Nascita di pleiadi liquide (parte II)

Mi sveglio e non ho alcun pensiero, assurdo silenzio al quale non sono abituato, passi confusi in immenso vuoto, potenziale tutto, reale nulla e so che nervi non capiscono, mente non realizza, shock vicino ma del ciclone ora appartengo al centro esatto e manca aria sull’arso marmo striato.
Posso mangiare, so di poterlo fare e mentre l’anta si apre davanti a me, so che quella e’ l’ultima volta e d’improvviso le gambe cedono con sordo dolore da inerzia respinto, incredula constatazione che male salira’ dal basso, profondo niente, inezie microscopiche come di valanghe che crescono e travolgono.
Strana fretta, quasi frenesia, andare, dove, andare, dove, andare dove e ricordo che e’ pianificato, deciso, brillante e semplicissimo come aprire una porta, scendere due rampe di scale e non sentire altro rumore che non sia asfalto e correre, nuova preghiera d’epoca di deboli creature, sottofondo e silenzio in moderno concilio, espiazione il cui prezzo e’ distanza, partenza senza arrivo perche’ non e’ mai muoversi, solo fuggire.
Pioggia, forse sole, umido si umido, gocce che non sento ma abiti pesanti sono vincolo dal quale fuggire ma rido felice, un po’ di piu’, un po’ di meno, qualcosa strilla, richiama attenzione, cerca udienza, umile pieta’ dello sconfitto ma basta non ascoltare, agitarsi, muoversi veloce, pensare piccole cose mentre conato d’orrore sale, sale velocemente ma rido, si rido, mani precise, sguardo un po’ meno e il campo visivo e’ un’onda chiara e confusa da evitare, da aggirare e saluto e scappo e rido e corro e non ce la faccio piu’ ed esausto e’ incubo, si incubo, sbagliato, sbagliato, sbagliato.
Scrivo e qualcosa esce, qualcosa guarisce, sapere che e’ solo inizio ma e’ inizio, collocazione temporale di universo finito e raccolto, insieme circoscritto nel quale posso contare i giorni che passano, gli incubi che fuggono e se c’e’ inizio allora fine e’ da qualche parte, laggiu’, laggiu’, forse con me, forse di me.
Restiamo ancora in questo stato di completa alienazione,
senza nome e senza una definizione
e tutto cio’ che nasce senza una ragione
accuratamente allineata a un tempo di principio e fine…

Limite visibile

Io non sono cosi’, no io non sono cosi’, tu sei cosi’ nell’inversione di ruoli e prospettive ed errore e’ attribuire falsa diversita’, vera anomalia, giusta differenza, aderenza a qualcosa che non so, no non so.
Rubicone senza alcunche’ da trarre ma mie onde alfa lontane, sono lontane, lontane, risonanza di sordo diapason, distorta oscillazione, escono, fuggono e muoiono infrangendosi come onde che erodono ma non distruggono, non piu’ esistono ma non si fermano, non hanno pace e rimbalzano, nulla assorbe, niente prosciuga.
Pulsa e resta tremore nemmeno tanto impercettibile, base di basso cadenzato e profondo piega silenzio, deforma spazio e retta e’ ellisse, vetta lontana lontana e sparisco disintegrato in pulviscolo che non so raccogliere, non posso raccontare, schegge finite chissa’ dove ma sul muro riflessi multicolore, abbaglianti conferme, silenziosi dinieghi, stratosfera, aria, aria lontana, troppo fredda, troppo fredda.
Io sono cosi’, io non sono cosi’, io dovevo essere cosi’ e non importa perche’ la luce e’ spenta da tempo, energia conservata a perdere nell’inutile raccogliere e di cosa dovrei scusarmi, quali scelte offrire se non essere o restare, scivolare o rotolare piu’ in la’ dove c’e’ sole ed ombra, erba e cemento, plastica e nuvole.
Qui no, qui fumo stantio che ancora respiro con troppa gioia, scritte sbiadite su muri diroccati, caratteri sbavati di preghiere ed inni, immensi concetti che presto saranno annullati e seppelliti e dimenticati e chiusi in capitoli che non meritano essere letti, due risate, leggero sospiro di memoria lontana, rievocazione giusto il tempo di sbadigliare.
Essere e sia se cuore batte ma non lo sento perche’ sentire fa male, sentire e’ voce di donna troppo lontana, raggio di sole da raccogliere inginocchiati, urlo di strofa arrabbiata che toglie ulteriori parole a vita troppo diversa, a vita che e’ cosi’, che non e’ cosi’, che non poteva essere altro che cosi’.
Light comes through a crack in the door
I tape up the windows once more
Tight like a cold hand of steel
Don’t fear the stranger within

Etiologia

Moltitudine di corpi che riconosco uno ad uno, sollevato osservo dalla distanza, luogo generico e sicuro, controllore irresponsabile e certo plano nell’oblio degli infiniti me, io ripetuto, primordiale se’ evoluto come per gioco, quasi magia, stregoneria forse, sortilegio di dubbia provenienza, privilegio incerto.
Davanti, indietro, in mezzo e c’e’ storia ovunque guardi, per ogni dove mi giri ma l’ordine non e’ sparso dove ultimi irrealizzati momenti, innanzi illusioni di sempre protette da mura oltremodo piu’ alte, in progressione piu’ possenti, ogni momento piu’ massicce e minacciose.
Stanco di ripercorrere medesime frasi, solite opacita’ che mai diverranno trasparenze, troppe promesse all’attonita legione che stancamente non segue, non decide, non muove ma deambula attonita, arresa per sopravvenuta mancanza di concreto senso, di giusto cammino, deviate passioni, spogliate arroganze.
Per quanto infinito spiegato all’orizzonte, questa e’ terra gia’ calpestata e se nessuna consolazione allora e’ rinnovato rammarico di parole che non escono, sorrisi abortiti su labbra sigillate, dita che non toccano e muoiono inerti su suolo gelato, occhi roteano impazziti, timorosi, in cerca di tutto perche’ nulla e’ cio’ che serve davvero, ciechi in parvenza d’umana forza, questione di attimi lunghi come millenni, silenziosi come stagni ghiacciati, inutili strumenti di giornate piene di sole che mai hanno veduto, calore di sola astrazione ricavata da troppe parole ed immagini.
M’induci a cercarmi per ammettere cio’ che si vede quando banalmente e’ cio’ che si e’, residuo di ricordo, scarto di lontano dicembre, freddo umido di condizione non stato e da troppo tempo minaccio e non attuo discesa tra innumerevoli, confondersi e mescolarsi, simile nel simile, uguale nell’infinitesima distanza delle differenze, nessuna alternativa nell’espressione suprema di combinazione dell’esistenza e nella gola riarsa far rimbalzare una sola parola: basta.
Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei ma non ha il diritto di chiamarmi assassino.
Ha il diritto di uccidermi, ha il diritto di far questo, ma non ha il diritto di giudicarmi.
E’ impossibile trovare le parole per descrivere cio’ che e’ necessario a coloro che non sanno cio’ che significa l’orrore.
L’orrore ha un volto e bisogna farsi amico l’orrore.
Orrore.
Terrore morale e orrore sono tuoi amici ma se non lo sono, essi sono nemici da temere, sono dei veri nemici.

Nascita di pleiadi liquide

Mangio, sorrido impettito tra posa e forza che trattiene, guardo tv e partecipo, commento, esprimo nella luce non troppo potente, comunque osservo, mi guardo attorno sempre piu’ circospetto al limite del panico, angoscia che sale e ignoro blocco allo stomaco perche’ e’ conquista, vittoria glorificata con cibo, mio cibo che doveva avere altro gusto, nuovo sapore, meraviglia e stupore.
Seduto con orgoglio non mi rilasso perche’ sdraiarsi e’ caldo che viene da punto imprecisato delle viscere e ottimo audio evidenzia angoli di legno perfetto, lucido, scelta oculata e precisa di colori tenui ed equilibrati.
Ignoro punto di distorsione ai margini di campo visivo; immagino, immagino, incubo collaterale, collaterale, collaterale.
Il grande specchio riflette fierezza, mani e acqua sul volto, esito un istante di troppo ma non c’e’ fretta, mai stata fretta e con manopola il freddo e’ caldo e caldo e’ freddo, immerso nel bianco e luce, simmetria kubrickiana nell’iperrealta’ roboante che trascina materia in leggerissima nebbia, sogno, incubo, sogno incubo, sognoincubo.
Entro nella stanza e trattengo il fiato, chino il capo al mirare giochi e passioni in perfezione commovente, desiderio e leggero disprezzo lanciato alle mie spalle, rotonda luce, rumori di strada, citta’ viva, viva, viva, io dentro a qualcosa che non so, non importa, forse dovrei, potrebbe essere, certo sara’, abitudine, notte, scale, luna, insetti.
Buio opprime eppure c’e’ del giusto nel mio sonno, rombi vicinissimi e respiro pesante che parte da pensieri inquieti senza toccare mani e piedi immobili, raggelati in spazio che si contrae, trappola che si restinge, silenzio come eco del frastuono, fragile rotazione che non conduce a niente, non risolve niente, non muove niente.
Non rimane solo questo ma questo e’ cio’ che merito, stabile perdita d’equilibrio, fuga lontano, lontano, lontanissimo tra colonne del mondo che trascinate via distruggono e affondano, paura, destino, orrore e verita’.
Io ho avuto, io sono stato.
It’s too bad, but that’s me
What goes around comes around, and you’ll see
That I can carry the burden of pain
‘cause it ain’t the first time that a man goes insane

Cammino immerso

Ordine non prestabilito, led rimbalza monotono, aritmico, freddo ma nel freddo vivo, muoversi eppure guidato, tracciato, segnato, retto questo si, punta d’orgoglio e impettita fermezza d’intenti.
Osservo e non vedo nulla, non provo alcun sentimento, oramai non c’e’ classifica e gli occhi spaziano pochi centimetri non attraversando muro frontale, mattone come acciaio, acciaio come gabbia, lamento, fine d’intenti.
Non odo alcun accordo e nessun accordo avro’ quindi in libero svolgimento, libera esecuzione, libero spartito di ribellione contro ogni mio credo, negazione, negazione, negazione di piacere e cuore come se non mi appartenessero piu’, come se esistessi istante dopo istante da un niente distanziati, separazione matematica d’inutile equazione.
Sento piccoli desideri ma lontanissimi, invero montagne che sfiorano atomi inimmaginabili e proprio per questo accumunati a me molto piu’ di quanto vorrei, di quanto desideri.
Un po’ come parlare e dimenticarsene, salutare e non sapere perche’, ginnastica in gravita’ assente esco da livello d’esistenza e m’abbandono all’eco di passi mai uditi prima, scarpe che qui non sono mai state.
Sana distruzione d’istruzione acquisita, un po’ ricominciare, forse ripartire ma e’ solo altra gabbia, ennesima prigione che richiede atto di forza talmente imperante da spazzare via pareti e polvere, cristalli e medaglie, pindarico volo che e’ ode ed inno, ragionamento non calcolato, forse dedotto da prospettiva rovesciata seppur incredibilmente vera ed azzeccata come strana scommessa mai giocata eppure vinta.
Sono lontano, molto lontano ora e la mia luna e’ raggiungibile con ogni possibile numero, urla come rimbalzi di pensieri che avrei potuto formulare, scorrere e scivolare nella luce di esplosioni che esaltano buio annerendo contorni e volti, promesse di gesti, parole di piombo e se questo e’ cio’ che deve essere allora non saro’ qui quando arrivera’.
You’re a prisoner of the dark sky
The propeller blades are still
And the evil eye of the hurricane’s
Coming in now for the kill

Per non aspettare

Tutto il freddo non impedisce a sudore e zanzare di assalirmi, ghermire forze e volonta’, mischiare lacrime e caldo e niente, niente, niente cambia mai in quest’incrocio che pare non finire, anello di realta’ del quale non distinguo piu’ inizio e tantomeno fine, silenzi di conclusioni mai troppo affrettate, voglia di terminare qui e desiderio d’incominciare un altro show.
Luna, ecco luna assente e ancora conservo scritta la mia preghiera ad essa, ricerca alienante ed alienata di giovani voglie, terrore di sempre, incubo ricorrente ed interminabile colmo di mostri indifferenti, innocui e proprio per questo spaventosi, raccapriccianti.
La verita’ e’ che il tempo non cancella, non purifica, forse graffia e poi sfuma, colpisce superficie senza sfiorare nucleo rovente e gelato nel contempo, non bandisce voglia di finire in un sospiro caldo, definitivamente eterno non prima che sfumi pero’ in lento assolo di violino, ultimo abbraccio a quanto di piu’ bello esiste al mondo.
Forse e’ sentirsi un po’ piu’ vicini alla soluzione di quanto sia mai stato, piu’ di quanto abbia mai voluto o preteso, dicotomica consapevolezza che evitare e’ decidere, ambire e’ fuggire e se paura e’ unico vincolo, tempo non appartiene a dominio delle scelte, non piu’ e non v’e’ rammarico alcuno in questo.
Poi termina, ogni pezzo rientra nel proprio alveo ma invero non tutto staziona nel salino ed immobile perdurare di cio’ che e’ giusto e dovuto e come specchio incrinato osservo sfasato volto un poco piu’ distante, sempre meno visibile eppure infinitamente piu’ comprensibile.
Se solo sapessi raccontare di sax, di strade nella nebbia, di notti d’estate potrei aspettare oltre, saprei comportarmi come dovrei ma e’ talmente tranquillizzante il torpore dell’infinito silenzio che gia’ diviene casa abitabile, chiesa in cui pregare, confessione in gara gia’ conclusa.
Our time is just a point along a line
That runs forever with no end
I never thought that we would come to find
Ourselves upon these rocks again

Umano attraversare

Ci sono accadimenti piccolissimi che rimangono incastrati li’ da qualche parte, tra le pieghe del blu e di cio’ che doveva essere, lampi oscuri che stringono luce nella morsa del dubbio, discussione infinita alla quale non so sottrarmi.
Forse gioco, forse nostalgia, forse conferma, passi laterali nella cieca avanzata, avanti sempre avanti e non sia mai che cambi ma s’intende non ridiscutere, non negare, uscire e non fuggire, nuova aria nella stantia stanza del gia’ visto, del gia’ vissuto, del gia’ passato.
In fondo e’ cantare canzone, una di quelle di sempre, una di quelle per sempre e inventare arrangiamenti e parole, inserire un respiro di tanto in tanto, allungare materia di nuvole, convulsione di tempo, illudersi di possedere tutto il vento nascosto tra rami ed erba e scatenare collisioni di pianeti ed angeli, tripudio di tutto cio’ che poteva avvenire, osanna a giro di basso che come spina dorsale sostiene, tasti d’avorio come battiti di grande cuore e non so, poco altro in fondo.
La mente non e’ qui, neppure lontana, sincronia imperfetta, movimento sfasato che distanzia, diverge, crea mondi e dimensioni, parallele realta’ che non so comprendere, solo osservare attonito nel tripudio di forme, fantasmi, cacofonia emotiva che sorge come sole alieno, incomprensibile ed affascinante, luce sbagliata su giusto orizzonte, maledizione che e’ destino, il contrario chissa’, come ricordare, come riconoscere.
Strano modo di cavalcare l’indisponente risveglio all’inutile coricarsi in sogni confusi e maledetti perche’ non c’e’ risveglio se non altrove, non c’e’ dormire se non diverso in mare piu’ caldo, meno morbido, piu’ colorato, meno opportuno in sospiro che diviene chimera, gentile abbraccio che non e’, non puo’ essere, orrore che mai sara’, sempre meno assimilabile ad utopia irraggiungibile.
Behind a vessel of clouds, a sun wakes up from its lethargy
Refreshes itself with some little raindrops
Plays with the hot flames of the fire
Makes rainbows

Conservare oscuro

Baricentro nella vertigine, colonna di roccia instabile nel fulcro esatto del vuoto, precipizio che sempre meno guardo, progressivamente stanco, annoiato a volte da quell’acqua sul fondo che riflette puntino di giuste proporzioni lontano e persino inutile nel solo rimbalzo d’immagini.
A mani nude ascolto voce di un tempo e si fa strada antica passione, voglia mai dimenticata e ho freddo, sensazione di vertigine sepolta nelle ore da impiegare, nella quotidiana reazione alla paralisi, nello stravolgere giorno con volere, volonta’, realizzo.
Disturba, spaventa, si spaventa l’ombra di un sogno troppo grande, irrealizzabile perche’ a portata di mano, perche’ come fantasma trasportato dal vento, vedo allontanarsi nella mestizia di pigri mesi indaffarati e c’e’ la colpa di chi nel lassismo ha seminato parole senza scriverle, gesti che muovono aria in danza che nessuno vuole vedere.
Immaginare l’impossibile e’ gioco che aiuta a dormire meglio, ma non abbracciare il sorriso di un tempo, non ancora ad espiare il rimpianto di chi prima di me mi comprese e cerco’ di guidarmi con metodo sbagliato forse ma giusta direzione, col coraggio dell’antepone l’altrui vita alla propria.
Profumo di cio’ che non puo’ piu’ essere, peso che solo non guardare rende sostenibile, sguardo di occhi bassi in cerca di perdono dopo indicibile arroganza di chi negli anni ha ricevuto solo oro e diamanti.
Sto dimenticando, dimenticando ogni minuto, ogni nuvola, ogni roccia, ogni albero ed e’ cosi’ difficile mantenere viva attenzione e concentrazione, far finta sia tutto normale quando e’ solo un nuovo modo di scivolare silenziosamente, senza infastidire ed ancora un muro, uno di sempre, uno dei miei, uno eretto mattone su mattone, indifferente nell’indifferenza sino a quando niente importera’ piu’, niente servira’, niente rimarra’.
And the sand
And the sea grows
I close my eyes
Move slowly through drowning waves
Going away on a strange day

Tenero significato

Sentivo musica che non credevo neppure mi appartenesse ed improvvisamente mi sono sentito cosi’ vecchio e cosi’ felice di esserlo.
Accade sia allungare la mano e sfiorare qualcosa, tocco invisibile nel buio piu’ completo, luogo di sola gioia, di unico senso disponibile di gioia sconfinata.
So perfettamente che vita e morte si sfiorano e nell’apice dell’una si ama voluttuosamente l’altra perche’ piacere e’ ombra misteriosa, velo che ottenebra confusione e dolore e forse non sara’ vero ma sapere di immergersi nel’estasi puo’ divenire illusione definitiva come volo oltre i propri cieli, al di la’ di ogni possibile ed auspicabile godimento.
Forse e’ solo questione di dire basta e finirla di cercare altrove, di spingersi su strade sempre uguali alle altre che appaiono migliori in virtu’ di memoria fallace, di stanchezza latente, di inganno obbligatorio, forse seguire e poi fermarsi in unico punto e dall’asfalto osservare le ultime stagioni, sentire sulla pelle avanzare la notte, depositarsi di rugiada e farsi coprire di stelle e gelo, divenire humus per qualcosa che non importa cosa, che non c’e’ bisogno cosa, che non dice cosa.
Accordo dissonante provoca brividi, prima reazione di fuga, sensazione di tradimento poi si resta perche’ in qualche modo funziona, struttura pare reggere e non importa quanti controtempi vi siano finche’ armonia alfine trionfa.
E’ che c’e’ ancora qualcosa che non comprendo ma so essere voce di bambino che giocava ad essere adulto e adulto sul serio nell’aria vaga antica lezione, risposta rimasta nell’etere, nella testa e come molla compressa da decenni comunque esplode liberando energia sospesa ed e’ liberazione gioiosa, comprensione ed esaudita pace ma anche dubbio che in fondo emozione sia forza latente non creabile ma solo scopribile, pietra preziosa in profonda roccia e timore non e’ scavare ma scoprirsi vena arida, sentirsi terra esausta, proiezione di tramonto.
It’s an illusion, It’s a game,
Or reflection of someone else’s name.
When you wake in the morning,
Wake and find you’re covered in cellophane.

Sbarramento

Come se nebbia creasse leggenda, mi rendo conto d’interpolare ricordi mancanti con immagini e suoni appartenuti all’idea di cio’ che sarebbe dovuto essere, che forse e’ stato ma senza preciso ricordo.
Del passato ho chiaro retrogusto, a volte quadro generale scomparso in sfumate ombre con strani colori, ecco tanti colori come figure dipinte ma non inchiostrate, ammassi coerenti ma indefiniti, forme fumose da miopia indotte.
Mi e’ difficile dire io c’ero, eppure quell’aria e’ ancora nei polmoni e sospinge parole e pensieri malgrado quelle parole e quei pensieri siano fuori luogo, fuori misura, arcaico che diviene arcano, antico prematuramente preistorico.
Penso sovente a cio’ che ero perche’ specchi riflettenti invadono spazi e volume nei quali transito.
Incapace di distogliere lo sguardo, osservo e a ripetizione le stesse considerazioni ruotano tra fantasia e desiderio di caldo come se davvero vi sia senso, bisogno concreto, assoluta necessita’.
Essere cinico come barriera ma non troppo, come posa nemmeno tanto, convinzione ferma ma non immobile, induzione tra forze interconnesse, difficili da separarsi, impossbili da distinguersi, connubio a tratti vanto, altri sentimento di profonda intesa e realizzazione.
Essere distaccato come prova di forza, come canto notturno, come giovane nome, come variante inesplorata, sfida inutilmente vincente di un’impressione tutta mia, solo mia e non e’ buona sensazione ma nemmeno infausto presagio, semplice discordanza, forse coincidenza, generico accadimento.
Immaginare precipizio aiuta mentre la corsa diviene di giorno in giorno piu’ inutile, devastazione emotiva di necessaria simulazione di vita, somma parabola che suona eterna discesa, poi e’ un momento che passa, un bisogno che resta, un respiro che non cessa.
It’s time to walk again
It’s time to make our way
Through the fountain squares
And the collonades
Your dress is shimmering
Your voice is hiding things
When you say
I’ve hardly changed