Giorni intensi quelli passati eppure non mi e’ rimasto dentro il necessario per immortalarli, santificarli, idolatrarli.
Troppo realista o troppo poco?
Annoso interrogativo, superficiale interrogativo.
Mi domando cosa rimarra’ realmente e come mi vedro’ ripensandomi.
Sto diventando cosi’ freddo, cosi’ indifferente, asetticamente corazzato, spettatore in terza persona della mia giornata.
Continuo a credere in cio’ che credo, amare cio’ che amo, seguire quanto seguo e la fede resta immutata, il credo imperituro, il pensiero saldo e forte e grandi le energie per non fermarmi, per non temere nulla.
Le motivazioni, le motivazioni ci sono, sono importanti, sono tutto ma dipendera’ da questo cielo con troppa foschia ad ingrigire l’azzurro, forse quelle nuvole nere si stagliano innanzi la luna e ne soffocano la magia, forse l’erba non e’ abbastanza verde e i fiori mai troppo colorati e non so, senso di perdita, alone di vittoria che troppo assomiglia a pareggio se non sconfitta per ignorare le mura che mi circondano.
Da tempo il vittimismo del meritarsi di piu’, non alberga dalle mie parti anche se la resa del potere fare oltre, infastidisce oltremisura lo preferisco, lo prediligo nelle mie notti piene di accessivo e abbagliante me stesso.
Equilibrio in fondo e non sono sicuro sia un bene…
Sono arrivato a sospettare che il male e’ banale, dopo averlo letto
sono arrivato a non aver bisogno sempre e per forza del mio spettro
sono arrivato e voi eravate strani, zitti, immobili, non ubriachi
e non ho neanche capito se vi divertiste
Categoria: dblog
Reazione senza azione
Oggi sento addosso il tempo andato o buona parte di esso, non so perche’.
Dipendera’ dai giorni un po’ tranquilli che lasciano tempo ed energie per guardare e guardarsi meglio dentro e cosi’ svelare polvere, riviste accatastate, ragnatele e appunti ingialliti, angoli bui che normalmente declinano all’oblio.
Antichi ricordi, anche piacevoli perche’ no ma che messi li’ uno sull’altro fanno un po’ impressione.
I ricordi, gia’…
I ricordi non se ne vanno, non ci lasciano mai e neppure svaniscono come fantasmi alle prime luci dell’alba.
I ricordi sono schegge traslucide sempre piu’ trasparenti, ogni giorno meno visibili forse ma non per questo meno presenti.
Dimenticando, il fondo diviene sempre piu’ evidente e prima di esso le vicessitudini sottostanti, frammenti diversamente polarizzati che rotazione d’asse tramuta da nero inesplicabile a invisibile presenza.
Ricordare opacizza e concentra lo sguardo strato su strato e ogni ricordo cambia posizione nella scala delle visibilita’ e delle memorie e cosi’ si diviene cio’ che si vede in quell’istante in un turbinio temporale ed emotivo che puo’ stancare, puo’ schiacciare, puo’ ferire.
Poi e’ in fondo un gioco, banale stratagemma per non sentirsi soli e sperare nel controllo, sbracciare nell’aria senza annegare ed emergere forse piu’ rinfrancati, magari in affanno ma nuova aria nei polmoni di questi tempi e’ benedizione.
Dig for victory, go for gold
I don’t wanna die before I get old
And I wonder where I’m going to
There’s some way out, there’s some way through
But I’m lost, I’m lost, I’m down again
My direction is changing, which way,
Which way can I go…
Bugia imperfetta
Il mio amico mi parla e sento rassegnazione, troppa per poche ragioni.
Perche’ mi chiedo, quale linea si scavalca per ritrovarsi dopo cosi’… perduti.
Forse e’ come sonno che si perde dopo una certa ora o fame che declina in bisogno se troppo ignorata ma rimane tutta quell’amarezza, quell’incolmabile vuoto di chi sente di avere smarrito definitivamente qualcosa d’importante.
Un piede nel passato per non dimenticare chi si e’ stati, il rimanente nel futuro perche’ il tempo va in una sola direzione e nel mezzo la stramaledetta incapacita’ di farsene una ragione.
Domande, troppe, sempre troppe domande e spaventa pensare al giorno in cui una risata non bastera’ piu’ per risposta.
Abbiamo visto troppo e lo scontiamo con la consapevolezza di essere il prototipo imperfetto di una nuova razza di disadattati, in noi seme abortito che sogna di essere sequoia.
Epoche sbagliate, qualunque, in ogni dove e in ogni quando e si osserva attoniti cio’ che non si comprende, cio’ che non si e’ mai compreso anche se le ragioni sono diversissime.
Siamo bambini anziani, geneticamente fallati per la felicita’, inutili puzzle emozionali, vetusta elettronica mai entrata in commercio e sappiamo di esserlo, perche’ no, malcelatamente compiaciuti forse, fieri di inutile distinzione quando omologare, schierare e contrapporsi all’interno dello stesso stupido gioco e’ regola.
Capirlo giorno per giorno aiuta solo nella ricerca di fresca grotta dalla quale gridare al mondo intero; inutile e ridicola pretesa che vi sia un senso, una utilita’, un interesse.
Forse fa meno male se proprio il gaudio non e’ a mezzo e magari fosse sentimento e non grigia cortina sempre uguale, sempre testardamente compatta e impenetrabile.
Si forse o forse tutto quel dolore non colpisce, non segna perche’ i nervi non ricevono, non trasmettono, non s’interfacciano con la realta’ circostante.
Compimento ultimo o ultima possibilita’?
Temo che la risposta giungera’ troppo tardi…
Devi considerare la possibilita’ che a Dio tu non piaccia.
Che con ogni probabilita’ lui ti odia!
Non e’ la cosa peggiore della tua vita! Non abbiamo bisogno di lui.
Al diavolo la dannazione e la redenzione! Siamo i figli indesiderati di Dio e cosi’ sia!
Devi avere coscienza, non paura. Coscienza che un giorno tu morirai.
E’ dopo che abbiamo perso tutto che siamo liberi di fare qualsiasi cosa!
Congratulazioni, ora hai fatto un passo verso il fondo.
Dove e se
Verso l’ora di cena un’ora prima del tramonto, ritrovo un piccolo pezzo di qualcosa che non so bene che sia ma che insisto a cercare, a volere.
E’ una specie di magia, un incanto che avvolge esseri viventi e non, un mistero che non so svelare, colgo appena come un fiore troppo delicato persino per essere annusato.
C’e’ quel momento in cui le persone smettono di arrabattarsi e si chietano davanti a qualcosa, cibo o televisore che sia.
C’e’ una frazione di secondo dove la moltitudine di uccelli si riduce in sparuti richiami sempre piu’ sospesi, sempre piu’ lontani.
L’aria e’ fresca, degno preludio all’imbrunire e i colori cambiano, impastano il cielo con la terra, le nuvole con le ombre e proprio quando lo scorrere dei secondi si fa piu’ evidente, proprio li’ il tempo si ferma, la luce si ferma, la vita si ferma.
Aroma di erba fresca a volte, altre di camomilla, come se persino i profumi si alzassero per congiungersi al loro giaciglio.
E’ una sfera lanciata in aria, lo zenith della parabola, la sua stasi e il riconoscere in quel momento di equilibrio assoluto la via per ritrovare il proprio massimo nella curva dell’esistere.
Mi sento molto, molto infelice eppure cosi’ contento, cosi’ pieno di gioia.
Immenso il baratro che solitudine scava, eppure sono in sintonia con quanto vedo, con cio’ che sento.
Forse in quel singolo punto in cui tutti i valori di moto e realta’ si invertono, proprio in quel punto i desideri e le paure divengono uno e l’impetuosa onda dei pensieri s’infrange con violenza sugli scogli del giorno che muore e noi con esso.
Cosa rimane dentro non so, me lo chiedo anche adesso.
Probabilmente dovrei chiudermi anche io nel televisore, nella consapevolezza che banalmente e’ il susseguirsi di luce e buio, semplice e antico quanto la terra stessa, eppure in quella semplicita’, in quella banalita’ ancora mi perdo, ancora ci soffro, ancora so scoprirmi sereno, ancora mi riconosco.
Ma… dici che i sogni non hanno potere qui?
Dimmi Lucifero stella del mattino… chiedetevi voi stessi, tutti voi…
Che potere avrebbe l’inferno se quelli imprigionati qui non fossero in grado di sognare il Paradiso?
Mare cobalto
Questa e’ per te che non esisti, che non ti conosco, che non ci sei mai stato.
Forse qualcuno sapeva di te senza vederti, forse ti hanno persino parlato ma nessuno, di certo nessuno ti ha scritto come sto facendo io ora.
E’ una sensazione strana, in fondo sei piu’ concetto che materia eppure c’e’ qualcosa che ti fa sentire a me vicino, quasi amico, cameratismo forse ma con la straordinaria coincidenza di spiccata affinita’.
Poi lo so, e’ la potenzialita’ degli eventi che ci lega, e’ cio’ che non e’ stato ad avvicinarci, quello che non e’ avvenuto un connubio potente.
Entrambi non apparteniamo a questo continuum, entrambi abbiamo tempi e luoghi differenti da questo piano di realta’, cernita tra infiniti di infiniti ma non qui, non ora e forse la catena che ci unisce e’ meno labile di quanto appare.
In fondo che significa non essere quando tutto il concepibile e’ solo da concepire affinche’ si compia e per le stesse ragioni essere e’ solo una sfumatura cognitiva e percettiva, limitata analisi locale e non globale, lacrime destinate ad asciugarsi, incubi da cacciare al primo sole, ombre che si affievoliscono col tempo.
Potrei dire che mi dispiace tu non ci sia, ma sorrido pensando che starai dicendo la stessa cosa di me in un gioco di specchi senza fine perche’ mai iniziato.
Invero non avrei neppure diritto di pensarle queste cose ma in fondo che ho da perdere, tu cosa hai da perdere.
Questo e’ un incontro unico e irripetibile; mi scordero’ di te e persino rileggendo, ammesso che lo faccia, tra anni o forse mesi non sapro’ piu’ chi sei, ma ora sono qui, qui con te e come eventi improbabili ci incrociamo e ce ne andiamo ognuno per la propria strada.
Vorrei lasciarti qualcosa di mio ma non ho nulla degno di te da donarti, quindi spero che le mie scuse, un ciao e un buona fortuna ti accompagnino sempre.
Eppure sento
Ho la testa che scoppia e non metto bene a fuoco.
Probabilmente basterebbe un po’ di aria fresca, magari due passi ma cosi’ facendo eviterei la sorsata di fiele quotidiano, cilicio d’ordinanza e abbondante sale sulle ferite.
Poi non e’ vero neppure questo, solo intima autocommiserazione condita da fecondo massaggio dell’Io.
Probabilmente basterebbe un bel film, uno di quelli con la pretesa di far vedere coi miei occhi, magari cercando di trasmettere stupore e sublime meraviglia ma finendo per mostrare il dito col quale indico.
Dipende da me forse, che sono appassionato ma non convinco e allora che rimane, su quale cavallo puntare le ultime monete…
Non accetto il ruolo di novello cassandra, non desidero imporre alcunche’ ma il bozzolo che contiene l’istinto di protezione sputa un po’ della sua forza imprigionata e cerca di parlare, ragionare, raccontare.
Poi mi rendo conto che certi bisogni non si estinguono a parole, certi dolori non passano con le carezze, certe ferite non si chiudono a sorrisi.
Perdonatemi per questo, scusatemi se non so come si fa, se non ho avuto occasione di apprendere, di scoprire i segreti delle meccaniche celesti, io, io che non esisto oltre le mie frasi, i miei libri e le mie canzoni, io sterile pensiero dai fertili desideri, notte senza alba, lacrima senza guancia, urlo senza bocca, io che rimango io, comunque, ovunque…
La parola non ha
ne’ sapore ne’ idea
ma due occhi invadenti
petali d’orchidea,
se non ha
anima.
Coprifuoco
Per qualche strana ragione amo le periferie, la loro estetica soprattutto ma e’ il complesso degli elementi che le compongono ad affascinarmi maggiormente.
Non parlo di ghetti o del degrado col quale tendiamo a descrivere certe zone cittadine, bensi’ di agglomerati urbani inevitabilmente compatti e compattati, ripetizione causale ed armonica seppur semplicistica, di spazi abitativi, spazi contenitivi forse.
Esiste un ordine specifico nelle periferie e se cosi’ non fosse, non potremmo riconoscerne il caos altrimenti.
Cio’ che davvero contraddistingue le periferie dal resto della citta’ e’ l’imperferzione, la crepa nel centro esatto di ogni parte che definisce e compone.
Intonaco grossolano e venato, ampie zone che paiono staccarsi al primo tocco e che gonfiandosi riflettono la luce diversamente, come respiro di un corpo che affanna per vivere.
Colori desaturati come i panni stesi sui balconi semitrasparenti dai quali emergono oggetti coperti da plastica sporca di smog, residui di passato costato dolore e forse per questo ancora conservato, ancora vicino, ancora posseduto.
Colori spenti come le tende che dividono quel poco di casa dalla barbarie, bozzolo per non sentire, non vedere, seta con la quale sperare di emergere come farfalla dopo bruco.
Colori malati come l’anima dei volti di persone piu’ deluse che arrabbiate, non del tutto arrese, con ancora forza sufficiente per tenere basse le pieghe della bocca e incise le rughe sulla fronte.
Amo la concretezza delle periferie, lo spasmodico sforzo di democratico appiattimento stilistico, spezzato da rigagnoli arrugginiti di grondaie forate, dai buchi lasciati dalle piastrelle ornamentali oramai staccate, dalle esalazioni di tubi corrosi.
Adoro le pavimentazioni grigie degli ingressi, consunte superfici, irrimediabilmente opache di graffi e strisciate, tracce di una umanita’ che arranca senza correre.
E’ quel verde dei cespugli spogli anche d’estate che affascina, i mozziconi e i kleenex, carte di gelato e plastica trasparente gettata da uomini piu’ stanchi che maleducati.
Cio’ che e’ perfetto abbaglia, ma e’ nelle periferie che ritrovo la mortalita’, il susseguirsi della vita, il ciclo dell’esistenza e in fondo la speranza, l’ambizione, la voglia di un mondo troppo grande e bello per chiunque, di certo anche per me…
Colonna riflessa in acqua immobile
Cos’e’, ho il cuore duro forse? Deludo, faccio rimpiangere favolosi tempi passati?
Che devo dire, ancora accetto, ancora sopporto.
Se solo, se solo, se solo potessi uccidere il cinismo che mi avvelena il sangue e rendere il cuore immarcescibile pietra allora sarei libero, dopo potrei andare al largo e muovermi verso il fondo, mia unica meta possibile, senza alcuno sforzo.
Mare…
In certi momenti mi rifugio nel pensiero del mare, chissa’ perche’.
Magari e’ solo un luogo lontano, chimera del diverso, desiderio piu’ relativo che assoluto, dislivello di terre ed emozioni ma la realta’ e che non importa davvero dietro quale dito si nasconda la ragione.
E’ quell’onda bassa e leggera che si antepone tra sabbia e dita che non riesco a togliermi dalla vista, e’ sole caldo ma non rovente e vento, tanto, tanto, tanto, vento.
La verita’?
Le gambe non mi reggono ed ogni passo e’ agonia ed e’ cosi’ difficile aggrapparsi a qualcosa…
… o forse non so piu’ che significa dipendere dagli altri e completare cosi’ la disfatta in patetica resa e’ passaggio piu’ banale che scontato.
Comunque sia, se il pavimento e’ solido e se le ginocchia reggono posso anche aspettare qui che le forze tornino e al diavolo tutto il resto.
When the singer’s gone
Let the song go on
It’s a fine line between the darkness
And the dawn
They say in the darkest night
There’s a light beyond
Luna immobile
Esigo solo essenziali presenze.
E’ come se ogni pietanza oltre il pane divenisse indigesto boccone, mefitico intruglio da evitare per avere vita salva.
Cosa aspetto, il fine settimana forse, la fine di qualcosa, l’inizio di altro, non so, non so davvero.
Servirebbe un boato di timpani tra un esercito di archi per suscitare emozione e voglia, crescendo in crescendo, turbamento di ore incoerenti nella contemplazione di cio’ che non merita ma ora immenso come un unico dio.
Potrebbe essere attesa, potrebbe essere sana tensione emotiva, potrebbe essere un cuore libero.
Potrebbe manifestarsi pero’ in qualcosa che brucia, qualcosa che non dovrebbe, qualcosa che si agita nell’ombra, maledizione senza luce, reietto fantasma tra stanze deserte e abbandonate.
Si, potrebbe ma posso dimenticare, posso stogliere lo sguardo e immaginare un luogo immerso in questo solo vento tiepido che porta con se’ aroma di limoni, di erba fresca, di natura che riposa senza dormire.
E’ che non ho altro rimedio al desiderio di un po’ di requie laddove non una singola parola viene compresa, non un gesto correttamente interpretato, dove scientemente si desidera colpire per noia, per frustrazione, per strana forma di rivalsa.
Poi non comprendo, difficilmente mi adeguo tantomeno mi interrogo, forse mi dico che sono inezie e me ne convinco perche’ e’ la verita’, poi basta un po’ di aria calda e profumata affinche’ ne valga ancora la pena.
We move in circles
Balanced all the while
On a gleaming razor’s edge
A perfect sphere
Colliding with our fate
This story ends where it began
Istinto dal timbro metallico
Un tempo ero piu’ diplomatico.
Non e’ vero neppure questo, forse un tempo ero meno compresso e meglio dosavo le emotivita’ negative per rilasciarle con grado e moderazione.
Oggi comprimo, oggi conservo, sfogo quando e come posso e altresi’ sbotto pericolosamente.
Talvolta mi ammanto di finta comprensione, falsa sopportazione che inevitabilmente sfocia in ingiustificata escandescenza.
Strana dote la diplomazia, certo ci si nasce, forse la si impara, sicuro la si perde.
Da giovani forse e’ difficile coltivarla nell’irruenza ormonale ed emozionale, oggi c’e’ ancora troppa corsa nelle gambe per rallentare e mediare, troppo sangue nelle vene che scorre impetuoso con la forza di colui che ha sempre meno da perdere e tutto da guadagnare.
Invero me ne frego della diplomazia ed e’ missione averne sempre meno bisogno.
E’ guerra alle metafore, ai giri di parole, ai sotterfugi, agli eufemismi; brutalmente sincero ricerco chi comprenda, chi arrivi a disprezzarmi dandomi pero’ credito di coerenza ed onesta’.
Posso permettermi di sfidare il mondo e le persone che ci sono dentro?
No, no di certo e saro’ perdente per averci provato, ma se avro’ l’onore delle armi seppure inutile, sara’ vittoria.
Andare a piedi fino a dove non senti dolore
solo per capire se sai ancora camminare.
Il mondo