Per qualche strana ragione amo le periferie, la loro estetica soprattutto ma e’ il complesso degli elementi che le compongono ad affascinarmi maggiormente.
Non parlo di ghetti o del degrado col quale tendiamo a descrivere certe zone cittadine, bensi’ di agglomerati urbani inevitabilmente compatti e compattati, ripetizione causale ed armonica seppur semplicistica, di spazi abitativi, spazi contenitivi forse.
Esiste un ordine specifico nelle periferie e se cosi’ non fosse, non potremmo riconoscerne il caos altrimenti.
Cio’ che davvero contraddistingue le periferie dal resto della citta’ e’ l’imperferzione, la crepa nel centro esatto di ogni parte che definisce e compone.
Intonaco grossolano e venato, ampie zone che paiono staccarsi al primo tocco e che gonfiandosi riflettono la luce diversamente, come respiro di un corpo che affanna per vivere.
Colori desaturati come i panni stesi sui balconi semitrasparenti dai quali emergono oggetti coperti da plastica sporca di smog, residui di passato costato dolore e forse per questo ancora conservato, ancora vicino, ancora posseduto.
Colori spenti come le tende che dividono quel poco di casa dalla barbarie, bozzolo per non sentire, non vedere, seta con la quale sperare di emergere come farfalla dopo bruco.
Colori malati come l’anima dei volti di persone piu’ deluse che arrabbiate, non del tutto arrese, con ancora forza sufficiente per tenere basse le pieghe della bocca e incise le rughe sulla fronte.
Amo la concretezza delle periferie, lo spasmodico sforzo di democratico appiattimento stilistico, spezzato da rigagnoli arrugginiti di grondaie forate, dai buchi lasciati dalle piastrelle ornamentali oramai staccate, dalle esalazioni di tubi corrosi.
Adoro le pavimentazioni grigie degli ingressi, consunte superfici, irrimediabilmente opache di graffi e strisciate, tracce di una umanita’ che arranca senza correre.
E’ quel verde dei cespugli spogli anche d’estate che affascina, i mozziconi e i kleenex, carte di gelato e plastica trasparente gettata da uomini piu’ stanchi che maleducati.
Cio’ che e’ perfetto abbaglia, ma e’ nelle periferie che ritrovo la mortalita’, il susseguirsi della vita, il ciclo dell’esistenza e in fondo la speranza, l’ambizione, la voglia di un mondo troppo grande e bello per chiunque, di certo anche per me…