Luna artificiale ma adoro quel grigio, il nero intarsiato in arabeschi meccanici, segmenti perfetti, invisibili punti di giunzione e non mi va di osservare altro, di ascoltare altro, non so dove nascondermi dalle domande aperte alle quali non riesco a trovare risposta adeguata e soddisfacente.
L’ombra e’ amica, il buio complice ma se rimanessi solo qualcosa cambierebbe in meglio, all’oscurita’ preferirei chiarore elettronico, solo interlocutore che non parla spiegando tutto.
Penso troppo, ripenso troppo, immagino non abbastanza, eccessiva prudenza, elegante assenza, tempi dispari che affascinano ma non risolvono, contraddizione di stile ed intenti, rogo di cenere che dura poco, riflesso, stanco riflesso.
Lontano, lontano, fantasmi di sospese questioni, rinnovate illusioni, concerto senza uditori, pochi strumenti, troppi interrogativi dalle mani artigliate che lacerano aria e cuore, reciproco rammarico, voglia di spingersi in territori che so esistere ma non conosco, non professo, non gestisco, rimozione, rimozione, rimozione.
Imbocco sentiero opposto, alternativo a me stesso, forse anche questo metodo d’ispirazione, disperazione, conduzione laterale, una specie di sax che emerge dal fondo di sonata antica, ere lacerate, menti sconfitte, impossibile comanda.
In fondo il vanto dov’e’, scommessa difficile con tutto da mettere in gioco, primi gli assoluti, a seguire le certezze, infine carne e sangue, un po’ d’ossa, molte interiora, anima a coprire, forse raccogliere, conservare.
Promesse mai mantenute, regali sorprendenti eppure non voluti, aria tracciante, filo invisibile che da qualche parte conduce, magari pochi passi piu’ in la’, forse nel silenzio o forse nell’immenso cosmo delle infinite memorie, delle accadute speranze, di gioiosi vaneggiamenti.
Speranze, si bisogni, potrebbe piccolo segno, magari direzione, magari…
Show me a promised land and I will go anywhere
And if you ask me to take my time I’ll wait for years
I’ll hold on though the whole world tells me I’m wrong
Someday, someday
But it seems so long