Castello di carte

Pioggia consueta e bagliori, rifrazioni, riflessi come stelle colorate precipitate sul parabrezza.
Confusione di ombre distorte che corrono, auto nervose, inconsapevoli, perdute ed impazzite, vetrine dilatate e poca vita dietro, ancora meno fuori.
Orario di fuga, fine dell’ennesimo inutile pezzo di vita ed e’ palpabile la mancanza di ricordi, di esperienza, del minimo epico necessario ma sono altresi’ convinto gli dei invidino l’umana banalita’, l’inutile peregrinare, la pochezza dei sentimenti.
Follia di lamiera e ruote, sprofondare lento appesantito da kilometri e pensieri mentre fuori la realta’ si scioglie in scintillante e caotico magma, torrente che trascina non so dove, non so se uscirne e la musica d’un tratto stordisce, fa male, ripiega tempo logica e cambia sapore, muta corpo e ogni cosa torna semplice, non banale ma comprensibile, umana.
Odore, odore di finta pelle e se estate sarebbe tanfo, rumore metallico, vibrazioni antiche e aria calda che sa d’olio, di ingranaggi, di cinghie e sorriso fuori autorimessa.
Quante stelle, quelle non sono cambiate, meno colorate forse, meno intense, piu’ agitate certo, repentine, magari piu’ allegre, certo e’ cosi’.
Prospettiva diversa, asse inclinato ma anche allora pensieri, immagini, disegni sull’umido del vetro, luce scolpita, nuove deviazioni, divertenti variazioni, stupore e incanto di un viaggio verso casa.
Quella musica era attorno non dentro come ora ma da qualche parte e’ filtrata, insinuata in gironi secondari del cuore e con essa ritrovare voglia di protezione, sensazione gia’ sfumata eppure presente di far parte di qualcosa, importare, importanza, importato… amato.
Quella musica, si quella musica era la musica di casa, suoni di mattoni riscaldati, di lenzuola pulite, di una stanza che sapeva essere statica terra e paio d’ali e al di fuori che importa, mezzo non tramite, solo mezzo, solo…
Has the light gone out for you?
Cause the light’s gone for me
It is the 21st century
You can fight it like a dog
And they brought me to my knees
They got scared and they put me in
All the lies run around my face
And for anyone else to see
I’m alive
I’ve seen it coming

Sonatina

Basta, basta domande, basta risposte, basta incessante ripetersi di voci, lamenti, schiamazzi, grida e fuori, fuori da qui, tutti quanti.
Il problema non e’ e certo non e’ mai stato rivelato perche’ mistero o enigma, invero e’… dovrei decidermi su questo.
Continuare ad illudermi di non sapere, di non conoscere, usare i ricordi come terra incognita oppure svelare cio’ che non voglio sentirmi dire, cio’ che preferisco non scorgere se solo girassi lo sguardo nella giusta direzione.
Forse e’ presto per ascoltarmi, forse non saro’ mai veramente pronto e ancora una volta non c’e’ chi ascolta per me e non sono ragione sufficiente per far muovere labbra fin troppo abituate a salti, voli, capriole, montagne splendenti.
Intanto, si intanto il tempo passa e quasi piu’ nulla e’ ricondotto a quanto ricordavo e davvero non riconosco piu’ niente di cio’ che sapevo.
Dove sono, dove sono finito, chi sono queste persone, che stanze abito, a chi appartiene quell’albero di giorno in giorno sempre piu’ spoglio, rami bassi verso terra che freddamente non attende, non vuole aspettare, ignora senza passione, senza pieta’ e compassione.
Ascoltare cosa, sapere cosa, specchio distorto di evangelico volto e piuttosto sia realta’ incomprensibile e solo immagine riflessa che come bambino, ingrusgnisco voce, piedi in punta, camice che tocca terra e gioco nel prepararsi a una vita che del resto non ho mai gestito sino in fondo.
E allora che consueta irrealta’ mi sia amica e compagna, solitudine dinnanzi la quale non fuggo piu’ da tempo e respirare forte, piu’ forte del necessario, nettare, piu’ nettare del previsto e lucente grotta innanzi a me, tunnel di suoni, si i miei suoni, musica.
Dovrei pero’ chiedermi perche’ ho tante canzoni da ascoltare e nessuna da cantare…
And being alone is the best way to be
when I’m by myself it’s the best way to be
when I’m all alone it’s the best way to be
when I’m by myself nobody else can say
goodbye

Giardino sospeso

Non c’e’ abbastanza jazz in queste sere, rabbia ingiustificata filtra emozioni scindendo colori in sfumature primarie senza compremessi, contrasto faticoso da gestire, iperbole che a tratti pare troppo ripida e chiudere gli occhi, trattenere il respiro e’ necessaria precauzione per non precipitare, per non avere troppa paura, per mantenersi in perfetta perpendicolare all’instabile terreno.
Rughe leggere al minimo sorriso e a stento freno strisce di gelatina e materia perche’ evitare e’ salvezza e condanna nel contempo, propulsione distruttiva a contrasto di immobile agonia e potrei persino prenderci gusto fintanto che i polmoni mi sostengono, mentre false certezze carburano motore esausto, vuoto serbatoio calcificato, ammaccature interne non piu’ riparabili.
Uscire ed e’ fuggire mentre aria rinfresca e colore sorprendono, farsi seguire dalla strada senza piu’ niente da dire e lascio siano le nuvole a raccontare, il primario bisogno di sopravvivere malgrado tutto, nonostante lo stato perenne d’imperfezione che come crepe su liscia parete distolgono e confondono, decentrata analisi, immagine sfalsata e non rimane altro che abbozzare circostanziato assenso e in fondo che altro rimerrebbe da fare.
Divenire qualcuno che attende e disprezzarsi per questo ma ben altro e’ da osteggiare, affrontare senza impegno, senza calore, senza passione cio’ che fugge e seguire e’ un po’ fuggire, come se al di la’ di dove non posso vedere sia riposto un sole piu’ caldo di questo, asfalto meno scosceso, sfera perfetta non di questa terra, ammirevole precisione che a stento comprendo laggiu’, magari troppo, altezza sufficiente ma non la giusta, distorsione, distorsione, distorsione.
Essere prospettiva e che l’ottica divenga opinione, variabile e non piu’ costante, eventualita’ e non problema, fuoco sul ghiaccio di ogni giorno.
My home…was a place near the sand
Cliffs…and a military band
Blew and air of normality

La Voce

Incredibile quanto sia tutto cosi’ distante da cio’ che sono, da cio’ che voglio, da cio’ che desidero ma io non lo sono quanto dovrei, quanto vorrei, quanto sarebbe consono ai crepitii, ai sussurri velenosi, all’abbondante e stupido vociare.
E’ voler smettere di sognare quando notti sudate scalciano il giorno dietro grevi tendaggi putridi e impolverati, ancorano queste pesanti gambe in mare di calce e urla e quei sogni, quei maledetti sogni si affacciano alla fine dell’alba lasciandomi esausto e quella voglia insensata di non fermarmi, partire e smettere di bere, mangiare, riposare, pensare, lasciare i perche’ a giorni in cui morale era porseli, millenni nei quali albergava senso del giusto che ancora filtrava sole davanti agli occhi, verde al bordo strada smeraldo.
E’ non avere abbastanza amplificazione, potenza che abbassi braccia sospinte verso l’alto, gravita’ che ribalti confusione e rotazione, giostra con biglietto scaduto, tagliando non valido, diritto mai acquisito.
Vibrazioni e qualcosa si muovera’, quelle immagini sul fondo chissa’ non diventino invernale mare agitato, vento gelido che finalmente uccida cio’ che ancora vive dentro quelle voglie, dentro la maledizione di svegliarsi sempre nel posto sbagliato, nella musica che ha molte, troppe note che non so smettere d’amare.
Voglio precipitare nel baratro del quotidiano, nell’oscura metastasi del ristorante domenicale, nello sfolgorante sorriso delle feste paesane, nel divano sola oasi serale.
Voglio udire il viaggio trasversale della puntina sul mio disco preferito, urlare tutte le mie colpe vere e presunte che siano e non essere perdonato da nessuno, non essere accettato da nessuno, non essere compreso da nessuno e scontare ridendo la condanna ad essere cio’ che sono, ricordando con rimpianto quando non e’ mai avvenuto, esistenza irreale fatta carne e volonta’, confondermi, implodere in unica epoca, tempo scandito e basta biforcazioni, eventuali fratture, pensieri divaricati, sommesso dolore, fragile sguardo, inutile sicurezza, domani fatto ieri quando imparo che non ho un tempo mio e saperlo fa sempre piu’ male.
Forceful and twisting again
Wasting the perfect remains
I’ve felt it once before
Slipping over me
Sweetly the voices decay
Draw on the lines that they say
I’d lost it once before
Now it cries to me

Area

Non esiste alcun cerchio della vita, non per me, mai per me.
Ho un inizio e una fine, due punti distanti e uniti da rocambolesche ellissi, terra incognita attraversata da curiosa esistenza e il cammino delinea ogni angolo, tutto quanto c’e’ e se ogni istante e’ mistero, partenza e arrivo unicamente noti.
L’eternita’ che cerco non e’ nel ripetersi sempre diverso e sempre uguale di strada infinita perche’ non iniziata, il mio infinito non e’ staffetta, non gioco di squadra, non misera e minuscola umanita’, non inutile rincorrersi di carne, ossa, arti sconnessi e compressi.
Non piu’ delegare, ritenermi parte di insieme che mai altro ha contenuto se non questi muscoli, questo pensiero, dotazione di chissa’ quale entita’ ma certamente conquistata metro dopo metro, a volte sprecata, altre giunta a guardare immeritate valli, sopravvalutata si ma altrettanto sottomessa a fobie e manie distruttive e deleterie, debolezze, debolezze letame dei miei giorni, scorie delle mie notti, acido che ha corroso quanto di meglio ho avuto ed unica forza e’ stata ricrescere, rigenerare il perduto essere, impossibile ricostruire, forse abbozzare, certo reinventare e se ripercorrere quei metri e’ rabbia che brucia e consuma non v’e’ altrimenti scelta, nessuna diversa possibilita’ e sia, continui invero ad essere.
Nessuno arroghi diritti e pretese pero’, tantomeno ignobile destino, inerte fato, parcheggiata sensazione di dovere qualcosa a qualcuno.
Ammissione di responsabilita’ e non so essere pretesa o sensazione, senza confronti, senza accostamenti, padre e padrone incontrastato di terre e soli pero’, banchetto con cio’ che mi appartiene ma qui mangio solo, qui unico coperto, libagione infine meritata, mia.
Now the starlight which has found me
Lost for a million years
Tries to linger as it fills my eyes
Till it disappears.
Could it be that somebody else is
Looking into my mind?

Appunto

Non decido il fondale come non separo cio’ che e’ da farsi con quanto e’ concluso, eccitante ed euforica cavalcata non fosse del tutto comprensibile ultima luce, laggiu’ sullo sfondo.
Eppure mai quanto ora desidero sintesi e selezione e avvio di fantasia non troppo pronunciata, spazio poco dotato e lenta rotazione, quasi un galleggiare di antica memoria.
Muscoli gia’ fermi ma il motore continua a ruggire con eccessiva veemenza, travolgente boato, incessante boato che oramai non sento piu’, oggi non disprezzo piu’.
Forse ho smesso di cercare, di provare, di tentare e il mio buio e’ sequenza multicolore abbagliante di cangianti tinte, traslucidi riflessi di quanto non sarebbe mai dovuto essere.
Leggera confusione ammetto, convinzione che si accartoccia avvolgendosi su se’ stessa, inconcludente in inconcludente moto e troppo deboli sono le mani, non afferrano e non creano, trasformazione irrealizzata, sedimenti, scarti sul fondo e parole buttate via, frasi senza tempo che altro tempo non hanno.
Scorgessi maiuscolo elevarsi e qualcosa prenderebbe forma ma non convinco, non convinco questo bianco che attende e pulsa nervoso, propulsione senza inerzia, moto non accelerato, stazionario persistere, resistere, fermarsi e aria inalata per non morire, per non avere scuse o scappatoie, eliminare protezione e pareti ad angolo dove rifugiarsi.
Aria di gomma, luoghi densi di nebbia, cocci sotto le suole e se solo cercassi di respirare so che soffocherei, morire di desiderio evitato fa persino sorridere, curioso esperimento che sarebbe ora di concludere.
Gia’ concludere e cosa poi se non reinventarsi e ridefinirsi, ingrato e sempre piu’ improbo compito ma gia’ decidere di ignorare e’ movimento una volta tanto non fine a se’ stesso.
Gotta do what you can just to keep your love alive
Trying not to confuse it with what you do to survive
In sixty-nine I was twenty-one and I called the road my own
I don’t know when that road turned into the road I’m on

Poter restare

I fantasmi esistono, certo che esistono.
Si aggirano tra noi, indifferenti ed inconsapevoli, lenti vagano attorno ai tavoli, si delineano oltre spesse vetrate come se realta’ fosse nebbia, impalpabile esistenza, coerenti col vagare improprio tra viventi stanchi e disturbati.
Spettri inconsapevoli d’esserlo, sorridono ma quelle labbra dischiuse parlano ad altre orecchie e non e’ la loro voce cio’ che si ode, non sono loro parole quelle udite e presto e’ mistero svelato cio’ che inconvulse forme rappresentano e indicano.
Confondere e non e’ difficile, non e’ improbabile, consapevolezza che giunge a piccoli passi, furtiva e spaventosa come grandi verita’ che a fatica si accettano.
Noi siamo i fantasmi o forse stato indefinito, corpo etereo, indistinguibile ammasso di passioni e ricordi e mani tese e sguardi veloci e guance arrossate e ore troppo veloci e giorni troppo lenti e anni inconcludenti.
Apparizioni forse e se fosse opposto, noi invadenti figuri senza spazio e riposo, noi ricordi, magari eventualita’ irrealizzate ed abbozzati desii e basterebbe a spiegare un tempo mai appartenuto, mai sentito proprio, mai innestato nella ragione e nel cuore.
Spiriti, spiriti e io loro evocazione sorrido a mia volta oltre un passo di quanto conosco ed e’ importante mentre e’ noto cosi’ poco, per comprendere senza confondere, per non smarrirsi nell’ingiustizia, nella malasorte, nelle scelte sbagliate, elevarsi almeno e trovare forza, fede, si fede in cio’ che superiore conduce, qualsiasi gesto per non credere in cio’ che si calpesta e osannare cio’ che ogni salto ha spinto a raggiungere, infine giungere laddove ogni lacrima e’ caduta.
Take your time and you’ll be fine
and say a prayer for people there who live on the floor.
And if you see what’s meant to be,
don’t name the day or try to say it happened before.

Muto uragano

… che il domani non divenga gia’ ieri, suggestione alla quale non segue sforzo reale, effettivo movimento e reazione, corsa o balzo, forse un solo accenno, stramaledetta parvenza di respiro che non sia misero simulacro di vapore caldo.
Mi aggiro come ombra spaventata, confuso tra ostacoli che separano meta che non voglio raggiungere, nastro rosso integro e teso tra antiche rovine e sogni in disuso, desolante figura non fosse quell’angolo di luce che ancora e’ domanda, ancora questiona tra silenzi e folate di sabbia, inutile e patetica eppure importante, talmente fondamentale da giustificare apparente inutile fatica.
Vorrei parlare, giuro vorrei davvero ma da tempo bocca e’ arida apertura su luogo che mai e forse e’ stata rigogliosa se non in brillante illusione nella quale talvolta arrotolo nuvole e respiro erba appena tagliata.
Non ho piu’ parole, questa e’ la realta’, realta’ di mura invalicabili e umidi appigli scivolosi ed inutilizzabili, barriera che nessuna spinta travalica e se ho seminato splendidi fiori tutt’attorno e’ stato abbellimento, consolante ripiego di inevitabile risultato.
No, guardami muto innanzi a te perche’ non pretendo nulla, stanco persino di domandare, di offrire indizi e passi avanti seppure qualcosa ancora combatte, piccolo animale e grande forza di radici scordate in un passato che certi giorni risplende come sole d’estate, frammenti di uno specchio che a frantumi delinea meglio e oltre l’intero.
Cio’ che resta e’ qui, disperso in minuscolo mucchio di segni monocolore, rinfusa e rimescolata catarsi quotidiana e piu’ sembra semplice, piu’ affondi nel mucchio caotico ed apparentemente disordinato della sola forza che rimane, scintilla di miccia inesplosa, potenziale magari inespresso ma sincero, verita’ che non toglie il respiro, non affascina come dovrebbe eppure senti ed osserva, pugno che accarezza in mano piccola, piccolissima ma esiste, c’e’ e almeno e’ certezza.
Everything as cold as life
Can no one save you?
Everything
As cold as silence
And you never say a word

Senso, si senso

Manca appoggio sotto i piedi ed e’ lento piano progressivamente inclinato, indifferente movimento ma non si puo’ evitare in eterno, fare finta che gli oggetti stazionino immobili, che la gamba d’appoggio non dolga da non poterne piu’.
Vorrei davvero pensare, solo pensare che equilibrio domini ancora perche’ ogni desiderio e’ ordine nel regno dell’io dolente e arrendersi lo e’ sul serio se attonito sorrido alla catastrofe.
Non controllo, no, non controllo piu’ declino e destino, respingo e pare guidare come se sbattere forte equivalga a carezza, urto come abbraccio, occhi chiusi come riposo.
Posso persino allungare la mano e non sarebbe poi follia se una volta, solo una volta, afferrasse cio’ che non e’ aria ma in questo luogo anche il giusto e’ fumo che presto si svuota di forma e profumo.
Non posso, davvero non posso anche solo concepire di non essere solo, comunque, imprescindibile da sogni e promesse e ragionare e’ sordo male, vera resa, vero fraintendimento di bisogno antico, ancestrale richiamo, figlio di genitori imposti e raccontati in novella viziata e bugiarda.
Ebbene confuso e defilato, impossibile gestire, spazio con poca luce, poco calore, semplice struttura, fine del rilascio cinetico e ancora una volta a porsi domande anche se tempo che vortica ha risposte che non interessano, non interessano ormai.
Se cio’ che voglio sentirmi dire e’ ancora sospeso da qualche parte io non lo so, non cerco piu’, non guardo piu’, non pretendo ne’ esigo ma c’e’ abbastanza vita qui da ascoltare, per recepire, forse possedere un briciolo di realta’ che non sia ne’ ieri ne’ oggi ne’ domani ma almeno questa volta per sempre.
Our instruments have no way of measuring this feeling
Can never cut below the floor, or penetrate the ceiling.
In the space between our houses, some bones have been discovered,
But our procession lurches on, as if we had recovered.

Grandangolo

Sottile nostalgia ma dita troppo intorpidite per eccessi di razionale ed inusitale raccontarsi.
Colpo diretto e frontale nel centro esatto di un bersaglio che io stesso non trovo e non riconosco, viaggio su strade a lungo abbandonate per mancanza di voglia, di interesse, di viaggiatori.
Misantropia che non acceca ed e’ inusitata lunghezza d’onda, estranea informazione, non la sua assenza, spettro di visibilita’ traslata non ridotta, tantomeno assente.
Rifletto sul senso d’estraniante analisi che in parte tormenta ed affligge, pesante fardello da portare per ancorarsi a realta’ distante, questa certo aliena, incomprensibile talvolta.
Difetto insito nel metodo, schiacciamento di realta’, puntiforme risultato finale che unendosi divide, restringe e non allarga, minuziosa ricerca di macrocosmo invisibile alla lente posta innanzi agli occhi.
Trovarsi quindi agli antipodi della punta della biro a distanze siderali, incapace di scendere, forse paura di precipitare, di non frenare, di non saper piu’ planare dolcemente per gli impervi e scoscesi viottoli tracciati degli anni.
Chiedersi improvvisamente chi davvero sia interessato qui, senso di curiosa impotenza, risveglio di parole sepolte sotto pesanti drappi neri nell’angolo piu’ buio della stanza, fotografie ingiallite di volti spauriti e senza eta’, amalgama di vite cosi’ diverse, sovente inespressive perche’ nulla si puo’ esprimere nell’attimo come nella parola quando esistere e’ ininterroto flusso d’informazioni, libro sempre aperto di inchiostro appesantito.
Poi ci si getta un po’ via, sorriso di antica comprensione, forte di sincero sguardo perche’ preparazione e’ in fondo belletto che mai mi e’ appartenuto, testardo appeso ad estremo manifestarsi ma in fondo e’ offrire cio’ che si esige, coerente prezzo, direttiva unica come unica la mano che porgo, l’io che sono.
Non so dei vostri buoni propositi
perche’ non mi riguardano
esiste una sconfitta
pari al venire corroso
che non ho scelto io
ma e’ dell’epoca in cui vivo