Strati di foglie leggere

Amo certi film in cui l’umanita’ e’ la stessa solo un po’ piu’ strana, un po’ piu’ bizzarra.
Gente che non esiste ma che potrebbe essere, gente che vive in luoghi con strane dislocazioni spaziali, dove il filo del telefono e’ lungo decine di metri, dove le case sono sempre linde anche se nessuno le pulisce, dove i pugni non feriscono e le parole non uccidono.
C’e’ musica in sottofondo ed e’ la musica giusta, c’e’ sempre sole quando le cose vanno bene e c’e’ pioggia a tre quarti dalla fine quando gli innamorati si lasciano per poi riunirsi nel finale.
Le auto scintillano, le donne ammaliano ma non eccitano, gli anziani non sono vecchi, i cani sono intelligenti come bambini e i bambini disquisiscono sulla vita come filosofi.
Nessuno muore e se succede si fa con gioia, perche’ cosi’ deve essere, perche’ cosi’ e’ il ciclo della vita, il trascorrere delle stagioni.
Non si ride mai ma si sorride tanto e va bene cosi’ perche’ talvolta si e’ stanchi di risate sguaiate e pianti a dirotto, certe volte e’ bene immaginare un mondo senza fuliggine, un cielo senza nuvole, una notte senza incubi.
I reached inside myself today
thinking there’s got to be some way
to keep my troubles distant
Touch me
how can it be
Believe me
the sun always shines on TV

Fumo sospeso

Aggrappato ai piccoli piaceri dell’ozio, scopro di sapermi arrestare talvolta.
Il gusto sta nel poter scegliere, nel sapere di ricominciare, nello scorrere dei minuti, buttandoli senza sprecarli.
Dilatare le sensazioni a conservare come menta sotto la lingua l’immobilita’, mentre il resto ancora corre.
Regalarsi tempo quando lo abbiamo sperperato per pagarci ombrelli di carta e fegati dilaniati.
Illudersi di poter eliminare le cataste di libri ancora da leggere, di smaltire centinaia di ore di film in dischetti argentati, di scrivere e descrivere ogni piccolo particolare vissuto, anche se non frega a nessuno, neppure a me.
Ho decine di ricette da provare, migliaia di siti da visitare, terabyte di software da testare, programmi da scrivere, oggetti da catalogare e faro’ tutto, tutto questo per domani.
Non importa che nulla sia vero, e’ lo stesso che niente cambiera’ ma il tempo serve anche per illudersi, dona opportunita’ per ingannarsi e una volta tanto, scegliendo coscientemente di farlo.
Ora ti sembro pi

Cornice del forse

E’ come se fossimo partiti tutti con tempo e risorse limitati affinche’ si potesse realizzare il meglio possibile, quanto fattibile, tutto lo sperabile.
Poi c’e’ sempre qualcosa che mette fine alle infinite opportunita’ e dove si e’ si e’.
Eccoci quindi adulti e in un secondo il tavolo da gioco muta in qualcosa di inedito e diverso chiamato -fai il meglio con quanto possiedi-
Non e’ peggiore del precedente, solo diverso.
Non e’ vendere l’anima, e’ semplicemente sostituirla con una nuova.
La nuova ricorda la vecchia e la vecchia arranca ogni tanto sulla superficie pretendendo ricordo e rispetto, tolleranza e nostalgia.

Succede che qualcuno non acquisisca mai la nuova anima e altri non ricordino la vecchia e cio’ e’ innaturale, straziante, doloroso, molto doloroso.
Tanti ne soffrono, molti non comprendono il disagio, le voci che non fanno dormire, l’incessante bisogno di qualcosa, la fame di esistere che non sazia mai, non soddisfa mai, impaludati in giorni eccessivamente intensi per non pensare, per non voler capire forse.
Andare avanti, che altro mai, cos’altro resta e consolarsi, se consola, di essere comunque vivi, solo un po’ diversamente.

L’uomo che regalava canzoni

L’uomo che regalava canzoni non sapeva comporre. Si accontentava di vagare attorno ai suoi soli come un pianeta arido. Non conosceva alcun accordo eppure nessun accordo gli era sconosciuto.

L’uomo che regalava canzoni quando regalava canzoni riceveva solo dei grazie e nessun sorriso.

L’uomo che regalava canzoni andava spesso sul suo balcone e respirava aria fresca. Oltre le colline il sole si spegneva e non sapeva che pensare. In quel momento c’era sicuramente qualcuno che guardava quel sole sorgere ma questo non lo consolava. Non provava tristezza o solitudine eppure non riusciva a cavalcare quei raggi pieni di vita.

L’uomo che regalava canzoni piangeva poco ma quando lo faceva le lacrime gli bruciavano il volto come colate di piombo. Egli non lo faceva vedere eppure non si nascondeva. Come un bambino andava nell’angolo piu’ lontano della stanza e aspettava che qualcuno venisse da lui e quando nessuno veniva chiudeva gli occhi e si immaginava un nuovo gioco.

L’uomo che regalava canzoni era pesante ma un tempo correva piu’ veloce di un levriero. Aveva un bellissimo paio d’ali ma ormai non sapeva dove volare e branchie per le profondita’ piu’ oscure, ma non sapeva che farsene mentre sguazzava nella pozza in cortile.

L’uomo che regalava canzoni sognava laddove gli altri ballavano. Un tempo era stato in quei luoghi e gli erano piaciuti. Ricordava feste e danze. Ricordava viali alberati con strade misteriose e suadenti. Aveva percorso quelle strade ma era diventato stanco e si era fermato sotto un pino, uno dei piu’ alti e possenti ma questo non bastava a proteggerlo dalla pioggia e dal freddo.

L’uomo che regalava canzoni aveva nelle scarpe un ritmo tutto suo.

Lo zio Agostino

Ognuno ha in famiglia uno zio Agostino.
Lo zio Agostino si fa vedere durante le feste e le grandi occasioni, sempre perche’ invitato, mai per sua iniziativa.
Dispensa grandi sorrisi di circostanza e fa pesare il suo non volerci essere con ogni movimento del suo corpo.
Parla lentamente, cadenza le parole esprimendo solo concetti di base, riducendo l’interlocutore a un minorato mentale dopo pochi secondi.
Le donne di casa sono le uniche a cercare un varco nella perfidia, sforzo sempre vano ma dovuto, affinche’ la natura materna abbia sfogo e compimento.
Gli uomini no, non ignorano ma parlano tra loro, con voce stentorea da farsi sentire e perche’ no, sperare di coinvolgere, magari sulla propria linea di pensiero.
I bambini odiano lo zio Agostino.
Egli li ignora con la forza dell’intolleranza e loro lo sentono, lo percepiscono ma peggiore e’ il contatto diretto ove lo zio ti osserva con lo sguardo piu’ ironico e falso che possiede, mostrando un’accondiscendenza viscida e unta, generata dal fastidio piu’ totale.
La sua voce diviene sciroppo marcio che scivola nelle orecchie, blocca ogni tentativo di interazione successiva, crea disagio che in giovane eta’ muta presto in timore.

La vera potenza dello zio Agostino e’ invero a tavola.
Nessuno lo ha stabilito ne’ deciso ma sempre suo il primo piatto, portato dalla donna piu’ anziana.
Egli lo osserva fastidiato, solleva lentamente la forchetta. Il silenzio dura un istante ma il peso specifico e’ altissimo. Assaggia.
Lo zio Agostino ha un suo metro di valutazione espresso in ordine inverso dai comuni mortali.
Cio’ che adora viene liquidato seriamente e fastidiosamente con affermazioni perentorie del tipo “manca sale” oppure “la carne non e’ buona”.
All’opposto, quando non gradisce qualcosa seppur estremamente raro che avvenga, il sorriso si fa enorme e carico di pieta’ come a dire “ti perdono perche’ non sai quello che fai”.
In mezzo milioni di sfumature, di parole, gesti, sorrisi.
A questo punto si scatena il dibattito, per consolare la/le donna/e artefici della pietanza, ridotte ormai a cumuli di depressione.
Grande solidarieta’ dalle altre donne, capaci persino di rimbrottare verso lo zio Agostino sempre pero’ con tono materno, indulgente e un poco sottomesso mentre gli uomini si dividono tra il pro e il contro, a maggioranza pro anche se con estrema cautela, con pacatezza e una sottile ricerca di complicita’ del tipo devodareragioneallamogliemalapensocomete.
Tutti sanno che lo zio Agostino adora quei piatti, ma come un grande libro o un grande film di cui conosciamo gia’ il finale, ci si fa comunque trascinare nella finzione come fosse vita vera, perche’ lo zio Agostino sa condurti nel suo gioco ammaliatore e raffinato.
Lo zio Agostino non esprime mai altri giudizi, solo al commiato rilancia con tutti i denti possibili i complimenti alla cuoca ed e’ qui che la confusione si fa grande, nasce il dubbio che davvero non abbia gradito e come un getto di acqua gelata, sferza le volonta’ a fare ancora meglio la volta successiva, dimenticando che il meglio e’ gia’ stato raggiunto e che la perfezione e’ solo un gioco dell’anima.

Da tanto tempo lo zio Agostino non c’e’ piu’ e ambisco prenderne il posto.
In parte riesco; i bambini mi temono, le donne tengono per me il migliore riguardo, gli uomini bendispongono ma in cuor mio so di non possedere la dosata cattiveria, il sano cinismo, la regolata crudelta’ e non per ultimo, l’essere un figlio di buona donna al punto giusto.
Con gli anni miglioro, cresco di abilita’ ma lo zio Agostino e’ inarrivabile, lo zio Agostino e’ assurto al ruolo di leggenda, lo zio Agostino e’ unico e immenso.
Ciao zio Agostino, sarai sempre il piu’ grande.

Il Re delle mucche

Perche’ continuo a farmi male trasponendo in me pensieri che non posso neppure immaginare.
Esorcizzare, estirpare quanto mi ferisce, ma cosa vuole dire sapere di non avere armi per combattere la propria battaglia, scagliarsi in braccio al divenire senza alcuna possibilita’ di sopravvivere…
Non c’e’ nulla da fare, quanto e’ inutile ogni gesto, ogni azione e pensiero.
La vita e’ un inganno e la trascorriamo come una menzogna nota, mentendo sapendo che ci stanno mentendo, che ci stiamo mentendo.
C’e’ un singolo punto in cui siamo contratti e per quanto si faccia, e’ quel punto a cui torniamo sempre.
Quanto ci si puo’ sentire soli quando il tempo finisce, mentre il futuro si disintegra, nel momento in cui tutto il tempo perduto ti viene sbattuto in faccia con inaudita violenza?
Che maledetta forza si deve avere per guardarsi negli occhi e dirsi che non e’ bastato, che non e’ servito, che… che e’ finita qui…
Ora che scopro che la mia musica di Natale combacia esattamente alla musica del commiato, ho persino un po’ di paura…
…non rimane niente…

Infinito futuro

Non so affrontare la morte.
Non e’ paura o timore, e’ proprio il rifiuto del concetto d’esistenza della morte.
Forse e’ la fortuna di averci avuto a che fare in giusta misura o semplicemente l’aver potuto evitare molte delle occasioni in cui mi ci sono imbattuto, ma oggi non ho modo o difesa su essa.
Magari e’ il non pensare mai a chi non c’e’ piu’ in termini di passato.
Non credo nelle tombe, nelle lapidi, nei sepolcri, i cimiteri non mi ispirano riflessioni, ricordi o considerazioni.
I cimiteri sono luoghi concepiti dai vivi per vivi che ragionano da morti e c’e’ qualcosa di insano e sbagliato in tutto questo ma forse e’ solo il mio pensiero che distorce la realta’.
Invero credo in cio’ che in uomo ha costruito, nelle sue opere, nei suoi lasciti, negli oggetti e nelle cose.
Credo nel suo dna, nel pensiero che ha trasmesso, nelle nozioni che ha insegnato, nell’esperienza che non ha disperso.
Credo nei momenti felici ancora negli altrui cuori, nei calici alzati, in cio’ che rimane, mai in quanto smarrito.
Mi piace pensare a chi e’ scomparso come pietra su cui erigere case o palazzi, monumenti o solo piccole capanne, piccolo o grande appoggio che sia, comunque vitale, fondamentale, solo utile forse ma necessario.
Il corpo e’ polvere ma il pensiero e’ energia, forza, carburante del divenire e cosa altro e’ mai piu’ importante rimanga di noi su questa terra.
Ugualmente penso a chi se n’e’ andato e certo ricordo, rimpiango e mi commuovo ma solo per brevi istanti perche’ e’ piu’ forte l’insegnamento, la forza impartita e la gioia che questi ricordi devono regalare.
Poi nelle notti in cui si pensa alla morte con troppa generosita’, chi ci ha preceduto e’ sempre li’ a sussurrare che di tempo ne rimane, che non c’e’ fretta, non c’e’ bisogno e accorciare cosi’ l’attesa dell’alba, rendere un po’ piu’ tenero il silenzio, un po’ piu’ caldo il giaciglio, un po’ piu’ pesanti le palpebre.
Certe volte il pensiero della morte aiuta a vivere meglio…

Presenze sconfitte

Il dovere di questi tempi ha un sapore quasi irresistibile.
In epoca di diritti, di permessi, di concessioni, di autorizzazioni, di immensa generosita’, di anime belle e candide, muovere passi nel giardino degli obblighi diventa pressoche’ irresistibile, a volte troppo.
Quanta voglia di prendersi qualcosa per se’, almeno ogni tanto, istituzionalizzare l’infrangere delle regole come avviene ovunque e far propria la regola -esisto quindi pretendo-.
Voglia di dirsi che non e’ debolezza ma desiderio, che non e’ cedere ma esigere, non egoismo ma giustizia.
Tanta voglia ma anche tante voci, voci dentro, voci antiche e profonde, forse di eta’ sbagliate ma mischiate con troppo sangue per estirparle dal pensiero, erba oggi cattiva, marcia e maleodorante, cariatidi polverose in disfacimento che ancora pretendono di dire cosa e’ doveroso fare… e ci riescono benissimo.
Rispettare comunque i miei doveri, almeno fino a quando avro’ bisogno di una coscienza per addormentarmi.
Solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora,
per i primi

Sono, sono da sempre

C’e’ ancora chi guarda in faccia le persone?
Tensione palpabile, bocche serrate, occhi socchiusi e un disprezzo diffuso di cio’ che esiste.
Invece di finirla di ingoiare spazzatura, abbiamo deciso di puntare al rialzo per mangiarne ancora di piu’.
Ora e’ tardi, ora non se ne esce, ora non e’ piu’ una scelta, ora e’ guerra per non subire.
Non parlo di capitalismo pro e contro, non perdiamo tempo in piccoli concetti mentecatti; e’ lo spirito, il pensiero, l’intenzione da curare.
Ragionare sullo scegliere non rinunciare, smettere di desiderare e accontentarsi del volere, seguire il lampo di luce e ignorare il fracasso del tuono.
Fermarsi, fermarsi solo per un istante, fare piccoli passi e come in un effetto da videoclip, passare rallentati tra una folla indifferente a se’ stessa e almeno ogni tanto, essere cio’ che si e’ e non cio’ che si crede.
Porca puttana, una intera generazione che pompa benzina, serve ai tavoli o schiavi coi colletti bianchi.
La pubblicita’ ci fa inseguire le macchine e i vestiti.
Fare lavori che odiamo per comprare cazzate che non ci servono.
Siamo i figli di mezzo della storia.
Non abbiamo ne’ uno scopo ne’ un posto, non abbiamo la grande guerra ne’ la grande depressione.
La nostra grande guerra e’ quella spirituale.
La nostra grande depressione e’ la nostra vita.
Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, divi del cinema, rockstar ma non e’ cosi’ e lentamente lo stiamo imparando

Centro dell’est

E se fosse lo spazio da disquisire, da mettere in discussione?
Analizzare il tempo al passato quando la direzione e’ nello spazio al futuro; cosi’ semplice l’equazione?
Continuare a ragionare in termini di corsia di marcia e corsia di sorpasso, di orari in cui circolare, di velocita’ e limitazioni quando le pieghe dello spazio risolvono piu’ delle pieghe del tempo.
Ci sono strade da percorrere diverse, nascoste, strade che non vediamo perche’ ragioniamo in due dimensioni, senza profondita’, senza discernimento tra vista e immaginazione, continuando a confondere le nuvole con fenomeni atmosferici.
Le nuvole sono treni e i desideri binari infiniti e se il biglietto costa una vita intera allora ne vale la pena, sempre, comunque.