Giuro, volevo raccontare con lunghe iperboli lisce e lucenti.
Volevo inventare parafrasi innovative e degne di carta stampata, volevo fotografare l’animo umano con figurazioni originali ed innovative, ellissi sottintese ma grandiose nel rivelare cio’ che e’ nascosto per essere rivelato.
Volevo, si volevo, giuro che volevo e da ore ci pensavo e mi aiutava farlo perche’ la rabbia, quella vera, quella che ti cresce dentro come gas mefitico e incandescente, aveva sfogo e controllo, almeno in parte, solo cosi’.
La rabbia espande la materia, la realta’, lasciando aria, lasciando vuoto e lacrime secche e… fa male, cosi’ male.
Infiniti veli solo per attutire giuro poi…
…poi chi se ne frega.
Davvero, chi se ne frega di iperboli, ellissi e veli.
Chi se ne frega di raccontarsi, di spiegarsi, di citarsi.
Chi se ne frega, tanto alla fine torno sempre qui e il mondo gira comunque, la musica gira comunque, quel cane idiota la’ in fondo abbaia comunque e niente, niente, niente cambia mai comprese queste mura, questi vetri, l’algido suono del silenzio e la rabbia, la mia, sempre quella, solo quella.
Words like violence
Break the silence
Come crashing in
into my little world
Painful to me
Pierce right through me
Can’t you understand
Oh my little girl
Categoria: dblog
Treno oltre le colline
Ore 13,15 circa e il sovraccarico.
Mi piace quando avviene, il sovraccarico intendo.
In certi momenti e’ troppo, decisamente troppo e come per Atlantide, il fardello diviene insostenibile e allora che rimane?
Soccombere?
Puo’ funzionare, servire a volte, spesso inevitabile, a momenti auspicabile, utile quanto basta.
Come una bastonata in pieno viso, un’esplosione di dolore e inconsciente totale riposo.
Forse artificiale ma a chi importa; a noi la perfezione fa schifo…
Combattere?
Tremenda, fatica tremenda, rimandare l’inevitabile per uscirne piu’ a pezzi di prima, bagnarsi nella poltiglia di un misero autocompiacimento che dura il tempo di raccogliersi dalla fredda terra e niente piu’.
Poi diciamocelo, gli eroi oggi sono ottuse macchiette giuste per la seconda serata televisiva.
Adattarsi al sovraccarico questo si.
Non e’ facile per niente ma quando riesce e’ sempre eccitante e misterioso.
Le luci si abbassano per un momento, come al passaggio di un portale e l’ambiente circostante non e’ piu’ lui malgrado le apparenze.
Strizzare gli occhi per difendersi da bagliori che non esistono e isolare quel suono ad alta frequenza che penetra nel cervello come una freccia di diamante e a quel punto, solo a quel punto in cui ogni sguardo poggia su un consueto alieno, quando si smette di riconoscere il quotidiano, allora i pensieri si sfaldano, si sciolgono come bitume a ferragosto e tutto si adatta, l’immenso peso poggia dolcemente al suolo sul morbido ego duttile e malleabile.
Poi il buio, reset totale del sistema, azzeramento sinaptico.
Tacciono i muri, i volti, tutti i ieri e i domani a quando verranno.
Meraviglia del non esserci mai stato e stupore del giungere ancora e tutto e’ nuovo, tutto diverso, vergine mondo da esplorare col desiderio.
Nuova partenza e se in breve macigni di poco prima tornano attuali, aiutano nuovi occhi e nuove orecchie, nuove energie, vecchio spazio ripulito e lucidato, non piu’ largo, non piu’ capiente, non piu’ accogliente.
Riorganizzato, rinfrescato questo si, aria nuova in ambiente stantio e se nulla cambia, forse tutto cambia, forse i nuovi sensi danno una nuova visione del se’ ed e’ sempre una partenza, un’ottima partenza.
Carta ingiallita troppo in fretta
E’ forse il viaggio piu’ importante della meta?
Perche’ no, potrebbe anche essere in fondo.
Certamente e’ da discutere quale sia la meta o forse ancora piu’ importante, se questa meta esiste e se ha senso raggiungerla.
Ammetto che gli arrivi mi lasciano perplesso perche’ qualcosa finisce, finisce sempre e se inizia e’ a scapito di altro.
E’ che si e’ perso il gusto del viaggio, questa e’ la verita’ e nella opulenta corsa quotidiana, nessuno ci ha insegnato a guardare da cio’ che ci contiene.
Non mi si parli di tempo, di circostanze, di opportunita’; e’ educazione che manca, illogica conseguenza di ingranaggi sbagliati nella giusta macchina che se ne dica.
Poi non seguo nei fatti i miei pensieri e me ne pento, ma sovente e’ lampo che manca e arriva, si arriva qualche volta.
Cosa mi trattiene questa sera dal respirare aria calda in compagnia di auto lontane, gatti randagi e rami agitati?
Forse scrivere, forse la voglia di dormire, il desiderio di leggere ma piu’ di tutto l’insano vincolo di chi ancora non sa dare valore al proprio tempo, di chi non ha idea che il tempo e’ quanto di piu’ prezioso abbiamo.
Are you such a dreamer?
To put the world to rights?
I’ll stay home forever
Where two & two always
makes up five
I’ll lay down the tracks
Sandbag & hide
January has April’s showers
And two & two always
makes up five
Stagioni bambine
Ricordo tante notti simili e non mi dispiace farlo una volta tanto.
E’ che ci sarebbe troppo davanti, dietro, dentro che richiede attenzione, studio, pianificazione, preparazione, concentrazione e potrebbero persino bastare le energie ma no, non e’ giusto, oggi proprio non e’ giusto.
Dipendera’ forse da una giornata che a conti fatti, si regge sullo stentato equilibrio del bene e male, ore in bilico tra cio’ che e’ stato fatto e quanto e’ da farsi, occasioni vinte equivalenti alle perse.
Troppe, troppe prove, troppi interrogativi, troppi esami, troppi ostacoli e va bene cosi’, sempre va bene cosi’ perche’ l’ho scelto, perche’ non sono mai fermo, perche’ nessuna pietanza e’ mai insipida ma oggi forse il limite e’ stato superato e finche’ ho forza per farlo, decido di fermarmi.
Trovo dentro quella capacita’ perduta di scivolare come fiume nell’alveo e mi prendo un minuto o forse due.
Prima pero’ lascio queste parole perche’ malgrado tutto, oggi sara’ solo un giorno come tanti ma quando mi sentiro’ sconfitto e’ bene sapere che in frangenti simili posso vincere e quando esultero’ e’ bene ricordare che si puo’ sempre cadere.
I know I can never return
To the time of hope when I was born
Let the strength of peace run through my hand
When we walk away from the stormy shore
Then I will be afraid no more
And now I’m sure of where I stand
Let the strength of peace run through this land
Petali grigi
Ripenso al Nosferatu di Herzog e lo trovo dolorosamente perfetto.
Si, scorro le immagini e le sovrappongo alle mie erigendo un ponte lontanissimo, da percorrere e scoprire, talmente importante da spaziare nei desideri arditi.
Cercare l’assenza di colore nell’opposto dell’abbondanza e’ un approccio piu’ emotivo che pratico, e’ riprodurre il complesso di suoni, fotografia e scienza di un movimento col singolo scatto.
Come, come, come, qualcuno mi insegni come rendere quadro il Sanctus, elevare a universo l’orrenda e terribile natura, talmente orrenda e terribile da rendersi archetipo di ogni bellezza al divenire.
Wagner, tra i piu’ grandi se stupidi uomini fossero onesti con la ragione, pare nato per quei monti, quelle acque, quei macigni, licheni.
Mai veduta morte piu’ viva, vita piu’ morta.
Nubi e pioggia, sole che e’ luce ma non calore, non colore.
Poi quella terra spazzata dal vento, sabbia dura come tundra destinata a conservare quelle impronte cosi’ come si sedimentano nella memoria dei momenti memorabili, palpito senza tempo come la figura sempre piu’ lontana, come brina tagliente a fil di suolo.
Incantato e stupito ed ammaliato da immagini che il tempo non sa invecchiare anzi rafforza nei giudizi, immortale e grandioso, osservo e ringrazio estasiato, umile, felice del solo esserci e desiderare.
Il tempo e’ un abisso
profondo come lunghe e infinite notti.
I secoli vengono e vanno
non avere la capacita’ di invecchiare e’ terribile…
La morte non e’ il peggio,
ci sono cose molte piu’ orribili della morte.
Riesce a immaginarlo?
Durare attraverso i secoli
sperimentando ogni giorno le stesse futili cose…
Sguardo senza fuga
I ricordi possono essere in bianco e nero?
E la musica? La musica puo’ esserlo?
I sogni sono a colori, il passato non lo e’, non sempre.
Come nelle pellicole di Soderbergh e’ il luogo e’ il tempo a virare le immagini, e’ la consistenza, e’ l’espressione del contenuto che trasluce o stinge.
Consueto, normale in fondo ma la musica, gli odori, i movimenti sempre un po’ a scatti, traslazione di quadri con effetto morphing, non so, e’ strano.
Mi rendo conto che vale la sensazione, il lampo espresso nella frazione del percepire e la forma sfuma appiattendosi sullo sfondo livellando contorni e particolari e nel marasma emerge solo colore e solo il colore marca la valenza e la consistenza del ricordo stesso.
A volte e’ come osservare in controluce attraverso immensi finestroni affacciati sul fuori, abbagliante sensazione di intuire senza capire, rilassante immergersi nell’incertezza dei ricordi.
Rimangono i pulsanti premuti, premuti dentro e diramazioni a miliardi collegano altre diramazioni e se osservo bene, osservo abbastanza allora capiro’, certo che capiro’…
Luci solitarie, pallide
Sovente vado sulla spiaggia virtuale, specie quando mi sento molto stanco e un po’ solo.
Attivo la mia minuscola frazione di mondo fittizio e non e’ finzione la pace che provo, non e’ una promessa lo spirito sospeso in un luogo cosi’ ambito.
Autunno probabilmente, mattina giovane, mare calmo, cielo coperto da nuvole pesanti portate da vento leggero ma costante.
Sole velenoso, stanco molto stanco, con luce del doverci essere ma bramoso di oscurita’.
Sento gabbiani e li vedo sfrecciare alti, veloci, unica presenza viva oltre al vento, meglio brezza e la loro presenza mi conforta, sfuma il confine tra realta’ e fantasia.
Sabbia compatta sotto i piedi e posso sentire affondare le suole tra lo scricchiolio del suolo che cede debolmente e mi aggiro tra rocce, alghe e legno spezzato.
Non provo la tristezza che dovrei davanti a quel mare minacciosamente tranquillo e senza vita; all’opposto ne sono affascinato e placidamente osservo, mi placo, ritrovo il gusto del viaggio, di quelle case abbarbicate sulla collina e delle vite che dovrebbero abitarle.
Niente e’ vero ma se la finzione e’ un gioco dei sensi, allora i sensi si specchiano davanti allo schermo, dentro allo schermo, dentro me…
I look to the sea
Reflections in the waves spark my memory
Some happy, some sad
I think of childhood friends
And the dreams we had
We lived happily forever
So the story goes
But somehow we missed out
On the pot of gold
But we’ll try best that we can to carry on
Solo di sole
Florinda Bolkan e’ la carne del suo tempo.
Tesa, nervosa, disperata.
E’ anche diversa dal suo tempo pero’, perche’ bellissima, raggio di sole nel buio, ombra rinfrescante nel solleone.
C’e’ in lei una disperazione profonda, l’inquietudine manifesta nella tensione dei muscoli, il lampo fulminante che attraversa lo sguardo e ogni movimento narra di notti insonni, di domande senza risposte, di amore non ricambiato.
Si muove ed e’ fluido mercurio che scivola vizioso tra gli interstizi delle mattonelle, tra le note della colonna sonora, tra i desideri dello spettatore.
Florinda Bolkan non ha eta’ perche’ eta’ implica tempo e tempo implica mortalita’ e quando la donna e’ astrazione, dea di tempi antichi, genitrice di terra, acqua, fuoco e vento allora la morte non la tange.
E’ una creatura senza estetica perche’ rifugge la barbarie delle classificazioni, icona di una femminilita’ viva soltanto nell’ipotesi di un mondo passato, transizione tra l’idea e la realta’ di donna, segreto di un desiderio mai svelato e per questo piu’ vero e caldo e intenso.
Archetipo, sovente ideale e si’ idealizzato, topos che trascende e attraversa gusti ed epoche, astrazione e non per questo meno reale e meno suadente e se e’ vero come e’ vero che non sto parlando di una donna ma della sua idea, allora le mie parole sono per Florinda Bolkan e’ vero ma ancora piu’ vero per colei che e’ unica, immensa e per sempre.
Lezione di confine
Mi muovo agile e veloce e ancora mi diverte farlo.
Ancora c’e’ un senso perche’ ancora mi diverto, ancora mi preoccupo, ancora mi esalto ma piu’ di tutto mi sorprendo.
In ogni nuova interazione posso cogliere frammenti di codice nuovi e stimolanti, forse simili tra loro ma come una neonata stella scoperta tra miliardi, infinite ipotesi e possibilita’ si aprono innanzi agli occhi e i pensieri si riordinano in nuove configurazioni.
La logica e’ perversa quando si schiude inavvertitamente e urla di essere intesa, decodificata, tradotta ed applicata.
Schegge da ricomporre in piani tridimensionali e il pensiero non puo’ bastare se non prima riconfigurato e riadattato.
Nuova lingua in nuova sintassi, costrutti alieni eppure elementari in semplicita’ di un dialogo da comprendere solo in funzione del risultato.
Si, ancora mi sorprendo ed e’ tutto in un a realta’ in cui la ricerca del basilare e del precostruito domina le altrui menti e mentre immagino nuove strutture sempre piu’ complesse, ricombino e decostruisco cio’ che ho imparato per nuovi schemi, nuove figure, nuovi e magnifici ordini di comprensione.
Innocente ancora
Software in multitasking che lavora, elabora, gestisce, vortica in tutta la rete.
Io osservo, un po’ impaziente, un po’ stupito, molto calmo e cosciente di cio’ che avviene.
In fondo ho sempre voluto questo e si e’ vero, sono un privilegiato ma l’ho voluto con una intensita’ forse eccessiva ma tanto vera da divenire palpabile, a volte credo persino vivente.
Troppa letteratura fantastica per non voler appartenere a questo mondo, troppo desiderio di futuro per non vivere poche schegge nel presente.
Pero’ e’ curioso…
Decine di programmi in funzione, sparsi in ogni dove ma assoggettati sotto le dita, eppure scrivo, racconto di qualcosa che si nutre della ripida collina delle vita, dove gli elettroni sono astrazioni matematiche e null’altro.
Essere in luoghi cosi’ lontani tra loro e scivolare, scivolare tra le esistenze assottigliando sguardo e sensazioni, orientare i punti cardinali dell’egosfera su topologie costruite su dimensioni note.
Un po’ mi sorprendo ancora, ma e’ questo poco che da’ senso al resto.
It is the night
My body’s weak
I’m on the run
No time for sleep
I’ve got to ride
Ride like the wind
To be free again