I treni di Ozu

Immergersi nel cinema di Ozu e’ rifugio eppure viaggio, dimensione intima, toccante contatto con materni ricordi, dimenticati piaceri, assoluta ed ineguagliabile pace eppure, eppure, eppure e’ straniante visione, alieno cosmo in cui ogni sequenza e’ fantastica ed immaginifica, irrealta’ persino tattile, talvolta sconvolgente ma affascinante ed ipnotica come nulla e mai prima.
Visione d’autore che sorge visione d’uomo, memoria impressa ed indimenticabile d’istantanee nei quadri fissi che non sono scorci bensi’ interi microcosmo nel quale particolare e’ protagonista, ombra e luce a definire forme in geometrie asimmetriche invero perfette nel non trascurare alcunche’, nell’esaltare senza nascondere, fiere e certe che cio’ che non compare e’ ininfluente, non importante, persino inesistente.
Egli racconta con l’estro del non-narratore, cronista perfetto incapace di mediare, di addolcire o inasprire, braccio senza mano, vista senza occhi, bocca senza parola quindi meraviglioso e purissimo tramite, vettore il cui unico compito e’ condurre e riprodurre, lasciando a chi osserva l’onere di sentimento, emozione, dolore o gioia e in questo, tragitto e’ dentro se’ stessi prima che in storia narrata.
Semplicita’ del quotidiano mai banale perche’ e’ la vita di ognuno, diversa, indifferentemente complessa o elementare ma di tutti e tutti i giorni, impossibile da giudicare se non vivendola e facendola propria e nello scrutare cosi’ lontano ci si allontana da qualsivoglia notorieta’, distante e sempre piu’ distante, viaggio talmente lungo da far dimenticare persino di essere partiti e quando nulla e’ piu’ noto e passato solo nebbia, guardarsi attorno e scoprirsi a casa col sorriso di chi ha capito, le lacrime di chi ha vinto.
Ripetizione di luoghi, storie, personaggi ma monotonia e’ lontana finche’ peculiare e’ il racconto, unico e straordinariamente semplice, piccolo ed immenso oceano nel quale fluttuano esperienze e parole, sublime porgere mani per sfiorare non afferrare, frasi che guidano senza costringere, irripetibile familiarita’ condivisa con intimo silenzio.
Stregato, ammaliato osservo e confondo, mi perdo nei sorrisi e nei gesti, rimpiango volti estranei e familiari, tocco architetture sospese nell’immaginazione e sento, sento emozioni scaturite dal semplice piegarsi di un capo, dal passo soave di donne che ancora custodiscono in loro primeva forza di creazione e d’amore, dal coraggio di chi sa rinunciare alla propria vita nel trascorrere delle stagioni, dall’impetuosa forza del crescere e comprendere, dall’onore fondamento dell’umano vivere.
Ho imparato ad abbassarmi per osservare e per la prima volta non c’e’ piu’ distorsione in cio’ che vedo, linee perfettamente perpendicolari e rette precisamente parallele e questa e’ lezione di un maestro di vita prima che d’arte, lezione che stringo forte al petto, orgoglioso e riconoscente, nobile e grato, onorato e raggiante. Eterno.
Giungo a Sakurai, pieno di foglie verdi
al tramonto, sulla riva di Hateo.
Fermo il mio cavallo sotto l’albero e penso al mio destino
che cosa scorre sulla mia armatura?
Lacrime o rugiada?

Rispondi