Autori come Palahniuk sanno sorprendere.
Leggere tutto e non tutto e non sempre aggancia, ma in qualche modo convince e se non e’ storia e’ concetto e se non e’ concetto e’ esecuzione o ancora stile o magari una singola frase, una di quelle pero’ che aprono porte, spalancano occhi, filtrano luce diversamente.
Aspettarsi una piacevole ripetizione di racconti sospesi tra ricordo e leggenda ed ecco nero su bianco vite straordinariamente ordinarie, solo un poco deviate, leggermente fuori fase, fuori sincronia, sfumate al punto giusto da strabuzzare gli occhi e chiedersi se poi sia tutto vero.
Palahniuk ha occhi diversi, pupille contratte con cui contrastare lo straordinario e offrirlo nitido e definito, per lasciare ai nostri occhi il gusto di meravigliarsi, fermarsi ad osservare e domandarsi come e’ stato possibile non vederlo prima, non averlo pensato prima, non essersi stupiti prima.
Come i grandi, lo scrittore non risponde ad alcuna domanda, semmai ne scatena nuove, solleva dubbi ma sono i dubbi giusti, i quesiti da cui ripartire nella ricerca di quell’indefinibile bisogno di aria respirabile.
Autori come Palahniuk non sono Virgilio, non sono Caronte e di certo non e’ lo Stige ad essere percorso ma solo perche’ il viaggio inizia e non finisce, le gambe si muovono fresche e si parte con l’unica destinazione della rivelazione, o qualcosa di maledettamente simile.
I suoi libri occupano sempre piu’ spazio nella libreria cosi’ come nei pensieri, in entrambi i casi immobili ma pesanti, colonne portanti di cio’ che non e’ ma che dovrebbe essere, pilastri del nulla che vuole divenire, fondamenta dell’inesistente da esplodere in cosmo.
Autori come Palahniuk danno senso, sono li’ e io con loro…
Puoi vivere la vita non autentica di cui parla Kierkegaard.
Oppure fare quello che egli definiva il salto della fede, con il quale smetti di vivere in reazione alle circostanze e inizi a vivere in vista di quel che vorresti essere.