Voglia di dormire, voglia d’imparare, studiare senza leggere, senza pesante leggerezza di inutili parole vicine per inerzia, per denaro, per politico spiegare un mondo sempre diverso o sempre uguale solo quando non serve, mentre non e’ necessario, elettronica, elettronica, elettronica salvezza di suoni remoti e dimenticati, inutilmente immensi, palestra d’antica ed inutile foggia laddove statico e’ virtuoso e dannoso e’ trasgressivo.
Piccolo theremin, sintetico spaventoso amico, che sia tuo quel giorno tanto agognato, se fosse in te principio e fine, diritto e dovere di qualcosa che per forza cerco ed evito, montagna imperscrutabile e angoscia montante come fitto bosco all’imbrunire, raggi di stelle che non sanno scaldare, soltanto indicare possibile salvezza, forse alternativa fine.
E la mia, si la mia canzone oggi non ha melodia, irriconoscibile tracciato e note come inutili macchie nere su foglio rigato, piu’ silenzio che onda, come fischio che si perde nell’impossibile della notte, nel copioso sudore che impedisce dormire, nella solitudine che mi domina e separa dalla voglia di umanita’ e nulla mi giustifica, forse lamento patetico ma sincero puo’ raccontare, puo’ servire, puo’ aggiungere pezzetto grigio di grigio ritratto svelando grandioso sfondo con minuscola figura indistinta e sfocata sulla quale e’ inutile strizzare gli occhi, comporre versi e giudizi.
Per il resto non so, quanto resta non e’ piu’ qui, cercare oltre, proseguire, proseguire, la via e’ scorrevole e ben illuminata ma oltre, oltre queste colline, lontano da nebbia ed erba tagliata, nel laggiu’ eccessivamente lontano per chi imprigiona canzoni nel cuore, per chi confonde accordi con aria da respirare e respirando fa di questo esistere.
Dico del mio silenzio indiano
un dialetto di lontani specchi
e nuvole parlanti, e’ cosi’
che scrivo io…