Colline sbiancate dalla foschia come dipinte da romantici inglesi del XIX secolo e pioggia rada ma uniforme, triste epilogo di giornata.
Non c’e’ mai abbastanza poesia in me per fermarmi qualche minuto ad osservare, respirare umido odore di terra, muschio, grano acerbo.
Piccolo timore di cio’ che mi sovrasta e spazi che ghermiscono trascinando in luoghi che talvolta e’ bene evitare, non esplorare, non visitare.
A che puo’ servire poi, a chi giovano atmosfere rare e suggestive se quell’asfalto umido conduce a puntiformi destinazioni costruite su sabbia, acqua e silenzio.
Conosco pero’ quelle strade, ripide, sgretolate, del colore del cielo qualunque esso sia, pentagramma cosparso di note da eseguire con una sola mano.
Nulla e’ incompleto ma e’ pezzo di mondo scialbo e sciatto, disimpegno di un dio troppo stanco, troppo affacendato, distratto o chissa’, forse irritato e punitivo.
Poi so che non e’ vero e quelle colline innanzi a me sono come nuvole a cui do’ forma con le mente, misto di fantasia, emozione e realta’, proiezione di scelte, destini, paure e voglie, visione ad occhi serrati e polmoni desiderosi di vita.
Mi specchio in quelle cime e cio’ che penso, tutto cio’ che sono sfuma in amalgama grigio come quella terra sempre meno lontana.
Cosa rimane infine non saprei dire, forse la sola coscienza che la nebbia non elimina, non cancella, nasconde senza annullare e qualcosa sopravvive sempre al di la’ della coltre e chissa’ che cosi’ non valga anche per me.
Un freddo pi