Non ricordavo quasi nulla di quel film eppure mi rimase qualcosa addosso quando lo vidi.
Sospeso sull’acqua, plastica cedevole e cielo terso a tenermi lontano dal fondo.
Musica lontana, quasi soave ma il caldo a renderla tale e vento fresco suo alleato.
Non ricordavo praticamente nulla di quel film eppure ho ripensato a quel cielo, a quella piscina, a quel caldo.
Cercavo film, film perduti, non ricordavo quasi nulla di quel film eppure mi e’ tornato alla memoria ma non sapevo cosa volere, come trovare.
Uno spot, un titolo e ho saputo senza saperlo, pochi secondi ed era il mio film, anche se non ricordavo quasi nulla.
Si, non ricordavo quasi nulla se non che era una notte in cui il solo pensare al domani faceva male, faceva malissimo.
Era una di quelle notti in cui ogni stanza e’ troppo piccola, ogni rumore e’ frastuono, ogni pensiero ago rovente nella carne.
Anche un solo film puo’ essere l’unica salvezza, la sola luce.
Quel film non lo fu e lo disprezzai per questo ma ugualmente rimase qualcosa addosso.
Non so, non so proprio di che si tratta ma so che si trova in quel cielo e quella piscina, in qual caldo e in quel vento, in quel dolore e nell’esserne emerso ancora una volta.
Categoria: dblog
Transistor lineare
Chiudo gli occhi e cerco un posto distante, non troppo distante, solo un po’ distante.
Ho gia’ girato tutti i posti ma non importa, ci torno comunque prima o dopo, tanto non e’ mai tardi, in fondo non e’ mai tardi, sempre e mai non sono tardi.
I posti sono luoghi ma anche tempi e colori e ho visto tutti i colori ma non i tramonti, quelli no, ne mancano tanti e non c’e’ mai tempo per farlo e ho paura di non riuscire a vederli tutti.
Macerie e fondamenta sulla sabbia si confondono e si mescolano, danzano nella calda luce su ritmi sintetici e se un po’ di noia avanza, ne afferro l’anima sublime e mi inchino ai privilegi che la posizione comporta.
L’intorno va bene, l’intorno funziona, l’intorno luccica come oro ma ho gli occhi stanchi, le gambe stanche, i pensieri stanchi e lascio che la meraviglia mi sfiori senza ghermirmi, luce al neon che non nuoce ma non scalda, cielo artificiale perche’ il cielo vero appartiene ad altrui cuori.
Questi sono piccoli posti ma sono miei, sovrano di niente col sogno di non possedere nulla, ma che sia almeno un nulla di chi amo.
Della tua vita
mi regali un attimo
e io so che malgrado il passato
e malgrado il futuro
questo istante che e’ la nostra vita
e’ l’attimo in cui mi ami
Ho diviso un istante
L’universo finira’ con me: non mi spaventa, e’ quasi conforto, protezione.
Non c’e’ paura, non c’e’ mai nella consapevolezza assoluta, nella verita’ indiscutibile.
Dovrei sentirmi molto solo ma non lo sono perche’ il futuro converge col nessun futuro, bianco e nero, acceso e spento, no mezzetinte o penombre a creare indecisione, sospetto, titubanza.
E’ talmente facile, cosi’ facile, come coprirsi gli occhi e non vedere piu’ alcuna luce, tapparsi le orecchie e lasciare i rumori lontani da se’.
Cerco ragioni per smentirmi ma non riesco a trovarne.
I lasciti esistenziali sono talmente impegnativi, cosi’ pesanti e pressanti, responsabilita’ che trascendono i doveri, impegno verso un’umanita’ indifferente, troppo protesa al perfetto e all’eterno per bazzecole come la mortalita’, cio’ che transita e non stazione, non prolifera, non germoglia.
Sono un’istantanea nel flusso d’immagini, fotogramma in fusione bloccato sulla lampada, colori brillanti e luminosi poi bolle marroni e odore di bruciato.
Un rivolo di fumo e cosa rimane, forse ombre sulle pareti, parole sospese, canzoni dimenticate, qualcuno che mi ricordi, a cui ho dato qualcosa forse…
The innocence of sleeping children
Dressed in white
And slowly dreaming
Stops all time
Slow my steps and start to blur
So many years have filled my heart
I never thought I’d say those words
The further we go
And older we grow
The more we know …
The less we show …
Rimozione sicura
Potrebbe anche essere la notte giusta per arrendermi, almeno un poco.
Abbandonarmi nella fragilita’, cedere alla debolezza, permettermi di non essere all’altezza, concedermi il lusso di una resa incondizionata.
Cio’ che vorrei di piu’ ora sarebbe qualcuno mi sussurrasse che tutto e’ sotto controllo e gestito senza di me, che ogni pezzo si incastrera’ con gli altri magicamente e senza alcuno sforzo.
Vorrei un lungo fiume e una barca su cui riposare mentre la corrente ed altrui braccia traghettano la stanchezza delle braccia, delle gambe, dei sensi, lontano da me.
Smettere di vedere il giorno con un grandangolo ed essere preso per mano, guidato con lenti movimenti e sicuro non preoccuparmi di ogni passo da compiere.
Eccomi quindi solo sul palco, tutte le luci puntate su me, dai riflettori odore acre di polvere bruciata e l’immensa sala innanzi allo sguardo.
Un bell’inchino alle sedie vuote, ai loggioni deserti, un umile passo indietro e ancora avanti per ringraziare nuovamente, si spengono le luci, lento scendo le scale del palco e senza esitazione mi incammino verso l’uscita.
Il palco e’ vostro, senza rancore, almeno per oggi voglio fare lo spettatore lasciando i protagonismi a ieri e al domani.
Io che non ho trofei
dentro i miei musei
nei tornei che non ho vinto
certo o incerto se ogni d
Finale
Cosa rimane del giorno quando il giorno non e’ mai stato tuo?
Come il charlestone di Connie Kay, batte costante il senso di qualcosa che e’ andato perduto, meglio sprecato, forse inutilizzato.
Eppure intensa, eppure riposante, eppure vitale, eppure tranquilla, bianco e nero, ventaglio emozionale vissuto, quindi che chiedere di meglio?
E’ nel senso e controsenso a ben rifletterere e in essi scopro di non essere stato ringraziato abbastanza e di non averlo fatto a mia volta.
Ingratitudine, a volte solo carenza d’educazione e ci si domanda se e’ infantile bisogno di soddisfazione o meritato riconoscimento di valore umano e professionale.
Ancora una volta lasciare correre in manifesta superiorita’ o esigere inutile seppur giusto tributo, domanda a sua volta da scivolare tra le dita come fastidiosa polvere grigia e irritante.
A mia volta in difetto invero di ingratitudine, di un solo grazie ma importante, il piu’ importante perche’ certe persone non sono carne, ma fondamenta su cui poggiare il giorno, le opere, tutti i grazie non ricevuti…
Voi, voi che noi amiamo. Voi non ci vedete, non ci sentite.
Ci credete molto lontani eppure siamo cosi’ vicini.
Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi e’ lontano,
siamo messaggeri che portano la luce a chi e’ nell’oscurita’,
siamo messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono.
Non siamo luce, non siamo messaggio, siamo i messaggeri.
Noi non siamo niente. Voi siete il nostro Tutto.
Prolungare
Cielo coperto e ampi sprazzi di blu, sole coperto ma luce a sufficienza.
Pomeriggio avanzato, forse ora di rientro dal lavoro, pedonali deserti, un bambino lontano in bicicletta e qualcuno avanti lui, forse la madre, una persona non ha fretta di uscire dal campo visivo, probabilmente non ha fretta affatto.
Prato in ricrescita, foglie minuscole su alberi ancori spogli; la primavera sta arrivando.
Architettura semplice, essenziale ma atipica, certo funzionale nell’esprimere estro non appariscente, elemento di disturbo al piatto territorio, in qualche modo fusione non integrata ma inventata per sobborghi che chiedono di muoversi lenti, a passo di uomo.
D’istinto penso a Bach e alla sua Sinfonia N.ro 3 ma e’ manifesto di anima non fotografia, ripiego quindi su una fuga magari il Preludio e Fuga in re maggiore.
Ci siamo quasi ma troppa enfasi vira i colori su sfumature inopportune quindi perche’ non la Fuga N.ro 8?
E’ perfetto ora, troppo perfetto per riuscire a staccare gli occhi da quella singola immagine, fotogramma di un mondo impossibile, scrigno di tesori che non possiedero’ mai.
Desiderio intenso, profondissimo, dolorosissimo ma non e’ invenzione, non e’ illusione e gia’ aiuta a guardare un po’ oltre, solo un poco, quel tanto che basta per una nuova alba, una nuova canzone, un nuovo sorriso.
Nascondendo il respiro
Avrei bisogno di un po’ d’inverno, almeno stanotte.
Sento la necessita’ di provare freddo e di udire gelida aria sibilare tra le fessure, insinuarsi tra gli stipiti delle finestre, strisciare bassa sul pavimento e infine aggredirti tra un pensiero e l’altro.
Il gelo aiuta il silenzio a parlare, lo accompagna nel narrare storie spesso semplici ma importanti perche’ e’ nel vento ghiacciato che i racconti escono a danzare pattinando celeri nella stasi, senza paura, senza timore di essere scoperti perche’ col freddo le anime si rannicchiano in cerca di caldo, protette dal proprio tepore, chiuse in se’ stesse come gatti assopiti e sornioni, incuranti di quanto avviene, indifferenti a chi fugge, a chi volteggia, a chi semplicemente non teme di rivelarsi.
Ci vorrebbe gelo intenso e polvere sospesa nella luce dei lampioni, minuscola materia che non appartiene piu’ a nessuno e per questo di tutti, forse inutile scarto o forse messaggera di quei racconti che si credono propri.
Chissa’, magari neuroni di cosmica mente, energia visibile nell’aria immobile e noi illusi di individualita’, inconsci ricettori di insieme universale, gia’ chissa’…
Forse e’ addentrarsi in sottorealta’ schiacciate dalle logiche premesse del mondo, inutili cerchi tracciati in ancora piu’ inutili slanci di indefinibile bisogno.
Ancora una volta non sara’ chiaro il come ma il cosa e’ lampante.
Il ghiaccio si confonde
con il cielo, con gli occhi
e quando il buio si avvicina
vorrei rapire il freddo
in un giorno di sole
che potrebbe tornare in un attimo solo.
Forse stanotte,
se avro’ attraversato
la strada che non posso vedere
poi in un momento
copriro’ le distanze
per raggiungere il fuoco
vivo sotto la neve.
Il lungo molo da percorrere
Il Ben Watt di “North Marine Drive” sembra ascoltato oggi per la prima volta e un po’ mi fa riflettere.
Non so se sia positivo o meno; sono talmente tanti anni che mi accompagna e l’ho tenuto vicino a me, accanto a me, stretto a me in lunghi giorni e cosi’ tante notti che pare qui da quando esisto.
No, non so se sia positivo tremare come una foglia sulle note di quel sax disperato e solo malgrado ne conosca le note meglio che la mia voce, non so se sia positivo far scendere un velo sulla stanza scarsamente illuminata e tuffarmi un tutte le ombre di ieri, di oggi, di sempre.
Se ripenso a cosa e’ cambiato da allora, trovo solo la premonizione dei bisogni futuri di quel mare gelato del nord, icona estiva fuori tempo, pesanti abiti da indossare per viverlo, grigio come abito naturale relegando i colori sgargianti al tempo dei turisti e li’ un arrivo, chissa’.
Un tempo vi trovavo solidarieta’, complicita’ disperata, un po’ di comprensione.
Oggi e’ piu’ amico, racconto liberatorio, dialogo sussurrato, un po’ di rassegnazione.
L’equazione torna, e’ la vita che non lo fa, quasi mai…
Crippled anger from a crippled brain
Crippled footsteps through a crippled train
Bloody headwound leaves a bloody stain
On a raincoat smelling from the rain
It’s the last train, it’s the last train home
It’s the last train, it’s the last train home
Libreria impolverata
Riconosco un solo profumo, ma quel profumo vale tutto cio’ che sono.
Non importa dove mi trovo o quanto tempo sia passato ma accade che la realta’ si contragga al momento in cui il profumo, no il Profumo, entro’ nella mia vita.
C’e’ l’inverno e il fuoco dentro, lenti tornanti, scale di legno e giorni che non posso dimenticare.
Ci sono segnalibri nella memoria, passaggi obbligati a cui sottostare davanti ai quali fermarsi e riflettere, ricordare, un po’ sognare, ancora chiedersi cosa diavolo si e’ divenuti, quanto si e’ invecchiati nel frattempo.
Piu’ ci penso e comprendo quanto tempo ho sprecato, occasioni gettate via per trovare quanto era li’, vivo e presente e allora sia catarsi e intesa con la disperazione di un ricordo mai arido, caposaldo di migliaia di azioni a venire.
Incantato, vorrei almeno una risposta, conferma nella rinnovata e mai doma fuga in un luogo meno doloroso, forse meno intenso e vivo, piu’ normale, ordinario magari, quando ordinario esalta e non deprime il concetto.
Il Profumo e’ ancora qui, qui con me, sempre con me anche quando lo dimentico, lo ignoro, lo nascondo ed e’ meglio non ci pensi troppo perche’ potrei scoprire che non ho mai avuto niente di meglio, niente di piu’…
C’e’ qualcosa lontano
Non ce n’e’ piu’ per oggi e probabilmente per qualche giorno ancora.
Perdere fa male ma vincere demolisce e non lascia molto a disposizione, nessuna riserva.
Il corpo si difende paralizzandosi in dolce calore mentre i pensieri rallentano, rallentano come batterie oramai esauste e il tempo scarta i sensi con scatto irresistibile.
Comunque ne vale la pena, continua a valerne la pena ma e’ lecito chiedersi verso quale direzione stia andando o almeno se stia prendendo abbastanza.
Adattarsi o accontentarsi, dilemma non scelta, risposta futura, forse temuta, certo scommessa, una di quelle importanti che non si possono perdere.
Il barlume nasconde particolari e ne rivela altri, gioco di ombre lunghe, niente da leggere, colori in sfumature di giallo ed eccessiva fede in cio’ che vedo, piu’ ancora in cio’ che vedro’.
Non dovrei stancarmi, nemmeno per concetti base, ma se devo dare un senso allora che venga dalla tranquillita’ di una corsa sul posto piuttosto che dallo strisciare furtivo sulle pareti di muri da costruire.
Arrive alive…
We’re heading for home
Before the dawn comes
Arrive Alive…
Eyes in the night
They’re keeping me right
They’re guiding me
Arrive Alive…
We’re heading for home
Before the dawn comes