Certe notti mi perseguitano, la notte successiva e’ ombra della precedente e il giorno veste di fantasma velo che non permette visione mirata ed e’ vagare con eccesso di lentezza e fiacca circospezione.
Il coro e’ meraviglioso contrappunto che non mi stanco d’ascoltare e fuggendo s’avvicina in ellittico movimento che riconosco familiare e ambito.
Vorrei inserirmi in quel coro ma non c’e’ spazio per parole che non ho scritto, che non so pronunciare, tantomeno cantare ed eccomi fuori luogo, fuori contesto, spaesato, triste inutile scudo di delusioni e promesse disattese.
Voce sorridente sentenzia che non sono dove dovrei essere e vorrei tanto che quel sorriso non divenga beffardo ma non posso farci nulla, trascende la volonta’ sopportando imprecazione incastrata nello stomaco, acida, inutile, cattiva polemica, sterile come reazione ad evento distante milioni di parsec, altra galassia, altro spazio, altre canzoni, altri pensieri.
E cosi’ staziono sullo stretto marciapiede delle notti che vivo, lunghissima striscia quasi a togliere un grado di movimento ma posso cadere girandomi, ignorando piroetto ma e’ posa nemmeno divertente, sottilmente necessaria perche’ andare sta divenendo facile anche senza un motivo.
Rispondo allora con ghigno selvatico, tanto che importa se avanti e indietro e’ baratro, destra e sinistra solo noia, basso noiosa salvezza ma in alto ancora potrebbe esserci qualcosa non molto distante da un balzo che invero non compio senza neppure un perche’ preciso e definito.
Ora no, ora inesplicabile tristezza mi ancora vicino e lontano, vicino al cemento, lontano dalla tautologica essenza dell’esistere che da qualche parte ancora si nasconde, forse laddove giuro e spergiuro di aver gia’ guardato, di aver gia’ parlato, di aver gia’ osato.
Una parola detta piano basta gia’
ed io non vedo pi