Di-nologo

Qual’e’ la canzone del tuo giorno? Tante diverse lo so, ma gli accordi, si gli accordi cosa ispirano, a che luogo conducono? E la testa, quanto fa male aprire gli occhi oltre il necessario oceano di desideri rigorosamente irrealizzabili, tenacemente silenziosi, umili quel tanto che basta per spalancare occhi increduli innanzi al deserto di carne e cemento, scivolando irrequieti tra inutili discorsi e grigi fallimenti quotidiani ed inevitabili.
Voglia di dormire, voglia d’imparare, studiare senza leggere, senza pesante leggerezza di inutili parole vicine per inerzia, per denaro, per politico spiegare un mondo sempre diverso o sempre uguale solo quando non serve, mentre non e’ necessario, elettronica, elettronica, elettronica salvezza di suoni remoti e dimenticati, inutilmente immensi, palestra d’antica ed inutile foggia laddove statico e’ virtuoso e dannoso e’ trasgressivo.
Piccolo theremin, sintetico spaventoso amico, che sia tuo quel giorno tanto agognato, se fosse in te principio e fine, diritto e dovere di qualcosa che per forza cerco ed evito, montagna imperscrutabile e angoscia montante come fitto bosco all’imbrunire, raggi di stelle che non sanno scaldare, soltanto indicare possibile salvezza, forse alternativa fine.
E la mia, si la mia canzone oggi non ha melodia, irriconoscibile tracciato e note come inutili macchie nere su foglio rigato, piu’ silenzio che onda, come fischio che si perde nell’impossibile della notte, nel copioso sudore che impedisce dormire, nella solitudine che mi domina e separa dalla voglia di umanita’ e nulla mi giustifica, forse lamento patetico ma sincero puo’ raccontare, puo’ servire, puo’ aggiungere pezzetto grigio di grigio ritratto svelando grandioso sfondo con minuscola figura indistinta e sfocata sulla quale e’ inutile strizzare gli occhi, comporre versi e giudizi.
Per il resto non so, quanto resta non e’ piu’ qui, cercare oltre, proseguire, proseguire, la via e’ scorrevole e ben illuminata ma oltre, oltre queste colline, lontano da nebbia ed erba tagliata, nel laggiu’ eccessivamente lontano per chi imprigiona canzoni nel cuore, per chi confonde accordi con aria da respirare e respirando fa di questo esistere.
Dico del mio silenzio indiano
un dialetto di lontani specchi
e nuvole parlanti, e’ cosi’
che scrivo io…

Nero stendardo

Lento, lento, lento, lentissimo, bavosa traccia alle spalle del tempo che passa scivolando in fessure sporche, forse inventate, forse annoiate in dormire senza sogni, catalessi che somiglia ad incubo di nebbia e nulla a sostenere realta’ apparentemente liscia, invero carica di bigio vuoto che ferisce ed atterrisce.
Lento, lentissimo, caparbio procedo, nell’ombra osservo, non commento, leggero disgusto, combinato sguardo, consolazione minima solo augurata, bramata senza alcuna convinzione e come automa rispondo a misteriosi comandi dettati da necessita’, compulsivo restare, silente permanere come sopportazione meritata, fio da espiare in silenzio e sottomissione, ribellione rimandabile a tempi migliori e piu’ consoni.
Rientrare combattendo tra sonno e jazzata chitarra perche’ qualcosa ancora non torna e ben piu’ di una domanda attende risposta, nel muoversi che non sento avvicinarsi o lasciare ancora piu’ indietro e quanti inutili tentennanti e fragili sguardi oltre torbida parete, illudendosi che solo li’ vi sia limite vero, timore di solitudine edificata oltremodo spaventosa, consapevole non sia crescere ma invecchiare, attesa di punto di rottura dal quale non tornare, non tornare piu’.
Leggo disappunto, leggera condanna, diverso giudizio racchiuso in cacofonico vento e non v’e’ rifugio nella spaventosa stanza degli incubi colma di malattia e aria nucleare, non c’e’ posto tra fiati imponenti di film lontani, non so raggiungere quel mare ai cui piedi riposano barche colorate e castelli distrutti di pietra comunque eterna e in ogni luogo lontano rosso sole morente, gorgo di tempo e spazio comunque fine degna e ben accetta perche’ se morte separa e amplifica distanze e valori, cosmo ridotto a battito di ciglia e’ pura poesia di materia ed energia, e’ rivincita assoluta del niente sul tutto, maledetto dna inutilmente sparso, perduto e infine troppo tardi ritrovato, walzer ultimo cadenzato da timpani possenti che realmente ci vedra’ felici e abbandonati nel bianco calore di un fuoco infine nostro, nostro davvero.
Shades of night fall upon my eyes
Lonely world fades away
Misty night, shadows start to rise
Lonely world fades away

140×3

Circospetto e curioso, ambiente di luci al neon, pareti immacolate e strana atmosfera, sorta d’iniziatico spazio leggermente fuori luogo, remota appartenenza, saluti tesi, tesi movimenti piccoli e contratti, indecisione bagnata di solennita’.
Figure sbiadite su pagine sigillate ed ecco guida e maestro, parole dette piano per non farsi troppo sentire, per non essere giudicati in eccessiva fretta, per imparare e non farsi notare fluidificando tra fessure e discorsi, tra sorrisi e conoscenze, lenta azione d’indefinibile importanza, di futura rilevanza.
Qualcono smise d’entrare, altri ridevano forte, banale sarcasmo, arroganza di chi non sa, di chi non s’evolve, di chi ritiene sbarre d’acciaio legno robusto e s’accontenta di ferrose schegge illuse in oro ma se saper soffrire e’ dovere, se saper capire e’ paio d’ali, se suolo non e’ polvere ma granito allora e’ lunga strada ma di fine vicina, lampioni illuminati di rossa brace, vento sempre caldo persino nel solitario inverno quando aria e’ premio nella fine dell’indecisione, in luna nuovo sole di notte non piu’ tenebrosa, non piu’ oscura, solenne e maestosa, qualcosa che inizia e non finisce.
Facile tramutare ore in anni e anni in forza e forza in sincretica forma, equilibrio inaspettato, inaspettato avvenire, curioso voltarsi ed osservare e risposte a precedere domande, distinguersi infine per cio’ che si e’, per coraggio scritto su prominenti vene, nell’alzare braccia e gettare senza raccogliere, non elemosinare occasioni ma creare montagne.
Quanta energia afferrata e bevuta come delizioso nettare, incapace di pensare ai mutamenti perche’ non so piu’ ricordare cio’ che non sono stato, svaniscono le azioni non compiute e come fugace visione e’ in me il male che non e’ entrato, il dolore non vissuto, giorno infinito e pallido sepolto da possenti lampi, tempeste vigorose e abbagliante astro in cristallo e brezza fresca come nuova vita che nasce perche’ nuova vita e’ davvero nata prima di farmi cenere, prima d’abbandonarmi a scontata rassegnazione di tempo invincibile perche’ guerra da perdere e’ una ma battaglie vittoriose infinite.
Silence in the darkness creeps into your soul
Envy moves the light of self control
The gate that holds you captive has the door
Burnin’ with determination to even up the score

Piacevoli fluttuazioni

Posso non guardare le mie mani se pensiero analizza spazi e volumi con chirurgica precisione, con mai assopita passione e sorrido osservandomi dall’esterno di anni trascorsi a percorrere nazioni e continenti, cavalcare atomi ed onde energetiche, velocita’, velocita’ oltre lentissima luce perche’ si puo’ andare oltre ogni luogo si desideri.
Allontanarsi e non importa quale sia il ritmo, irrilevante direzione, irrisoria intenzione se spazio curvo non si piega in piani perfetti che perfetti poi non sono mai e occhi s’ingannanano, occhi s’illudono, occhi sbagliano tutto e cosi’ chiudo fuori luce a lascio scorrere potenza e sangue perche’ so esattamente cio’ che faccio, incondizionato riflesso di nuovo respiro, diverso ma necessario, da tempo inusitato ma invero atteso e voluto.
Ebbene viaggiando e viaggiare, allontanarsi e senza rendersene conto tornare, senza un perche’ gioia ed e’ gioia meritata, bramata come impossibile conquista quando gia’ stava in ogni giorno minuto, essenziale ed in questo banale, sottovalutata ipotesi di felicita’, di semplicita’, fuga dovuta ma sbagliata, voluta ma impropria ma non importa, no non importa piu’ se pelle e’ calda da vasca bollente, pancia piena di ottimo cibo, morbido cuscino sul quale smettere di nascondersi e riprendere discorso lasciato a mezz’aria in balia di finestre aperte e correnti gelide.
Con delicatezza appoggio vile materia ed e’ spostare diamante nell’esatto solco pronto ad accoglierlo lasciando statici frammenti a riportarmi laddove imperfezione e’ brivido, quando cuore regala battiti ad altri contatti, altri racconti di vite lontane e vicinissime, altre canzoni che incontrollabili prendono possesso dei brividi in attesa d’evocato richiamo, raccolta preghiera che il mio Dio sa accettare e benedire.
E’ piccola realta’ in immensa fantasia ma so buttare logica alle spalle, so ascoltare sinfonico eco seppur concluso e di certezza far ipotesi perche’ altrimenti e’ fermarsi, alternativa e’ oblio.
C’e’ una porta che rimane aperta
per sentire ogni rumore
per un’altra soluzione incerta
tuo senza rancore.

Cio’ che e’ noto

Ogni mattina una partenza in strana contrazione di tempo e spazio, kilometri come centimetri come siderali micrometri in impaziente mente, assenza di causa effetto, dopo distante un gioco, un sorriso, in attesa di gioia dovuta ed irrinunciabile quando irrinunciabile era assoluto.
Illuminato da sole rovente, nessuna fatica, nessuno sforzo nel rito di mistico inventato e da inventare, accettare quanto accade col sogno di chi ignaro dorme e confonde differenti piani di realta’ mentre asfalto vivo si snoda di serpente affondato nell’azzurro, ripido e spaventoso scivola tra rovi e terra brulla, terra in fiamme, giallo e marrone nel preludio di bianche case, donne nere, nerissime, strana umanita’ alla quale eppure appartengo molto piu’ di quanto vorrei, gente che dimora in guscio di noce nel poco piu’ che primitivo, scomparsi ricordi, atemporale saluto e ricordo sfalsato nei racconti di chi educa, di chi insegna, di quanti non sanno, non capiscono, non si rendono conto.
Redentore nelle note, mano di Dio benevola e gentile se arrivare e’ qualcosa di piu’ di fermarsi e prendersi con forza la vita, se toccare terra e correre e nuotare e inventare e ascoltare e imparare resta immutato e fortissimo, secondi da contare perche’ secondi che contano, perche’ respirare aria tersa ovunque occhi chiusi conducano puo’ essere immenso privilegio, esperienza d’indicibile potenza quando valore del giorno che finisce si misura in lampadine accese, mani gelate, fotogrammi sempre piu’ noiosi, sempre piu’ distanti.
Paradosso di quanto non ha sapore, non piu’ eppure un tempo sale e cuore, energia che muove e agita pensieri malgrado disprezzo e giuramenti, stanchezza e disgusto di luoghi che non ho saputo comprendere, di gente invero compresa benissimo, rimanendo aggrappato a mancanza di nostalgia, forse un ritorno, minuscola voglia d’inconsapevole immortalita’ in luce bassa, sottile respiro, stelle oscurate in tetra anima.
Then I was inspired, now I’m sad and tired
After all, I’ve tried for three years seems like ninety
Why then am I scared to finish what I started
What you started – I didn’t start it

Visibile lato oscuro

Cio’ che non rende adulti potrebbe essere capacita’ di stupirsi o forse meraviglia di nuove vie, nuovi suoni, nuove sensazioni, sinergia tra innocenza e fantasia che esperienza trascina con se’ affogandola nella sicurezza, certezza di tutto comprendere, ogni cosa gestire, immenso ridotto a foglio multicolore.
E’ cosi’ eppure non e’ cosi’, non sempre, non per oasi di felice e immobile terra, luogo senza tempo perche’ senza inizio impossibile conoscere fine, ritenzione di purezza, conservazione della migliore parte di ognuno, meritorio ricorso a mai dimenticato sentimento d’universale passione, infinito tra minuscoli sassollini perche’ nell’insperato nulla si celano grandi verita’ in un rincorrersi trasversale alle dimensioni, alle ere che s’avvicendano come inutili secondi, a parsec distanti pagina girata e divorata d’incontenibile passione.
Comprendere e’ irrilevante, sentire e’ oltre lo sperabile, auspicabile ma certezza non esiste nel breve intercorrere degli sguardi quando serve intera vita per decidere cosa sia rimasto in dono, trasduttore di bisogni in necessari voli quando cielo e’ troppo grigio, mentre pioggia uniforma a lacrime persino colorati aquiloni che sfidano nembi e lampi, incuranti di fiamma e tuono nel solo intento di esserci, col solo scopo di resistere.
E il mare, perche’ c’e’ sempre mare mentre si cresce, scoprendo che sale brucia ma da’ sapore, che pane e’ come carne di un Dio molto piu’ vicino di quanto si possa sperare, che suono appresso all’altro puo’ divenire sinfonia se orchestra cavalca vento e onde, se antica torre e’ roccaforte di mistero che deve rimanere tale nel cuore di bambino che non vuole crescere e senza crescere viaggiare nella schiuma dell’oceano in amore con terra, con pelle, con futuro incurante e per questo stupendo, per milioni di motivi, migliore.
Salutare infine, pregare e ringraziare, ricordare continuando ad ascoltare, seguitando a sentire, fino all’ultimo emozionarsi e sperare in dolore e paura spazzati via da canto d’angelo donato agli uomini e se si ha saputo dare serenita’ agli inferi allora davvero si merita eternita’, davvero si eredita terra, davvero non c’e’ alcun limite.
I’m not frightened of dying, anytime will do, I don’t mind.
Why should I be frightened of dying?
There’s no reason for it, you gotta go sometime.

Rise and shine

Ancora scambio nebbia con sole, incerto su chi arroventa pelle e sensi maggiormente, se brividi da brina o sudore copioso, se abbagliare fu caldo plasma verticale o luci diffuse di traffico serale nell’inutile corsa tra case e tavole imbandite, se respirare vento e smog o corsa spasmodica in quantita’ per essere felici.
Rito di viale e luci basse e mai strada chiusa mi ha portato piu’ lontano, nessun ostacolo ha offerto piu’ scelte ed infiniti raccolti, barriere che aprono possibilita’ e nel caos ovattato della sera sentire voci e sussurri di amanti e poeti, cantori di speranze vicine come lenzuola fresche e profumate, fiori, fiori nella notte incapaci di stingere nel buio, piu’ forti dell’oblio, piu’ vitali nel silenzio, piu’ profumati nel vento che anzi veicola afrore d’antica provenienza, olfattivo ritorno a ricordi mai troppo lontani, un passo da palpebre socchiuse, ipnotizzati movimenti d’atavica danza rinnovata in nuova vita, nuovo futuro, inedita combinazione unica in cuore e gambe ma cosi’ era, cosi’ sara’ sempre.
Vedere il futuro di ora in ora, sentire singola carezza come se intera umanita’ donasse tutto il suo calore e ancora confondo, ancora non distinguo braccia da librerie gialle da siepi da motorini rossi da palazzi da ascensori da chitarre maledette da cio’che non era, cio’ che non e’, cio’ che sveglia petto mentre si dorme e interrompe sogni violenti, visioni spigolose, imperfetta visione rovente, abbagliante, dolorosamente a colori, misteriosamente profumata di menta e viola.
Tentazione di spogliarsi di tutto perche’ in ogni luogo del mondo strade si chiudono al passaggio, si schiudono alle fantasie piu’ sfrenate laddove vivono i racconti, quando speranze si sciolgono come miele in latte caldo, dolcezza di altro sapore che rivive nella nebbia, nel sole, nel bagliore diffuso che esalta nascondendo, prisma genitore d’arcobaleni e benefica elettricita’, scossa di piacere e dolore, nervi scoperti per tentare di capire, per districare dalle mani nebbia e sole, sole e nebbia, solo nella nebbia.
Disegnero’ ad occhi chiusi quei momenti
che ricordero’ come se fosse solo un’ora fa
e lascero’ che i miei pensieri ti tormentino
saranno li per farti compagnia
se vorrai

Quasi 9

Tonfo, suono sordo di cio’ che va oltre la semplice fine, simbolo di comune essenza, dolorosa assenza, permanenza di interrogativi che non so piu’ pormi, lucidissimo ora nella luce di consapevolezza totale, totale ragione.
Fogli come ali ed e’ pensiero che esce alla luce del sole, respira ossigeno librandosi in esso, con esso e non importa quale che sia il contenuto se espressione di mente infinita e libera proprio nel seguire un futuro senza inventarlo, bisogno primario forse mutato, deviato perche’ no ma davvero unico in un mondo che merita ogni parola vergata nel quotidiano.
Inutile ricordare, celebrare macabro rito, sputare odio e rancore perche’ sentimenti forti appartengono a giovani cuori carichi di distruttiva potenza; qui pietra e acciaio ghiacciato, famelico.
Meglio attendere a fianco del tempo amico, meglio osservare polverosa nube avvicinarsi respirando profumo d’erba tagliata e orrore come ricordo, premio ambito, delicato col senno di cio’ che piu’ non sara’, ridicolo spettro come altri prima, s’agita e strepita, grottesco movimento contenitore di piccola natura, spazzatura nemmeno troppo maleodorante ma certo vergogna in limpida e onesta casa.
Ragione e’ nella mente dell’uomo, nel cuore dell’eroe, nel ventre putrido di chi la rinnega, nei piedi degli stupidi e senza alcuno sforzo lasciare che anni cancellino imperfezioni, smussino spigoli, detergano pavimenti non troppo esausti per essere ancora calpestati, ancora lucidati, ancora tramite di viaggi e scoperte.
Tempo ha senso, tempo va in un senso, tempo e’ senso ultimo, regola infrangibile, dovere e privilegio di ogni alba, di tutti i tramonti, di opere quotidiane che esigono tributo in giorno onorato non per noi ultimi e imperfetti bensi’ per chi ha saputo volare, cavalcare immortale discesa, certo invertita ascensione verso terra troppo lontana, troppo vicina, ovunque presente, gloria di coraggio nato in tempi antichi, valore unico e solo nel riflesso di una preghiera, di vera eternita’ che si compie e si realizza.
Heads all turning
Towards the sky
Towers crumble
Heroes die
Who would wish this
On our people
And proclaim
That His will be done
Scriptures they heed have misled them
All praise their Sacrificed Sons

Nessun dominio

Pace di suoni neutri, diretti ed immediati nelle orecchie di chi sa ascoltare immense sinfonie senza udire rumore di fondo di un oltre che e’ qui, perplessita’ esaurita a pochi passi, breve distanza che appare lontanissima senza fermarsi un momento nell’abitudine, nella consuetudine.
Pietre disposte da uomo potente eppur rimodellate da inquieta ed imprevedibile natura che respira, vive nella potenza del proprio esistere, parla col suo silenzio e ascolta i suoni del mondo che a volte, solo a volte, e’ sincronizzato duetto con note di sassofono disperso nella folla, col bisogno ormai sconfitto che non trova altra voce che non sia propria e persino indifferente passo partecipa ad inconsapevole concerto.
Resto immobile, respiro appena, potrebbe essere un momento perfetto e m’immergo in esso come schiuma viva, dicotomia tra pensiero e movimento, statico e silente in opposizione a fluido benessere, mescolanza con qualcosa che non conosco ma so essere essenziale, profumo di dimenticata purezza, fragranza che un tempo inondava risveglio e giornata tutta, quando simbiosi era ignoto permanente stato delle cose, sotteso pensiero.
Straniante effetto, universi lontanissimi in dolce collisione e d’un tratto sono ovunque, sintonizzato e allineato ad impensabile quiete, aliena sensazione dalla quale qualcosa dovrei pur imparare come non fosse magia bensi’ metodo, alternativo sentire, percezione diversamente tarata e contrasto di bordo che delimita e delinea.
Forse e’ magia di un suono che piu’ e’ lontano piu’ avvicina a se’ stessi, apertura un cio’ che si potrebbe definire spazio illimitato non fosse per troppa fretta che paralizza, interi giorni che ci possiedono restituendo poco o nulla e se fronde ventose sono braccia che si tendono lievi, posso ancora ricordare, sperare in giorni passati divenire futuro, sentire di possedere almeno in parte, certo il migliore dei destini possbili.
It doesn’t mean much
it doesn’t mean anything at all
the life I’ve left behind me
is a cold room
I’ve crossed the last line
from where I can’t return
where every step I took in faith
betrayed me
and led me from my home

Anelli di fumo

Kaneda, che cosa vedi?
Parlami dell’onda di plasma che sta per avvolgerti, raccontami di come ci si possa annullare nella luce, spiegami cosa accade quando si torna ad essere pura energia, puro calore, fascio d’elettroni puntato oltre terrore del corpo, supplizio di mortalita’, tormento e attesa di pesante esistere, inutili rotazioni, spirali su inevitabile nulla.
Cos’e’ la paura Kaneda, si ciba forse di debolezze o della loro assenza, di essenza magari oppure e’ grigio soffitto di notte insonne, atavico desiderio di esplorare oltre la roccia, oltre fiume che e’ sostentamento eppure confine, placida trappola dalla quale fuggire pagando pegno in mortale sconfitta o peggio eterno ed inutile grigio.
Qual’e’ la strada Kaneda se ora i miei occhi sono chiusi e ciechi e doloranti, pieni di immagini che non voglio piu’ vedere, colmi di inespressa arte, inedite ardite sequenze di film mai girato, occhi che non sanno scegliere perche’ tutto e’ gia’ stato deciso, calcolato, segnato, baratto perdente e sfortunato.
So che non puoi tornare indietro Kaneda perche’ esistono scelte ed ogni scelta e’ compagna di strada, promessa da mantenere ad ogni costo e forse quel muro che ti si para innanzi non fara’ male quanto cio’ che gia’ e’ lasciato, cio’ che gia’ e’ trascorso celato in troppa voglia di confondere fine con mezzo.
Sono stanco Kaneda, stanco d’ascoltarmi, stanco di aver compreso infinito superfluo, montagne impossibili da scalare, stanco di qualcosa che non esplode, che non squarcia il petto una volta per tutte, una volta per sempre, stanco d’aver combattuto e vinto, troppe volte aspettato, troppe volte ricevuto e troppe volte abbandonato.
Forse e’ li’ che devo andare Kaneda, raggiungerti in silenzio, in silenzio ergermi fiero e impavido, perche’ talvolta sconfitta e’ unica forma di vittoria auspicabile.
Si Kaneda, che cosa vedi…