Da questa roccia

Centimetri quadrati di ricordi, pianure di presente, nomi con un senso, altri da decifrare e ogni pezzo di storia incasellato e sistemato un po’ racconta e svela mistero forse misero, ugualmente importante come fosse simbiosi o fusione, scherzo dell’immaginazione certo, piu’ facilmente non voler vedere, paura di parlare per raccontarsi, spiegare.
Esiste causa, consegue effetto ed e’ mio piu’ grande dono, silenzio e notti gelide, qualcosa che non doveva essere eppure accade ed e’ ruvuda, ruvida superficie in voglia di liscio giaciglio, mura meno fredde, incubi solo accennati.
Guardo piedi uno avanti l’altro e c’e’ sempre pietra su cui inciampare, fossato in cui cadere, sterrato scivoloso e viscido come serpente da cavalcare, come drago indomito, come vita passata e non futura che urla forte e si lamenta, sbraita soffiando caldo respiro a tratti nauseabondo, altri dolce di miele e mandorle, altri ancora pura assenza regalando ansia sospesa e rassegnata, certo dannosa, sicuro non spiega, nemmeno racconta.
Ora immagina metafisico spazio, strutture ed ombre allungate in luce diffusa, cubo centrale, stralunata forma e braccia protese a sole presunto, capo senza volto, mani senza dita, rigida tunica piu’ trappola che abito e contemplazione di linee di fuga declinate all’infinito col trasporto di cio’ che non ha limiti ne’ desiderio d’averne.
Ora lascia trascorre gli anni, cadenza i giorni nel vortice ritmico di rullante pesantemente percosso, canzone sia uguale a se’ stessa, ripetizione ed esaltazione d’arte transustata in alba, tramonto, notte e tutto cio’ in essi contenuto e carne diviene immagine, quel colpo secco flusso e riflusso, forse il contrario, certo confuso, indistinguibile, indistinguibile, puntinismo di minuzie con piano, obiettivo, sentiero proprio.
Ancora una volta incantesimo non voluto, risultato immutato come parole troppo svelte per pronuncia incapace, per settimana molto piu’ lunga della sua fine, troppo lunga persino per immutabile e inaccessibile cerchio di vita.
Pierde el cielo equilibrio,
cae derrumbado encima de ti,
escondete un mundo
que nadie lo vea
cierra las puertas y espera

Convenienza

Giaceva nella rovente penombra del tardo pomeriggio l’estate cosi’ poco attesa, poco desiderata, per la prima volta subita in un senso d’insana crescita, d’inevitabile destino al quale opporsi chissa’ con quale risultato, con quale miracoloso responso non fosse per stupida e benedetta certezza d’eternita’ di giorni in cui dovere era desiderarla.
Tanti pensieri, non quelli giusti nel ruolo mal ritagliato di chi doveva vivere di potenzialita’ ma c’era da esprimere un bisogno, tracciare un segno, distruggere barriere e col sorriso accettare imminente sconvolgimento.
Autunno lontano, inverno lontanissimo, l’estate successiva da inventare, solo spettri, solo mostri, solo echi nel caldo, nella verde luce, nel sincronizzato ruotare e poteva essere comune ascoltare, atteso giorno inaspettatamente epico, silenziosamente roboante d’eterne parole, di nuovo cosmo, inedita tesi impossibile da non seguire.
Giallo puo’ essere oro in giusta luce, nell’anima di chi osserva senza interesse, senza giudizio questionante inezie in sole morente, in rientri annoiati, inerzia altrove meritata, furbescamente evitata.
Sudore risponde ad agitata simbiosi climatica eppure tremo incredulo, mi siedo, non unisco secondi che controllo come supremo essere a cui niente puo’ essere negato e posso solo pensare che nulla e’ da svelare se stringere tra le mani l’assoluto e’ solo gioco di bambino stanco di giocare, ansioso eppure annoiato, eccitato ma spaventato, triste di felicita’ immeritata e grottesca e cosa e’ mai strapparsi il futuro di dosso come pelle di viscido serpente nel futuro quando rimpianto non si e’ divorato meglio dell’anima sfiorandone confini e bordi gia’ corrosi.
Voglia di uscire, desiderio d’amplificare voce trovata e meno paura, piu’ incertezza e avventura, gioia d’arte, tutto finito, tutto iniziato, tutto inventato, porta chiusa con violenza alle proprie spalle ma che importa se smarrirsi significa pagare salato conto dopo banchetto ancora da gustare e la’ sedia, la’ tavola imbandita, accomodarsi che per la cassa c’e’ ancora tempo.
I don’t like Ibiza
I don’t like house music
I don’t like house music
I don’t like house music
On the road…

Orfico

Cammino instabile e non vedo fine alla superficie ghiacciata sulla quale mi trovo.
Come bambino scivolo e corro, cado e mi rialzo, un po’ di dolore, tagli qua e la’, molto freddo, molto caldo fintanto che sudo e m’agito e sole pare tramontare nel superbo blu di cielo figliato da malinconico Dio e non so che ore siano, ho perso il tempo, ho perso orientamento, ho perso bisogno di bisogni e non importa fintanto notte lontana, gelo immagine di film e camino acceso, solitudine incubo di bambino che smarrendo la madre comprende essenza del mondo.
Silenzio ed e’ il proprio, respiro disegna arabeschi innanzi e non vola e non precipita e non ha forma ma so a che assomiglia, vento saluta senza farsi sentire e stormi fiabeschi inseguono nuvole troppo stanche per fuggire in un momento epico, nella mistica mai perduta se solo non vi fosse umanita’ destinata a stelle lontane o abissi di terra in fiamme e in fondo che importa, nulla muta davvero se si sa guardare cosmo coi giusti occhi, coi giusti ritmi.
Di questa terra non conosco storia, non vedo altra geografia oltre bianco compatto, aria gelata, inamovibili giorni, stasi di unico ed eterno accordo curvato e ripiegato, talvolta confuso con altri suoni eppure mai smarrito, rimasta guida, bussola di solo nord perche’ unica e’ la meta per quanto celata e mai narrata perche’ e’ esattamente questo il nodo, punto oltre il quale le logiche divengono fili d’oro ben tesi e lucenti, normali giochi di vita, epici cavalieri al fianco quotidiano per non sbagliare, per non smarrirsi, per non sentirsi troppo unici e troppo soli.
Fermarsi, correre a perdifiato, salti d’impronte profonde, occhi chiusi o aperti, illusione, illusioni e non in questa terra senza anima, senza spiritualita’, solo invenzioni, sole inventato, anarchica energia eppure in trappola, eppure debole nell’apparente forza, nella consumata voglia di fuggire, nella preghiera senza incenso, nello sguardo che fatica ad alzarsi, nella mano che non sa accarezzare, non piu’ e tenebra e ombra e ginocchia a terra resto, resto qui perche’ questo e’ inizio del momento, inizio del silenzio.
Loco! Loco! Loco!
Cuando anochezca en tu portena soledad,
por la ribera de tu sabana vendre’
con un poema y un trombon
a desvelarte el corazon.

Come se fosse, come se…

Gialle e diagonali foglie cadono pesanti al passaggio, rapide, orgogliose nel momento supremo del loro percorso e che sia quindi questa amara verita’ d’intero esistere, istante ultimo in cui forse tutto si ricorda, certo e’ viaggio brevissimo ed infinito, silenzioso ed epocale, guizzo ed e’ correre come prima, come mai prima e finalmente uniti a qualcosa, a qualcuno, esperienza di umanita’ tutta, fusione e amore e respiro, ultimo come il primo in cerchio che abbraccia universo tutto perche’ davvero nulla inizia, nulla termina, tutto muta in ordinato caos.
La vita, la vita e’ l’anomalia, esistere e’ scarto d’eternita’, malriuscito tentativo di perfezione quando essenza vera di tumltuoso cosmo e’ energia incontrollata eppure regolata da forze e leggi supreme e meravigliose, meccanismi in cui vivente e’ ruggine, disturbo e sporcizia, fastidio il cui unico destino e’ cessare d’esserci.
Voglio vedere palpebre chiuse e chiuse bene, immaginare l’assenza, respirare aria non creata, ossigeno racchiuso dentro stelle e globulari gas, primordi di tempo non iniziato quindi mai finito.
Voglio insensibili mani perche’ non c’e’ mai rifugio dal freddo, forse umidi stracci che separano, dividono, allontanano e voglio non sentire piu’ la mia voce perche’ parola ha confine, limitata velocita’, espressione mediata ed inconsistente, inconcludente, interpretazione che mai esplica, solo semplifica ed e’ ogni volta sforzo e fatica, compromesso e noia.
Voglio pensiero infinitesimo per contenere cio’ che non esiste perche’ tutt’attorno non distinguo piu’, non discerno piu’, non so attribuire valore e senso, collocazione geometrica e spaziale, volumi in cui penetro quando non dovrei, spazio in apparenza vuoto eppure doloroso al tocco e muoversi per stare immobili, godere del proprio disagio, dell’incapacita’ di avere e persino d’essere, gia’ essere…
Voglio epico nulla, giallo epilogo intrappolato tra vento, pioggia, asfalto e infine briciole bagnate, non piu’ humus, non piu’ nutrimento ma palla di fuoco esplosa e ridente per l’unico viaggio che ha senso intraprendere.
Se il cielo dovesse aprirsi improvvisamente
non ci sarebbe piu’ legge, non ci sarebbero piu’ regole.
Resteresti solo tu con i tuoi ricordi
con le scelte che hai compiuto
e le persone su cui hai lasciato il segno

Sono eppure son desto

A un certo punto lingue tutte appaiono uguali, equamente confuse ed aliene e non intendo, non parlo, non comunico eppure non vi sono segreti rimasti, nessun inganno quando non udire equivale a non giudicare e non essere costretti a giudicare libera mente e cuore e gambe e via urlando forte frasi sconnesse ed incomprensibili, per questo immense e gigantesche, troneggianti deserti e citta’ decadenti, lontano nell’arroganza o consapevolezza che muro e’ libro, mattone e’ verbo, inutile pugno e’ aggettivo, sintassi sublime per mie sole orecchie nel vanto di conquista certamente meritata, presente e noncurante, limite reso alto pregio.
Batto un colpo, batto un colpo, rombo profondo, rombo circolare, onde concentriche su riva immobile abituata ad urti, piccoli sconvolgimenti, trascorrere di anni e vita, vita d’un tratto trascurata, dimenticata tra stracci e pentagrammi, kilometri sempre piu’ neri, sempre piu’ bui, sempre piu’ noiosi, distanti e vicinissimi, vicinissimi ed irraggiungibili nella voglia di un passato non pienamente sublimato, precognizione di cio’ che gia’ e’ stato, vissuto vivente, avvolgente, tepore in eccesso e perfetto habitat impossibile da abbandonare senza ridere, senza piangere, senza sanguinare ed e’ sangue gia’ versato ad incrostare interstizi profondi e nerissimi.
E’ notte e queste sono le mie parole, e’ giorno e’ queste sono le mie parole, parole, notte, giorno, e’ confusione, sempre piu’ confusione, e’ mescolanza di tinte, grigi risultati nel grigio intorno, nel grigio nido di occhi rossi e luminosi, tenebre e senso di fine imminente un po’ ovunque, cerca i segni, vedi i segni, eredita’ misera, certo nulla in tempo mescolato ed acerbo se ancora impreco e non spiego, non m’abbandono e affronto inevitabile resa dei conti.
Poi basterebbe raccontare, prima chiudere occhi ed ascoltare, orecchie sigillate e udire piu’ forte nel frastuono finalmente non piu’ mio se mio deve essere, se mio s’asciugasse come terra umida al sole, come preghiera che infne cielo raggiungendo, nel cadere diviene luminosa stella, rovente desiderio.
I’ll kick the world to spin around
Like wheels on my machine
The whole thing gets a carousel
The greatest ever seen

Inizio senza fondo

Questo contrattempo spalanca sguardo verso specchio da troppo tempo distrattamente scrutato perche’ e’ ragione nel dire che non sono piu’ io, che plastica fusa rallenta movimenti nell’illusione che mondo stia rallentando con me, che non distinguo piu’ strada da aria da cemento da alberi da elettricita’ da pittura da musica da carta da istinto da sudore da parole da benzina da cibo da ritmo da ritmo da ritmo.
E’ che ho dimenticato quando quella crepa e’ nata, quella crepa si e’ allargata e nel fragore di specchio caduto, innumerevoli scaglie sbriciolate, forse non troppe se ho saltato, calpestato, giocato e gioito sui cocci e se di se’ stessi non si butta via niente, di frammenti ho ricomposto la superficie, di schegge ho martoriato le carni, di sangue ho venato congiunzioni lucenti e ho riso fortissimo, pazzo ho danzato e infine ho rimesso ogni cosa al suo posto e innanzi milioni di nuovi me, minuscoli pezzi che non compongono intero ma l’amplificano in corpo infinito, infinito potere, infinito pensiero, illimitato, illimitato, illimitato e forse non vedo piu’, forse non riconosco piu’, forse non distinguo piu’ ma ascolto, maledizione quanto so sentire in questa stanza piena di luce, piu’ stelle di trilioni d’universi perche’ luce e’ suono, movimento e’ ancestrale rito del quale posseggo conoscenza e ricordo, ora ricordo, so e ricordo.
Da qui si riflette l’infinito niente, sopra, sotto, dietro e attorno ad unico centro e sono dentro, sono fuori, sono ovunque e la vista toglie il fiato laddove persino scudi appaiono micidiali spade e gola piegata, urla di coraggio e forza e la verita’ corre di frammento in frammento e non si ferma, non mi fermo, nulla si ferma.
Quanto dura, da quanto non riposo, per quanto posso ancora mantenere sguardo incantato ed illuso se un giorno mi ritrovero’ in un solo minuscolo punto di luce incapace di lasciare segnale oltre propri confini, oltre un lascito sprecato, al di la’ di una verita’ che inutilmente so essere assoluta ma sempre piu’ se deve essere congiunzione io stacchero’ queste mani dalla terra e anche se non saranno ali, almeno saro’ libero.
Pioneer of aerodynamics
they thought he was real smart alec
he thought big they called it a phallic
they didn’t know he was panoramic
little eiffel stands in the archway
keeping low doesn’t make no sense

Taglio mai netto

Ho sentito il fiume deviato dal suo cammino, greto dimenticato ed ora immacolato, acqua di origine nota e destinazione sconosciuta, percorso in qualche modo piu’ triste e desolato.
Perche’ lo so e’ mistero, cosa dedurre da poca schiuma sopra arrotondate rocce e’ parola detta piano da non svelare anche quando segreto e’ attraversare del tempo, nozioni da imparare, crescere e non fermarsi al dolore del tramonto, arrendersi all’inevitabile ciclicita’ della vita, dell’esistere e ancora un passo a salire su scala d’umano avvicendarsi, metro in avanti verso valle e comunque spostarsi ciechi ed impauriti, trascinarsi, trascinati, viaggio senza movimento.
Forse ho spostato io quel fiume, certo ho spostato io quel fiume e cosa sarebbe accaduto non facendolo, il mare, dove sarebbe stato il mare, quali acque mescolate a quali, frutti, semi, alberi di strane radici, altri senza a navigare su nervosi flutti ma incombente fine come costante ed imprescindibile destinazione.
Uccidere sorriso e’ bestemmia contro umanita’ tutta e condanna esemplare e’ libero osservare orizzonte declinare in nero silenzio mentre alle spalle passato si disintegra in nomi indistinguibili tra loro, lacrime ammassate come carta fragile al tocco, quindi sto pagando, sconto pena tra note dolorose di sassofono senza speranza e senza cuore se cuore muore giorno per giorno tra distanti rive di terre inutilmente esplorate.
Forse non so, cerco perdono nella confusione di acque comunque possenti malgrado colore non piu’ cristallino, troppa terra trascinata negli anni, troppe piogge gelate come frustate che sola mia schiema merita se alla fine nessuno vince, nessuno perde, tutti sopravvivono come possono e nulla e’ come doveva essere, tutto e’ meglio, tutto e’ peggio, tutto e’ diverso, tutto ha dolorosi spigoli e non e’ il male in se’ quanto la domanda che a stento esce da labbra secche ed inutile e’ guardare verso occhi miei bruciati da troppo buio.
Poter versare una canzone nel bicchiere di miglior cristallo certo non basta ma e’ tutto cio’ che so fare, e’ unico inutile merito di mani che non sanno vedere, solo rudemente afferrare e strappare e frantumare e giustificare l’innecessario come universale legge, come verita’ che sa di triste mondo reale in un desiderio frantumato.
Sail on silvergirl sail on by
Your time has come to shine
All your dreams are on their way
See how they shine
If you need a friend
I’m sailing right behind

Segni dentro la mente

Stanotte sin troppo disprezzo indossa abiti dell’oggi per non cadere nella voragine di musica che continua a conoscermi, a salutarmi con una carezza e forse e’ vero essere unico tocco che ormai so accettare, sole labbra di lingua nota, pugno che ancora fa male e sangue vermiglio non mente, non mente mai.
Istinto e mani nervose volano verso sigarette gia’ bruciate, fumo che ancora annebbia occhi arrossati in cerca di autunno mai terminato eppure spaventosamente lontano, mutazione, mutazione e trasformazione, forse crescita o abitudine segnata da solchi non ancora marcati ma inesorabili come fuoco che scava immobile superficie della terra, cristallizzando sabbia, evaporando acqua, incenerendo cio’ che incolpevole vive.
Si faccia avanti quel mare, piu’ vicino oggi di allora eppure sempre piu’ irraggiungibile, guscio di un sogno che non deve essere realizzato perche’ carne soda e compatta di corpo che non s’arrende e non vuole guardare, non vuole vedere, non pensa, non pensa e tutto e’ grigio e tutto e’ rosa e tutto e’ campo verde su fresca montagna, ruscello che ancora non so fermare, mani gelate e bagnate nella conquista di minimo comune denominatore che gia’ conosco e senza vanto posso solo regalare, senso univocamente determinato in un tutto fare ridotto a scelta giusta, quella almeno giusta si.
A volte e’ strana rivelazione, altre bisogno di regressione salutare e benefica, cibo dal gusto acerbo che porto lentamente alla bocca come ultimo pasto, nutrimento che sa di fine e immenso, di dono dovuto, di meritato inno a tutto quanto abbia un senso definibile ed ammirabile in un’arte che non si sa bene cosa, che non si sa bene come.
Ansia da accontentare, nuove scoperte, perfezione rivelata ad occhi chiusi quando gioco si confondeva col cielo e con le stelle, plastica tecnologia di un cosmo che ritenevo immenso eppure tra le finestre l’oggi e il domani, germinato seme, preludio ed epilogo, forse definitivo punto a tutte le frasi ancora da scrivere, ancora da costruire.
There ain’t no communication
but I’m trying to make it
There’s a world of gloss and I’m trying to break it
With my tiny little hands I’m building castles in the sand
I’m only one of the Lost generation

Il vero soffio

Cielo bianco, compatto m’ignora mentre penso a un po’ di tutto, mentre questa terra sfiora senza calore eppure avvolgente e nel mentre percepisco separazione di individui a loro volta scollati, percentuale di trasparenza variabile, nuovi fantasmi, nuovi uomini stratificati nel tempo,futuro  infinitesimo eppure irrinunciabile in cosmogonica logica che idea sola di Dio puo’ far accettare e comprendere e’ rifutare, cancellare, eterno ridotto a ectoplasmatico serale televisivo.
Guido perche’ in fondo e’ raggiungere qualcosa, qualcuno, avvicinarsi se medesimo allontanarsi sopraggiunge ed e’ cosi’ freddo il volto al tocco, talmente algide le mie mani e lontane e asciutte e desiderose di cio’ che gia’ possiedono ma consapevolezza e’ pericolosa, speranza e’ certezza, piccolo brivido elettrico e velenoso, droga ed illusione a pagamento di rinuncia mai del tutto attuata.
Come supplica irrompe compassione e tenerezza, sentimenti di celeste colore e odio quel cielo bianco che tanto rimanda a fluido mio sangue e bramo cessare esistere, indegno ed inutile, soppiantato da storia e uomini, palesemente fuori contesto tra chi ha accettato ruolo e in esso ha significato e ragione.
Vivere vergogna di non vedere con altri occhi, non riflettersi in disagio sconosciuto, coraggio, mancanza di coraggio per sopportare peso di pianeta da edificare, modellare e in quella che appare corsa obliqua, inutile, inutile, inutile.
Cio’ che aleggia non e’ arroganza, e’ umile nullita’, spiacevole ammissione in dolorosissimo minuto nel quale vorrei stringere ed accarezzare, consapevole del donare fortificante acciaio e ricevere verita’ assoluta, unica possibile, la sola necessaria in cio’ che rende tenera comunque ignobile notte e quando raggelato resto nel mio bianco indurito cielo e inseguendo quel profumo eterno di lavanda, sprofondo ancora un poco nell’inutile profondita’ del nulla condurre, dell’osservarsi aliena sostanza in luogo d’altrui materia, di significante oblio.
Say hello on a day like today
Say it everytime you move
The way that you look at me now
Makes me wish I was you
It goes deep
It goes deeper still
This touch
And the smile and the shake of your head

Viatico

Anno 2050
Un treno lontano corre veloce, fischio fantasma a smarrirsi. Piove, un poco piove, poi smette, si smette. C’e’ freschino, il tempo sta cambiando e senza accorgersene il verde degli alberi pare cantare dopo piacevole risveglio. Lampi lontani e l’estate saluta con ampi gesti grigi chi ha voglia di guardare, di uscire innanzi a un mondo che non ha la minima intenzione di fermarsi.
In fondo perche’ mai dovrebbe farlo?
Anno 12432
Un albero cresce, un albero muore, un altro viene tagliato. La citta’ e’ lontana, caldo cibo vicino, punture di rosso tinteggiano la terra, strisce multicolore rigano il cielo ma fredda atmosfera sovente sorprende ed inganna.
E’ giorno che sembra non finire mai, e’ benedizione libera di volare, ali portentose come mai viste prima.
Anno 7045
Strane luci la’ in fondo ma e’ tutto normale, e’ sempre tutto normale. Tende bianche resistono all’imbrunire ma  battaglia e’ persa, e’ susseguirsi delle cose, e’ irrefrenabile onda di migliaia d’altre, milioni forse, equilibrio immutato, acciaio, roccia e oceano indistinguibili tra loro, meravigliosi e possenti seppur soli, abbandonati ma stoicamente integri in riflessi ed intenzioni.
Anno 2024
Grandi piedi pestano brulla terra; ora il frastuono e’ terminato. Da qualche parte bisogna iniziare ed osservare attentamente puo’ essere inizio. Il lago forse non c’e’ piu’, ma la sua acqua e’ ora vapore, presto nuvola, poi energia, infine tavola imbandita di lauto pranzo gratificata e ancora occasione per sedersi ed aspettare
Anno 187633
Vola, si vola. E’ esaltante, e’ divertente, e’ nuova rinascita.
Il mio desiderio e’ esaudito: posso vedere.