Certe notti mi perseguitano, la notte successiva e’ ombra della precedente e il giorno veste di fantasma velo che non permette visione mirata ed e’ vagare con eccesso di lentezza e fiacca circospezione.
Il coro e’ meraviglioso contrappunto che non mi stanco d’ascoltare e fuggendo s’avvicina in ellittico movimento che riconosco familiare e ambito.
Vorrei inserirmi in quel coro ma non c’e’ spazio per parole che non ho scritto, che non so pronunciare, tantomeno cantare ed eccomi fuori luogo, fuori contesto, spaesato, triste inutile scudo di delusioni e promesse disattese.
Voce sorridente sentenzia che non sono dove dovrei essere e vorrei tanto che quel sorriso non divenga beffardo ma non posso farci nulla, trascende la volonta’ sopportando imprecazione incastrata nello stomaco, acida, inutile, cattiva polemica, sterile come reazione ad evento distante milioni di parsec, altra galassia, altro spazio, altre canzoni, altri pensieri.
E cosi’ staziono sullo stretto marciapiede delle notti che vivo, lunghissima striscia quasi a togliere un grado di movimento ma posso cadere girandomi, ignorando piroetto ma e’ posa nemmeno divertente, sottilmente necessaria perche’ andare sta divenendo facile anche senza un motivo.
Rispondo allora con ghigno selvatico, tanto che importa se avanti e indietro e’ baratro, destra e sinistra solo noia, basso noiosa salvezza ma in alto ancora potrebbe esserci qualcosa non molto distante da un balzo che invero non compio senza neppure un perche’ preciso e definito.
Ora no, ora inesplicabile tristezza mi ancora vicino e lontano, vicino al cemento, lontano dalla tautologica essenza dell’esistere che da qualche parte ancora si nasconde, forse laddove giuro e spergiuro di aver gia’ guardato, di aver gia’ parlato, di aver gia’ osato.
Una parola detta piano basta gia’
ed io non vedo pi
Misura silente
Uscendo nell’aria ho respirato aria ed e’ stato come fosse la prima volta.
Ora di grugniti davanti telequiz, ora di lamenti e mugugni, ora di maledizioni cosi’, giusto per non perdere ritmo e cadenza.
Odore dolciastro e caldo e stranamente non fastidioso, poche auto ed e’ ulteriore anomalia ma la citta’ sembra stranamente rilassata, impropriamente silenziosa, placidamente adagiata sulle propria ossa, rigurgiti rimandati a un domani sempre troppo vicino.
Guardo verso l’alto, incontro un cielo anch’esso stanco, indifferente, bravo mestierante nel carico di stelle annoiate e poco ispirate, luna opaca forse un poco infreddolita, senso dell’inutile che talvolta e’ benessere.
In tutto questo respiro ancora e apro gli occhi, occhi a fessura da tutto il giorno, occhi che non hanno voluto vedere forme solo macchie, qualche colore, sfumature giusto per distinguere, per non cadere, per non sdraiarsi arreso e perduto.
Un quanto di tempo per non sentirsi solo, non tranquillo perche’ tranquillita’ e’ fermarsi, tranquillita’ e’ per chi e’ giunto senza arrivare e per coloro che oltre ogni aspettativa hanno superato un traguardo inimmaginabile.
Io no, io ho scelto e voluto, io ho la mia stella troppo lontana, la’ laggiu’ da quella parte, fuori portata dalla vista, piu’ vicina al cuore che al calore, singolo violino di un’orchestra che da tempo si e’ allontanata dietro le quinte, voce che in solitudine suona con ardore per una sala vuota sapendo eppure che qualcosa rimane sul pregiato damasco dei sedili impolverati.
Ho respirato e non per vivere, non per non morire, non per sottrarre ossigeno alla terra, non per dovere e banale incondizionato riflesso.
Ho respirato per me, perche’ ogni tanto me lo merito, perche’ e’ quanto di meglio possa dare, avere, sussurrare e se un respiro puo’ essere tempesta allora io sono quel respiro, io sono quella tempesta.
At night
I hear the darkness breathe
I sense the quiet despair
Listen to the silence
At night
Someone has to be there
Someone must be there
Cicli dei progetti
Vi sono luoghi che non conosco e che neppure immagino ma l’astrazione d’essi e’ destinazione che quotidianamente raggiungo ed esploro per kilometri e kilometri, tessuto materiale di strana consistenza tra fredda realta’ ed astratta concezione d’irrealizzato bisogno.
La storia e’ un gioco della mente e girarsi di lato, distrarsi il tempo di un racconto ed ecco che i ricordi si deformano sotto il peso e la spinta di menzogna calcolata e studiata da chi di menzogna vive.
Non importa, non e’ importante dal momento che metodo ed obbiettivo sono limpidi e stampati a fuoco nelle mie braccia e innanzi gli occhi si stagliano come percorsi infuocati che nulla lasciano al caso.
Estirpare i simboli non e’ operazione semplice, puro simbolo talvolta se un concetto sta alla base delle azioni conseguenti, se l’idea e’ sangue di un corpo che altrimenti non vive, non prospera, non ha ragione d’esistere e respirare allora il rischio c’e’, esiste ragione e motivo d’imprescindibile compatezza e d’impossibile separazione.
Nuove fondamenta allora, decostruire e ricomporre riempiendo volumi con spazio vuoto che non e’ aria bensi’ nulla che sostiene eppure satura ed e’ oggetto al pari di fango e cemento, luce nella luce, buio nel buio, sostituto non immateriale perche’ di tutta la materia e’ composto.
Cio’ che rimane e’ stato visto mille volte ma un milione di finestre sono li’ pronte per mostrare panorami inediti, scorci di grandezza umana nell’unica grandezza che l’umanita’ puo’ partorire.
Quando le strade sono serpenti bigi ed inutili pensieri li percorrono prima delle gambe allora non c’e’ cielo invernale che rattristi questo nuovo mondo, non puo’ cadere abbastanza neve per coprire i segni di un trionfo tramutatosi in sconfitta, radioso futuro ora monumento a cio’ che mai avrebbe potuto essere.
Voglio odorare
il sapore celeste del ferro
voglio vedere
il profumo sanguigno del fuoco
esiste lo so
Immagine caduta nella stanza
Come eco da caverna profondissima, ascolto smarrendo senso del tempo ritrovandomi incapace di capire, solo udire, solo sentire e sono brividi meravigliosi quelli che rinuncio a gestire.
E’ notte col silenzio che ognuno merita nella vita ma da qualche parte e’ calda mattina di settembre, afa leggera ma persistente, asfalto mischiato a sete e fame, scarico d’automobili come jungla e tempo di correre, di viaggiare, di buttarmi ancora un po’ via, via nel mio mondo.
Ricerca frenetica, delizia dell’inaspettato, fremito del non ottenere quanto si cerca e poi palpebre che come in film si chiudono e riaprono a dimezzata velocita’, respiro sospeso nel petto, distorsione di realta’ che dura spazio di un sorriso e quel senso di pace misto a eccitazione di chi sente di avere un magnifico presente e un futuro dal sapore di luminosa alba.
Il resto e’ viaggio controllato, incantato, perso, meraviglioso oggetto, sfiorare per non toccare, reliquia la cui arte celata e’ piu’ dell’impronta divina, profano che nulla ha da apprendere dal sacro, semmai reciproco riflesso di comune origine, tacito accordo e pletora d’intenzioni, potenziali movimenti, diramazioni multidimensionali che si dipanano innanzi ai finestrini piu’ veloci dello sguardo ma non della voglia di vivere.
Dopo ricordo mano tremante di diamante su vinile, vibrante crescere, non consapevole ma ora certo di quel piccolo spingersi avanti verso nuovo limite, scaglie di pelle gettate altrove con la felice rabbia di chi sa di muoversi nella giusta direzione, incognito come premio e non punizione e se comprendere appieno e’ privilegio di cio’ che e’ stato, inconsapevole e’ condizione privilegiata, spazio interiore che inizia a raccontarsi, esso stesso luce nell’imposta tenebra dell’altrui concepire e come nuova carne rinascere e alfine riconoscersi.
Native these words seem to me
All speech directed to me
I’ve heard them once before
I know that feeling
Stranger emotions in mind
Changing the contours I find
I’ve seen them once before
Someone cries to me
Da finire
Provare a raccontare non e’ cosi’ facile specie nel momento in cui cerco di spremere e condensare stati d’animo oltre l’esperienza.
Quanto e’ difficile far convivere il bisogno d’ognuno di sbagliare con la prevenzione del dolore, del disagio, della delusione, indurre l’imperferzione evitando irrimediabili conseguenze, traumi che restano e talvolta piegano, inspiegabile spiegato da un tempo che raramente perdona, che ancora meno concede se non cocci che solo faticosamente ricomposti definiscono immagini delle quali niente interessa piu’.
L’arroganza e’ un girotondo che il solo dolore interrompe e c’e’ ogni volta uno specchio con troppa luce, con troppi colori, con troppe bocche che cianciano, discutono, sillabano e cadenzano cio’ che non si vuole udire.
Noi mortali abbiamo il solo privilegio dell’acciaio forgiato nel fuoco, condanna per qualcuno, per me benedizione e privilegio, magari con misura, angolo di ristoro li’, li’ vicino ma nessuna alternativa e’ invero preferibile se non immergendosi nella decandenza, nella dissolutezza, smarrendo l’essenza stessa dell’essere uomo in quanto somigliante creatura.
Filosofia nemmeno troppo antica e non importa si urli sia sbagliata perche’ natura ha ritmi propri irrinunciabili e contraddire e’ figlio di benessere, vizio e perversione, magari stupidita’, ignoranza di coloro che osservano perche’ non sanno agire, ammantati di pavida superficialita’.
Piccola cultura da combattere e costa urla e lacrime ma ricompensa fiera consapevolezza, decisa presenza, nessuna certezza ma si sente di possedere, di conoscere e se accettazione e’ chimera, almeno e’ possedere laddove illusione impera.
Hai paura del tuffo nella polla del plasma!
Ha paura di essere distrutta e ricreata vero?
E scommetto che pensi di aver risvegliato tu la mia carne, ma tu della carne conosci i precisi canoni della societa’, non riesci a superare antiche paure, il terrore malsano della carne…
Abbi grinta o rinuncia a toccare il cielo!
Va e viene
Sbadiglio mentre ritmi forsennati bruciano gli occhi e inducono a resistere oltre, un po’ di piu’.
Travalico le assenze, coloro i silenzi, amplifico i ricordi, ricordi…
C’e’ penombra e mistero, fiochi lampioni, caldo, stelle e sudore.
Raramente e’ stato cosi’ dolce sprofondare odiandosi poi, assimilando ed assorbendo, gioco poco massacrante, emotivamente tirato ma e’ sale e sostanza, attesa snervante ed esplosione ancora piu’ gioiosa.
E’ che ho smesso di osare, il mio alloro e’ secco oramai ma profumo inebria e confonde anche se rimane splendida e meravigliosa ombra, ombra di cosa, ombra di chi.
Non ricordo bene chi fossi ma so che lontano definisce pelle e giorni, vicino e’ un brivido solcato da calore, dentro e’ oblio e stupore.
Determinato, senza scrupoli forse, necessario tragitto quando destinazione semmai non giustifica e se qualcosa e’ bruciata questa non e’ anima, non tappe, forse tempi, magari voglie, antica baldanza in cambio d’inutile sapienza.
Poi in fondo cosa non sapevo, cosa mancava al quadro in moneta contante, quanti giri di campo ancora da percorrere affinche’ divenissi stanco abbastanza e ora non so piu’, visualizza a stento ed e’ buio, sempre piu’ buio, indistinto rosa e bianco e nero e caldo e freddo e non so, non so piu’ bene…
Sono luci lontane, lucciole minuscole che ancora reggono il freddo che avanza, scintille di orgoglio un po’ ridicolo visto da qui ma che dovrei ricordare in fondo.
L’oggi etereo non ha altre luci, volume senza materia e nel profondo c’e’ qualcosa che ancora alza il mento e se fosse un po’ vivere, questa e’ la vita che vorrei.
Just when I think I’m winning
When I’ve broken every door
The ghosts of my life
Blow wilder then before
Just when I thought I could not be stopped
When my chance came to be king
The ghosts of my life
Blew wilder than the wind
Rendere libero
Essere isola, terra inesplorata, sabbia scossa dalle onde, palmizio al vento, pallido chiarore notturno, mare fluorescente e silenzio tutt’attorno.
Essere solo e non da solo come camminare su linea di mezzeria e stare al centro di margini sempre piu’ sfumati, ogni giorno meno evidenti ma ugualmente pesanti, macigni incontrollabili, ginocchia piu’ vicine al terreno.
Strada che si allarga ignorando confini e restrizioni eppure ne vengo compresso al centro come pressa che non lascia scampo e fuga, distorsione che neppure comprendo provenienza e scopo se non nella sovrastruttura di un mondo che comunque mi ha fatto suo, intrappolato in pensieri provenienti da chissa’ quale racconto, da chissa’ quale esistenza, da domeniche annoiate, strade piene di formiche, inutili insetti, mortali e patetiche creature la cui arroganza supera di gran lunga la mia vanita’.
Io so che in questi recinti v’e’ foraggio e calda paglia ma la linea non e’ ancora tracciata e non e’ volonta’, stanchezza o indolenza, non e’ mano debole e incostante, occhio distratto o cammino nervoso, ma e’ assenza di colore, strumenti, si strumenti per delimitare, dipingere, tracciare.
Piccola barriera che amplifica e non restringe, grande scorrere e soccorrere e guardare avanti e’ cosi’ complicato mentre sempre meno restano le armi a disposizione, sempre piu’ l’intonaco macchiato e gonfio e disfatto e quella striscia puo’ divenire scelta oltre che compagna, sola presenza che induce e conduce laddove c’e’ sempre un domani, uno scopo, un’ambizione.
Gia’ il domani, meraviglioso luogo quando non e’ qui ed e’ bene mantenere distanza anche quando ci si sente forti, invincibile alba che forse si confonde con rosso tramonto, notte da stelle brillanti che non sono sole.
Cometa cuci
la bocca ai profeti.
Cometa chiudi la bocca e
vattene via.
Lascia che sia io a trovare
la libert
Freddo monocromo
Inutile girare attorno a banali considerazioni quando potrei anche avere ragione, ragione da vendere.
Mi esalto e mi approvo poi scuoto il capo in diniego perche’ tempo e’ miglior amico, tempo e’ peggior nemico, sorride viscido, sussurra parole che si vogliono udire e canta con soave melodia cancellando ogni canzone udita prima.
Gradirei luci azzurre ed intense, spegnere il sole e riflettermi su asfalto bagnato, unico specchio, vero riflesso di corpi che nulla hanno di senso se non nell’illuminazione indiretta, affacciarsi su fondo oscuro ed esistere in funzione di neon e sporadici lampi.
Serve pazienza, dose abbonadante di resistenza e non e’ il colpo al mento che fa male e atterra, non e’ altresi’ scossa d’adrenalina che innalza a rango d’eroe ma passo lento conduce e guida, separa e discerne e cerca un gioco lontano da riportare a se’ quando resta poco, quando non rimane altro.
Chi decide cosa resta, quanto tenere, dove conservare ed e’ lenta progressione a fornire risposte e benevoli buffetti su volto grigio e stanco, forse lontano, proiezione, proiettato, comunque non qui, non ora, non cosi’.
Se proteggo non attacco e allora avanti col petto, innanzi la fronte, sensi acuminati da splendido slancio e coraggiosa indole e del resto e’ tutto vivere, e’ poca certezza, duraturo e gioioso persistere, resistere fieramente e magari sorridere, forse salutare, complimento sottopelle, desiderio che e’ bene stia visibile ma inespresso, lama accecante tra stipite e porta che turba sonni e accelera risvegli il tempo di allungare la mano e uscire da umida alcova, immersione in realta’ che non sempre soddisfa ma almeno c’e’ e qualche volta e’ persino amica.
Strani profumi, sottili sfumature, parole che non escono, concetti che non salgono, parcheggio nel quale sostare, spoglia colonna, stridente strisciare e domani, si domani tutto accadra’ perche’ ogni cosa e’ gia’ accaduta.
I can see the world in a different light
Now it’s easy to say
Where I went wrong
What I did right
I can hear the beat of a different drum
Take it all in my stride
Hold my head high
Second to none
Integrale
Le forze mi abbandonano ed e’ energia che come acqua lenta defluisce seguendo percorsi tracciati da cicatrici e gravita’, silente saluto, amichevole lasciarsi mentre mani si muovono lente, sempre piu’ lente, occhi dominati da fissita’ e opaco divenire di sguardo e movimenti.
Non si crea l’energia, non si distrugge l’energia, muta semmai in pioggia, in onde del mare nascoste dalla notte, in ingranaggi ben oliati che con un soffio ribaltano la realta’, disegnano spazi in nuovi territori questi si’ sconfinati e meravigliosi.
Ogni giorno e’ un piccolo viaggio, partenze lenta, sempre piu’ lenta poi sommita’ di parabola, cima dalla quale osservare e stupirsi di verita’ elementari e stupefacenti, discesa alfine ma non importa, troppo veloce, troppo ripido, sfumato paesaggio, incomprensibile panorama, interpolata destinazione, semplice arrivo.
Questa e’ potenza che regalo al mondo, batteria e carica perche’ so sedimentarsi, raccogliersi in grandi bacini luminosi, nucleo plasmatico che ruota ed equilibra cio’ che vive ed incanta.
Impercettibili movimenti di gambe che domandano quieto fermarsi, fine dell’umiliante trascinarsi ma c’e’ ancora un po’ di strada da percorrere e giungere laddove fiume luminoso sfocia ed immergersi e’ sogno ultimo o forse primo nel lineare partire senza giungere, nel giungere senza ben conoscere quando si e’ partiti, quanto camminare sia funzione della meta o dell’avvio ma e’ il tempo ha direzione solo per coloro che non ricordano, che non sognano, che non hanno meta e desiderio.
E’ tardi per cio’ che e’ stato, ma per quanto accadra’ ho fogli bianchi a non finire, atomi polarizzati, penne biro mai usate e quella cima, quella cima dalla quale donare la mia discesa, la mia corsa, la mia essenza.
Now I’m a target, I’m hot and frozen,
stormy rain I’m stuck in an elevator
wet from the muddy water,
breathing hot air, winds convey me…
Bellissima mente
Sono cambiato? Non lo so.
La mia musica e’ sempre la stessa? Si, forse piu’ arrabbiata.
Sono invecchiato? Laddove non si potrebbe credere.
Troppi cavi nella mia vita, raccordi in matasse non sempre districate ma mi diverto cosi’ e non so che farci.
Distanza che accomuna, sincronia d’intenti lontanissimi e paradosso non e’ casa, forse stile, magari abitudine, non rassegnazione, piccolo stratagemma.
Antefatto ed epilogo, eoni tra loro e il tempo e’ scivolato senza rendersene conto, misterioso fluire ed e’ come prisma asimmetrico che riflette realta’ sempre diverse su facce sempre diverse in rotazioni sempre diverse.
Spazio, tempo, tutto mutato eppure come sempre, le mie mani sono piene di canzoni, le parole, quelle giuste, latitano lasciando a loro i soli spazi che oramai so concedere.
E’ che mai ho saputo parlare, tantomeno narrare e quelle storie meravigliose non sono uscite dalla pelle, dalle mani, forse gli occhi, si gli occhi mai hanno mentito ma troppo flebile voce, sottile grido e come sorriso soffocato qualcosa si e’ perso, smarrito in labirinto dal quale non so fuggire.
Fratture rivelate, lividi mai guariti, silenzi che sanno di resa ma il mio sogno appartiene a qualcuno che a stento riconosco in me.
Perche’ sia ancora qui non so o almeno mi inganno dicendo di non comprenderlo perche’ una chitarra elettrica e’ ancora energia che genera pensieri, emozioni vere o che almeno percepisco tali e so non sbagliarmi, non cosi’ tanto.
Li’ fuori ci sono strade che non dovevo percorrere e non mi lamento, non saro’ infelice per questo perche’ quei cammini appartengono ad altre gambe, altre storie, altri futuri, altri universi eventuali, altri presenti reali e cio’ mi basta quando le somme della vita restituiscono risultato positivo.
Comunque ora proseguo nella corsa e non mi fermo perche’ non doveva accadere, dico ciao e agito arrivederci, il traguardo e’ troppo avanti per fermarmi, la strada e’ lunga, l’orizzonte pare stanco e talvolta impervio terreno, ostacola e spaventa ma quando arrivero’ saro’ qui, qui dove sono sempre stato, dove dovevo essere, da dove mai me ne sono andato.
Il mio sogno e’ un mare acido
E dimmi se non e’ reale
Il giorno traveste di luce ogni cosa vivente,
Ma non toglie la paura dei fantasmi.
Voglio idee per sopravvivere
E mille, mille, mille non bastano.
E quel sogno, sai,
Continua a chiamarmi nella profondita’ del mare
Una caduta dentro i vortici d’acqua
Le mie mani, che non si fermano piu’…