Raggi di luna inopportuni rammentano che questo non e’ il mio posto, non a questa ora almeno.
Dolore allo stomaco per non ambire a qualcosa di meglio, forse piu’ duraturo, meno fugace.
Non mi aspetta granche’ oltre questa stanza ed e’ pensiero che paralizza e non lascia spazio a voli distesi e prolungati.
E’ che vedo al di la’ della cortina del giorno e certamente c’e’ qualcosa di piu’.
Forse e’ vero che sono abituato a tutto questo, ma e’ anche vero che non lo sono abbastanza per non sapere, non vedere, non immaginare.
Io aspetto, ti aspetto, so aspettare…
Categoria: dblog
Ora io ho
Stanotte ho sognato di camminare ancora per le strade di casa mia, quelle strade in cui sono nato milioni di anni fa.
E’ strano ripensandoci perche’ quelle strade le percorro ogni giorno eppure non mi fermo, non guardo piu’.
Rallentare e forse rivedrei quel paese dei sogni, quello sospeso tra il ricordo e l’illusione, quello col sole caldissimo a precipizio e l’odore d’asfalto rovente, quello con la neve sporca ai bordi strada e profonde pozzanghere nere.
Il paese con negozi che ancora vendevano qualcosa con un senso, coi bar pieni di fumo e qualche videogioco, fermate di corriere, portici da percorrere velocemente in bici e cantieri ovunque.
Erano anni in cui ci si spostava coi mezzi disponibili e lunghi tragitti a piedi davano il senso delle crepe sull’intonaco, delle scritte sulle colonne, della vernice scrostata dalle panchine e ogni passo conduceva a quelle giovani avventure fatte di amici per la pelle e nemici acerrimi, di ragazze da guardare con aria spavalda mentre qualcosa d’indefinibile moriva dentro, di motorini e odore di miscela bruciata, di crescere piu’ velocemente del mondo attorno.
Quelle strade sono oggi cosi’ vicine eppure mai cosi’ lontane e mi domando perche’.
Fermarsi anche solo in sogno da’ tempo di chiedersi cosa ho lasciato li’.
Amici sicuro, qualcuno in meno purtroppo, scuole piene di avventure e patemi, gente che a stento ricordo eppure vivissime, emozioni a 360 gradi e sensazioni che ancora oggi straziano e curano pelle, cuore, mente.
Ragazze mai divenute donne, strade ancora poco illuminate, case sgombre da genitori indaffarati, libri vicino al letto e miriadi d’eternita’ che ancora aleggiano da qualche parte.
Basterebbe cosi’ poco ripercorrere quelle strade eppure non c’e’ mai tempo, non c’e’ mai occasione, non c’e’ mai ragione…
Piu’ ci penso e piu’ scopro di temere cio’ che potrei trovare nel mio paese, cio’ che potrei perdere o forse cio’ che ho perso…
So many
Bright lights, they cast a shadow
But can I speak?
Well is it hard understanding
I’m incomplete
A life that’s so demanding
I get so weak
A love that’s so demanding
I can’t speak
I am not afraid to keep on living
I am not afraid to walk this world alone
Honey if you stay, I’ll be forgiven
Nothing you can say can stop me going home
La foto sullo specchio
Sento che il corpo cede e non lo spiego, non mi piace ma comprendo, conosco i motivi.
E’ che forzare ogni giorno le barriere dei propri limiti rende difficile vedere i bordi delle possibilita’ raggiungibili.
Basta cosi’ poco per non essere schiavi della propria determinazione, della necessita’ di proseguire ad oltranza.
Essere sulla cima dell’ego e non cedere il passo, puo’ essere stimoltante ma ingabbia dentro recinti d’acciaio.
Talvolta sembra da stupidi ma la determinazione e’ un muro in cui ogni mattone e’ fondamentale, ogni frammento regge la struttura o cosi’ pare e non importa sia vero o meno ma bisogna crederci e crederci tanto perche’ non si corre per meta’ percorso, non si sale meta’ rampa, non si scala meta’ montagna, non si suona un solo atto di sinfonia.
Tanto non mi fermo anche se dovrei, ma le regole non cambiano e senza dolore non c’e’ risultato.
Mai.
We’re not indestructible, baby better get that straight
i think it’s unbelievable how you give into the hands of fate
some things are worth fighting for some feelings never die
I’m not askin’ for another chance i just wanna know why
there’s no easy way out there’s no shortcut
there’s no easy way out givin’ in can’t be wrong
Tregua momentanea
Davvero e’ la confessione e non il confessore a dare l’assoluzione?
Credo di si, a questa eta’ si.
Le parole volano, volano, fuggono e non rimane quasi nulla neppure nella mente o nel cuore di chi ci ama piu’ profondamente perche’ non e’ colpa di nessuno, perche’ siamo uomini, perche’ ci paralizzeremmo se ricordassimo tutto, perche’ impazziremmo se dovessimo ripetere ogni gesto quotidiano avendo ben presente il giorno prima e cosi’ sorvoliamo, sfumiamo i ricordi, quanto dato e quanto ricevuto.
Anche le gioie vanno dimenticate perche’ se tutto e’ routine, la felicita’ non e’ da meno e avanti scordare per essere felici ancora.
Serve fermarsi quindi, raccontarsi e perdonarsi, solo un poco perche’ in fondo i torti maggiori li si infligge piu’ a se stessi che agli altri.
Fermarsi, raccontarsi e la scrittura e’ un mezzo, prova provata non di confessione ma di perdono, testimonianza del coraggio sufficiente a dirsi “eccomi qui e ora andiamo avanti”.
Trascinarsi su sentieri gia’ battuti e’ banale metalinguaggio quando le parole sul presente mancano o semplicemente pesano tanto da far paura, quindi perche’ no, e’ un mezzo come un altro.
Non c’e’ nulla da temere, si scivola come sempre ma almeno con un po’ di dignita’ in piu’ e se la vita non e’ un film allora rimarra’ almeno sceneggiatura.
Storia divisa
Mi accorgo e certo non senza sorpresa, che ti parlo di me molto piu’ oggi che in passato.
Strano a dirsi dopo cataste di frasi e parole, ma cosi’ doveva essere dal principio.
Il dialogo e’ sempre una mediazione, un accomodare, modellare il proprio pensiero sulla forma dell’interlocutore.
C’e’ una fase di traduzione che toglie senza arricchire, filtraggio di un’idea, scrematura di un concetto.
Nella mente e’ l’elettricita’ a guidare il passo e come un albero di luce, cio’ che pensiamo si evolve a velocita’ fantastiche.
Rami su rami, foglie, fiori che generano frutti che generano semi che generano piante e ancora rami, foglie, fiori alla rapidita’ di un battito di ciglia; come tradurre in suoni quando i suoni sono lenti, inadeguati, impacciati.
Per il monologo e’ lo stesso ma aversi di fronte semplifica perche’ rimane il solo esprimersi senza spiegare.
Forse e’ piu’ complicato comprendere, frasi decontestualizzate sono criptiche senza riferimenti ma il flusso deve condurre e non trascinare, l’idea assume forma anche coi gesti, non solo col corpo.
Forse e’ un viaggio un po’ piu’ complicato e non ho idea se ne vale la pena, ma la strada e’ questa, la percorro e mi piacerebbe non essere solo.
Looking out at the road rushing under my wheels
Looking back at the years gone by like so many summer fields
In sixty-five I was seventeen and running up one-on-one
I don’t know where I’m running now, I’m just running on
Sazia corsa
Sorvolare la citta’ in volo leggero e silenzioso.
Cercare tra le immagini, dei trascorsi di vite passate.
Ricordare con gratitudine la partenza, osservare con occhi appena aperti il panorama sottostante, pregustare l’acqua bollente sulla pelle e lo sprofondare quieto del rientro.
Palazzi deserti, strade deserte, auto abbandonate, fogli rabbiosi decollano in direzioni predeterminate da forze cosmiche eoni fa.
Essere li’ senza ragione eppure consapevole che ogni singolo gesto, ogni minima azione ha condotto al momento, al luogo.
Scappare dove, se non si e’ desiderato altro, che piaccia o non piaccia, esistere come resistere e attendere come reazione, come azione, come unica parola da pronunciare, come sola nota da emettere, come singolo passo da percorrere.
Scappare dove, quando la meta e’ giusta e i sensi errati, quando il cerchio si e’ chiuso, la strada e’ finita, il tempo e’ passato, i giorni son terminati.
Ora che ho visto, ora che so, ora che ho constatato che e’ vero, posso anche credere e fermarmi.
I can turn
And walk away
Or I can fire the gun
Staring at the sky
Staring at the sun
Whichever I chose
It amounts to the same
Absolutely nothing
Interno specifico
I miei sogni stanno diventando insani.
Guerre, soldati, armi, distruzione, macerie…
Amo la luce dei mie sogni pero’.
E’ sempre tramonto, ombre lunghe negli edifici, degli oggetti sui muri.
Polvere controluce, finestre che abbagliano, tante scale, tanti rottami, recinzioni, calcinacci e poi zone franche con gente spaventata, diffidente.
E’ il cielo che incanta, e’ il cielo algido che non spaventa, e’ il cielo che comunque non mi spaventa e che mi fa desiderare di dormire ancora, sognare ancora.
Bisogna che torni in quei luoghi…
Linee di energia
Amo la calma di certe notti.
Lo so, so benissimo che le notti sono tutte uguali, che i muri non centrano, che le stelle guardano il cosmo come sempre, che il mondo dorme e dentro, solo dentro i pensieri risiede la tranquillita’.
Mi illudo pero’ di essere condizionato dall’esterno, forse per sentirmi meno responsabile, forse assente a me stesso.
In queste notti mi rifugio nel jazz, nel minimalismo, talvolta nel pop piu’ lieve, altre in chillout laterale ed e’ acqua termale di pochi gradi inferiore al corpo, getti caldi sulla pelle, occhi chiusi, desideri pre-natali, epoche fatte di sensazioni e non pensieri.
Capita che un pianoforte mi scaldi come coperta d’inverno, come camino acceso con la legna che non sfiamma ma brucia piano e come fuoco balugina tra ombre misteriose ma non pericolose, arazzi di buio definiti dalla stanza illuminata a contornarli.
Spesso un pianoforte non giunge solo e piccoli gruppi d’archi, a volte quartetti, danzano tra loro come timidi amanti, a tratti smaniosi, altri timorati, sempre felici in un momento che pare eterno.
Nella calma di certe notti tutto e’ piu’ bello, tutto fa meno male, tutto e’ piu’ leggero, tutto tranne il presente che assume sostanza e carne, alfine palpabile e corporeo, persino amico.
Parole, parole per definire una singola nota sospesa qui innanzi, una sola nota in cui riporre la stanchezza, le illusioni, gli incubi, una sola nota ma a volte e’ grande abbastanza, a volte e’ forte abbastanza, a volte e’ abbastanza.
Arrivo da la’
Sovente penso al futuro.
Dipendera’ dalla passione per la fantascienza, forse e’ la voglia di sempre di guardare avanti o la ferma convinzione che il meglio e’ sempre a venire ma il domani mi affascina e incanta.
Mi accorgo di cadere nella trappola del futuro prossimo perche’ i libri come i film narrano di due, tre, quattro secoli da ora ed e’ gia’ uno sforzo enorme correre cosi’ avanti, immaginare l’evoluzione di cio’ che esiste e ancora di piu’ cio’ che non esiste ancora.
Ma se supero i limiti degli effetti speciali e della fantasia allora visito l’anno diecimila, centomila e perche’ non milioni, miliardi?
Troppo tempo per non avere paura, per non sentirsi annullare, disintegrare in un vortice che non da’ scampo ad alcun uomo.
Cosa rimarra’ tra diecimila, centomila anni dei grandi pensatori, scrittori, musicisti e scienziati.
Quali canzoni, quali libri, che giornali, proclami o ideologie e se di tutto quanto non rimarra’ neppure un eco nello spazio o nelle viscere della terra, che ne sara’ di noi?
Forse poca materia in qualche cellula ma importera’ davvero, magari quanto importa dell’avo cacciatore o raccoglitore.
Una resa incondizionata decisa sulla polvere che davvero siamo?
Tentazione ma in fondo si va avanti, fosse solo per il gusto di combattere, magari per il piacere di sentirsi vivi finche’ dura…
Pero’ penso al futuro, penso all’anno diecimila o centomila ed e’ meraviglioso non scorgere nulla, assolutamente nulla dell’oggi.
Osservando cosi’ avanti vedo altra polvere, questa volta cosciente di esserlo pero’ e per questo eterna nei pensieri e nelle membra.
Immensi spazi perche’ lo spazio e’ casa, tempo di conoscere perche’ conoscere sara’ finalmente un dovere, status solo verso se’ stessi.
Paure diverse dalle nostre, bisogni diversi dai nostri non certo assenti perche’ senza paura, senza bisogno non c’e’ evoluzione, non c’e’ crescita, non c’e’ progresso.
Liberta’ di vivere, scelta di morire, eternita’ come opzione ma non interessera’ a nessuno perche’ se l’infinito e’ astrazione, il definito e’ concretezza, garanzia dell’esistenza.
Solitudine, tanta solitudine perche’ ambita, quella che prospera anche in mezzo alla folla, solitudine cercata che non ferisce e quei pochi che cosi’ non vogliono, un universo di scelte innanzi.
Si, penso al futuro e la nebbia del presente si dirada, il buio del passato viene inghiottito…
prima Visione
Quando ho smesso di ridere?
Ora sono sicuro, ne sono certo: c’e’ stato un tempo in cui ridevo, ridevo davvero, ridevo come se fosse naturale farlo.
Magari un po’ scemotto, di certo senza giustificazione ma accidenti quanto era bello.
Quando ho confuso la gioia col ridicolo, la felicita’ col cinismo, il ghigno col sorriso…
C’e’ stato, c’e’ stato il momento in cui non ho piu’ avuto motivo per farlo, quando le ragioni sono crollate, il secondo che ha spezzato in due una esistenza.
Forse e’ quando sono finiti gli inganni o forse e’ bastato crescere o magari superare la misura minima di batoste prese.
Io non ero cosi’ o forse c’e’ stato un tempo in cui mi sono illuso di non esserlo.
Parlo, parlo, parlo, ma per essere felici, per ridere come non ci fosse altro al mondo, bisogna rischiare il dolore e questo no, a questo non sono ancora pronto, non lo sono piu’.
Listen as the wind blows
from across the great divide,
Voices trapped in yearning,
memories trapped in time,
The night is my companion
and solitude my guide,
Would I spend forever here
and not be satisfied?