe elucubrazioni.
In un viaggio che non sento piu’ di fare, nel centro esatto di altra vita che scivola annoiata, svogliata rassegnazione alla quale credere sempre meno, li’ proprio li’ tra peripezie sempre piu’ insensate, sempre piu’ stanche e grottesche un singolo pensiero che conduce a infinita tristezza, incommensurabile rassegnazione.
Voglia, voglia prepotente di qualcosa che non ho avuto, forse rinunciato, si rinunciato io, io colpevole delle colpe del padre, debole di atavica debolezza, inettitudine inutilmente disprezzata perche’ mio e’ il marchio, mio e’ il cerchio tracciato attorno ai piedi e queste gambe che lentamente si piegano non destano pieta’ o comprensione.
Mi aggrappo alle parole che affondano e io con esse ma a questo punto che almeno possa fermare il battito, tracciare confine tra scherno e menzogna, ridicola bugia alla quale credo senza alcuna riserva.
Ora avrei avuto di che scrivere tra le pagine in cerca di inchiostro, imbarazzante bianco che traccia percorsi piu’ marcati di qualunque novella, di ogni racconto ma l’autunno sta arrivando prima ancora di poterlo evocare e cavalca il Bach di Gould, sulla punta delle sue dita il leggero peso dell’eternita’, della fine che dell’eternita’ e’ preludio e nell’assolo sussurri e sospiri, sentita emozione, abbandono finalmente se solo non fosse altro inutile desiderio, semmai girotondo ultimo, sguardo ultimo, ultimo e forse primo grazie.

Banale mistero

Autenticazione non necessaria e in virtu’ di questo non devo spiegare niente, giustificare niente, ammantare niente di bianco candido.
Circoscrivere una vita intera sta diventando offensivo, gabellare inconsistenza e sforzo da dedicarmi come immane fatica decisamente grottesco, promulgare con soave ed ironica leggerezza l’idea di immobile stazionare, vagare abbaiando come cane ferito, animale zoppo senza futuro.
Se le maledizioni esistessero allora avrei ragioni per crederci, se la pelle fosse liscia e compatta potrei accarezzare e sciogliere ghiaccio col solo planare di tocco leggero ed essere cosi’ delicato da sorprendere persino me stesso.
Non chiedermi dove sono quando non mi interessa affatto scoprirlo, non chiedermi chi sono quando l’interesse riguarda occupazione di un solo minuto e poi basta, basta, basta inconcludente analisi se osservare e’ condizione minima e sufficiente.
Cosa serve ripetere, che importa speculare in eterno, attesa di milioni d’anni su unico punto in immagine estesa e dettagliata e non e’ il quadro a interessare, non e’ simbolica rappresentazione ma astrazione del sopra e sotto, del diverso, del parallelo, dello speculare ed opposto, complessita’ fatta virtu’, possibilita’ e non ostacolo, non restrizione, spazi aperti che invero non interessano e non posso pensare ad altro, conclusioni negate, convergenze noiose, parola unica in unico dizionario di troppi volti che divengono uno, che agiscono come uno, che pensano come uno, che sfioriscono come uno, che sfiancano come uno.
Questa volta no, questa volta correte a destra e a sinistra come inutili insetti tanto non mi troverete e se cercherete le mie tracce, inutile farlo scrutando avanti e dietro, forse guardando fuori potrebbe servire di piu’…
Suppose I were to tell you that the meaning of dreams
is not all that it seems and the ultimate truth is a lie.
And you are just a puppet who can dance on a string.
Do you feel anything?
Would you Laugh? Would you care? Would you cry?

Cosmo e silenzio

Sedimento di scorie, mistiche visioni di case, divani, piccole scarpe, grandi cene, mura ridicole ed illusorie ma ugualmente possibile qualche volta almeno, non sempre.
Ogni oggetto sintetizzato in specchio, fotografia e provare e’ vangelo, e’ parola d’ordine, e’ quello scatto nel cervello che coinvolge ogni muscolo per ferirlo, mortificarlo e cosi’ esaltarlo e perdio sentirsi maledettamente vivi in quest’onda blu elettrico che sfianca eppure esalta.
Comunque vada…
Parole che non ho mai, mai, mai, mai udito in tutta la vita e in giorni come questi non potrebbe importare meno, in periodi come questi non fa alcuna differenza ed e’ cristallino che mai l’ha fatta.
E’ nuova polvere o poteva esserlo e l’ho sentito aggirarsi furiosamente, muscoli tesi e bava tra denti aguzzi, risata che gela il sangue e arroganza di supremazia nello sguardo.
E’ nuova gravita’ accelerata o poteva esserlo ma ho fermato il tempo, ho viaggiato a lungo, sono tornato e ho ricordato, ricordato quando dolore aveva un senso, quando lacrime bruciavano come acido, quando forza era opzione e non scelta e mi sono alzato, alzato cosi’ velocemente che e’ arretrato, balzato in avanti con l’energia di un esercito che conquista continenti che senza accorgemene le mani erano gia’ sporche di sangue, tagliate con schegge delle sua ossa e non un respiro, non una goccia di sudore versata, pentimento opzione non accettabile.
Sorpreso ancora mi penso vittorioso e di quel sangue scorre sulla lingua il gusto e rido seppur non del tutto convinto pensando a chi non crede quanta strada ho percorso oggi, quanto cammino gia’ compiuto verso quel luogo che solo io so essere reale, solo io so essere mio.
Temple of the evil, Temple of the weak
no one knows how bad he feels
Late-night innuendo, tempetation of the key
“Live with the Blacksheep, live with me”

Decorazioni

Il loro elettro-rock rivela qualcosa che troppo spesso dimentico di avere.
Qualcosa… qualcuno, forse… Avere… essere, forse…
Si trova nella stanza abbandonata, quella esposta al rigore invernale anche quando il caldo soffoca e spezza la volonta’.
Si nutre di insetti, piccoli animali, giorni dimenticati e bile, muove gli occhi gialli e cattivi in ogni direzione, senza tregua, sempre alla ricerca di liscie ossa e rabbia.
Artigli rugosi e scoordinati disegnano ellissi nell’aria, unghie spezzate miste a intonaco sotto piedi nudi e sgraziati, movimenti solo in apparenza misteriosi e bassi gorgoglii, mantra alieno, cantilena di esseri il cui ricordo e’ negato persino alle stelle.
E’ vestito di nero e rami spogli, polvere e bava, lacrime d’odio e tremore persistente, stranamente incede lento quando puo’ essere lampo nello squartare gole, lacerare cuori, smembrare arti.
Entro piano, guardingo, sicuro della mia forza ma incerto nei riflessi, lo guardo, ricambia beffardo e capisco ancora una volta di piu’ che mia sara’ la vita ma suoi i mondi di cio’ che non e’ stato, gli spazi sconfinati disseminati di errori, cosparsi di orrori, terre emerse di progenie d’incubo, primordiale energia che disperdo mentre egli accumula e conserva e raffina per scopi a me ignoti.
Pero’ ho la sua musica, suoni elettrici ed elettrificati, sintetico battere e d’incanto ancora lo controllo, ancora dentro, profondo, esorcizzato mostro solo prigioniero perche’ comunque a lui devo liberta’, esistenza, completezza, lui mia libbra di anima, lui incolpevola vittima, lui, io…
Very little hope I assure you.
No. If a god of love and life ever did exist…
he is long since dead.
Someone… something rules in his place.

Spento ascoltare

E’ capacita’ di avere torto e conviene starsene nella giusta nicchia in silenzio non rassegnato ma dovuto, meritato forse, inutile sforzo di ribellione che affonda e seppellisce e atterrisce e soffoca e zittisce.
E’ conca liscissima, arena plumbea, occhio di bue abbagliante che lascia li’ al centro, occhi chiusi, mani contratte contro buio seviziato e plagiato, piegato e distrutto.
I giocattoli giacciono a terra, non troppo rumorosi, non troppo invadenti, un po’ di polvere, qualche luccichio angolare, giochi che conosco bene, giochi che so gestire, giochi con pochi segreti seppur concreti perche’ il mistero e’ ancora riflesso che restituisce concreto senso e benessere.
In piedi osservo senza parole, senza espressione, neutra figura apparentemente padrona del suo immobile stazionare, solo rassegnata di un luogo che non porta a nessun luogo.
Poi le labbra si schiudono ed e’ canzone senza musica, lirica perfetta nel silenzio che nessuno vuole udire, voci troppo vicine che urlano, schiamazzano, giudicano, ribaltano e nessuno da maledire in un tempo che non vuole etichette, responsabilita’, doveri e ingoia i bisogni come pane caldo.
Ancora parlo ed e’ l’orgoglio l’interlocutore, testardaggine la sua compagna, molta stupidita’ come tramite, sottofrequenza sulla medesima portante e nulla importerebbe se non fosse forte, mortalmente avvincente l’illusione di riconoscimento che comunque non saprei accettare ne’ gestire.
Bisettrice del mio giorno, perno immobile ed indistruttibile scudo e barriera per aria al minimo, per luce al minimo, per minima gioia che trapela da angoli bassi ed inutili, perche’ essere qui, perche’ restare qui, perche’ scrivere qui non basta mai, non basterebbe comunque.
It’s not what you thought
when you first began it
You got, what you want
now you can hardly stand it though
well now you know
It’s not going to stop
It’s not going to stop
It’s not going to stop
Til you wise up

Veloce possibilita’

Fredde notti d’inverno col fuoco che bruciava ogni mio secondo.
Piccole ruote su asfalto ghiacciato eppure il vento mi seguiva, rallentato ed arrendevole mentre la corsa era virtu’, sfida, forza, indomita cavalcata.
Facile vivere quando bruci le giornate con la consapevolezza di essere eterno, perfetta simbiosi con lo spazio occupato, col tempo passato.
Facile ridere nel tempio che conserva e protegge, spada di sola luce che nulla chiede e tutto concede, oasi smeraldina, sabbia d’oro e incenso, frutto acerbo e dolcissimo, controsenso che e’ dote nel suo breve respiro.
Incredibile quanto il mondo possa essere minuscolo eppure completo di tutto ed oltre ancora, maestosamente ammantato ed e’ istante ora che sono cosi’ lontano, ora cosi’ disperso.
C’e’ molta nebbia, nebbia trafitta da lampioni, superfici sudate, viso punto da milioni di aghi e negli anni questo rimane ed e’ strano, molto strano come in fondo non importasse affatto, come se dall’aria oscura traessi nutrimento e sostanza, coesione, giustificazione.
Le canzoni, si le canzoni trascinano strade e ghiaccio, sciabolano energia nello stomaco e quei lampioni fanno piu’ male oggi che allora ma ricordare e’ obbligo non del tutto spiacevole.
Masso che trascina sul fondo ma la corda che ci unisce ci rende l’uno dell’altro, simbiosi con immagini che finiranno con me e io che non saprei cosa essere senza aver attraversato quell’unica strada che davvero ha avuto un significato.
Mere illusioni forse, oceano che mi ha inghiottito quando nemmeno piu’ ricordo e non so perche’ polmoni funzionino, perche’ occhi guardino, perche’ pezzi di note siano oramai pezzi di me.
Sono perche’ sono stato, basta solo confondere il sopra col sotto, il dentro con la finzione…
You drift into the strangest dreams
Of youthful follies and changing themes
Admit you’re wrong, oh, no, not yet
Then you wake up and remember that you can’t forget

Notte senza treni lontani

Guardo alberi veloci, si muovono coprendo l’ultimo sole, intervalli di luce, tunnel alla fine del giorno e improvvisa la voglia di sdraiarsi da qualche parte e respirare, si respirare.
Ci sono stati giorni in cui muoversi era opzione non accettabile, mente lontana, molto lontana dal corpo.
Io ricordo, io ero li’, io sento ancora l’aria nei polmoni che schiaccia cuore e stomaco.
Asettico esistere, visione distanziata, terza persona inerte e paralizzata, peso del cosmo in minuscola particella al centro esatto del petto, atto incapace, impossibile reazione.
Come nuovo apprendere passi e coordinazione dopo infinita stanchezza, senza barriere, senza protezione, senza pudore, dignita’ barattata con biglie colorate e talvolta basta un sorriso, anche beffardo va bene.
Mi domando cosa avrei fatto se qualcuno avesse cercato davvero di comprendere, di aiutare, di allungare una mano, una stramaledetta mano e staccarmi da quel pavimento gelido.
Cosa sarebbe stato del mio oggi, del mio domani, dei luoghi e dei volti, dei gusti e delle scelte.
Pensare e’ avvicinare, ricordare e’ appoggiare nuovamente la calda guancia sulla terra e abbandonarsi, tentazione persino, nemico oggi risorsa ed e’ stupore, inconfutabile prova di quanto profondo sia il dolore che niente, niente puo’ guarire, non illusioni, non salti prodigiosi, non giardini sempre verdi e fioriti e se v’e’ condanna questa e’ profusa attorno, dentro e fuori ogni carezza, ogni bacio, ogni tocco.
Poco risentimento, alzata di spalle che tutto giustifica e irride, scherno che sa d’amaro lo so, lo so bene, gratuita menzogna, minaccia ridicola come bastone sulla tempia ma quel bastone ha colpito molto piu’ duro di quanto possa pensare, di quanto possa sopportare…
What have you got to say of shadows in the past?
I thought that, if you paid, you’d keep them off our backs
Where do we have to be, so I can laugh and you’ll be free?
I’d go anywhere
Baby, I don’t care
I’m not scared

Aurora

Le luci vanno a tempo, ritmici lampi, emozione senza luogo, spazio assente di piena potenza colmo e riverso su se’ stesso.
Ci sono stelle ma sono macchie sbiadite su fondo brillante e multicolore, iridescente tappeto di tinte mai vedute prima e suoni, suoni diversi.
No, non diversi, non alieni, non sconociuti e curioso ritrovare, violento rinvenire di anni lontani, di sigarette gia’ fumate d’aroma persistente e bramoso profumo.
C’e’ azzurro ed e’ profondissimo come un brivido, come la voce di un dio antico che ti sveglia nella notte ordinando di alzarti e combattere, bruma che attende pelle nuda e scaglie di condensa innanzi occhi assonnati.
Alzarsi, ancora alzarsi e fondersi col gelo, con la terra, sciogliere il ghiaccio nel ghiaccio piu’ freddo ancora perche’ il freddo ha limite nella paura, ha senso nei pavidi cuori, negli arti scheletrici dei codardi, nella menzogna che la mente sia tutto, che il pensiero sia infinito quando e’ la forza che ha creato stelle e galassie, e’ energia la fucina delle stelle, e’ violenta la nascita, e’ spaventosa la vita e solo la morte si nutre di pensieri, ricordi, paure.
Un tempo c’erano eroi, un tempo c’era il sole, un tempo c’era l’acciaio, tamburi possenti, echi di cuori in tumulto, gambe come acciaio, schiene su cui poggiare un’intera sfida alla vita.
Vita, cos’e’ forse la vita, questa e’ vita?
Dov’e’ l’urlo, chi ha strappato dai polmoni l’aria degli eoni, il respiro degli oceani?
Dov’e’ il fuoco, chi ha svuotato le vene da linfa della roccia, anima dei vulcani?
Dov’e’ la tempesta, chi ha prosciugato le nubi, tifone che spazza i pavidi che fuggono?
Io chino mi nutro, suono le mie corde, occhi chiusi e nessuno mi stia davanti, nessuno mi ostacoli, nessuno soffi sulle mie braci perche’ mille sono i modi per respirare, ma solo uno di vivere…
“Sai cos’e’ un piumino?”
“Una trapunta…”
“Una trapunta, solo una coperta…
Perche’ due come te e me sanno cos’e’ un piumino?
E’ essenziale alla nostra sopravvivenza nel senso cacciatore e raccoglitore?
No. E allora che cosa siamo?”
“Siamo consumatori?”
“Esatto, siamo consumatori.
Siamo i sottoprodotti di uno stile di vita che ci ossessiona.
Omicidi, crimini, poverta’, queste cose non mi spaventano.
Quello che mi spaventa sono le celebrita’ sulle riviste, la televisione con 500 canali, il nome di un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il Viagra, le calorie…”
“L’arredatrice Martha Stewart…”
“‘Fanculo Martha Stewart!
Martha sta lucidando le maniglie sul Titanic.
Va tutto a fondo bello!
Io dico, non essere mai completo.
Io dico, smetti di essere perfetto.
Io dico… dai odiamoci e le cose vadano come devono andare…”

Mai una foglia

Capire, cosa c’e’ mai da capire.
Insidiosa imperfezione s’interpone tra la vista e il pensiero, mancanza di prospettiva, linee che infine non sono mai parallele e maledizione non si spiega il perche’.
Sorriso che rimane a meta’, sospeso in un limbo grigio e fumoso, parole strascicate, insufficiente lessico e logica da rivedere, da riponderare, da riformulare.
Facile rimanere nel fresco della soffitta senza bisogni ne’ calore.
Il vento della stagione si fa amico e la sua venuta e’ in qualche modo da ricordare, il tepore e’ da conservare per quei giorni in cui caldo e’ ricordo, caldo e’ lontano ed inevitabile avversario, tesoro da non disperdere e stringere con affetto.
Ci sono giorni in cui quelle linee imperano stagliandosi nette e precise su bianco, millimetrica gestione, automatismo perfetto, persino non umane, silicio genitore.
Ci sono giorni in cui incapace mi domando da che parte abbia volto lo sguardo, se le stelle non siano gia’ allineate tracciando strada celeste e sorridente cammino non fosse bassa distorsione al limite del campo sonoro, vibrazione che passa per lo stomaco, insidioso disturbo che colpisce vigliaccamente da dentro, erosione controllata e scientifica, goccia che uccide scavando e scavando rivela zone sempre piu’ oscure, sempre piu’ tenebrose, angoli da non guardare, neppure concepire.
E’ che quel suono rimane nutrimento, sostentamento necessario, alba sulla quale aprire gli occhi e tramonto a cui donare speranze, liscia atmosfera di stanza luminosa.
Qual suono e’ forse la parte migliore di me.
I used to think that the day would never come
I’d see delight in the shade of the morning sun
My morning sun is the drug that brings me near
To the childhood I lost, replaced by fear
I used to think that the day would never come
That my life would depend on the morning sun…