A volte guardi un telefilm, uno di quelli nuovi e luccicanti e in esso ritrovi un oggetto, messo li’ per poco, per niente ed ecco infinite ore che tornano come amici da un viaggio lungo e lontano.
Non ho resistito e ho dovuto resuscitare il vecchio Apple II dal sepolcro di polvere e ragnatele.
Non funzionava e verrebbe da dire ovviamente e aprirlo e’ viaggio in un futuro anteriore, sogno steam-punk di un’epoca lontana piu’ vicina ai romanzi che alla realta’ e in fondo non diversa da oggi se il fiato e’ rimasto in gola per lunghi secondi dopo lo schiudersi del pesante coperchio in lamiera.
A differenza di allora oggi ho sorriso, questo si, ma senza ironia, niente da sbeffeggiare o deridere.
Un sorriso all’innocenza, foto ritrovata di bambino e di luoghi accantonati.
Toccare quelle schede, sistemarle in slot dalle piedinature imbrunite, arrotolare filamenti di rame, ancora uno sguardo curioso, alimentazione e accensione.
Il suono del bootstrap non l’ho mai scordato ed e’ saluto affettuoso, pochi secondi e il cursore lampeggia fedele, rassicurante, invitante.
E’ quasi emozione scrivere e ogni tasto e’ un rintocco, ritmico rilascio plastico di molle, automatismi acquisiti divenuti innati, riflessi non piu’ nozioni, conoscenza non piu’ sapere.
Il mio software, innocente quanto inutile eppure cosi’ grande, importante, immenso.
Leggo ancora la magia in quelle righe, trovo dedizione e capacita’, fondamenta di grezzo cemento armato, registrazione in altra forma, in altra lingua, in altra disciplina di giorni importanti, unici.
Capisco sembri patetica nostalgia ma ogni avventura ha bisogno di un mezzo per essere vissuta e se come scrissi in passato, certi oggetti hanno un’anima, altri l’anima sanno donarla.
Chi e’ maestro nell’arte di vivere distingue poco fra il suo lavoro e il suo tempo libero.
Persegue semplicemente la sua visione dell’eccellenza in qualunque cosa egli faccia,
lasciando agli altri decidere se sta lavorando o giocando