Al meglio

Desiderare, ragionare, fermarsi, fuggire, forse dormire e che altro…
Fanno male le braccia e gli occhi lentamente planano distratti sugli oggetti piu’ vicini.
Rilassarsi magari ma che vuole dire, come fare e poi cosa, dove e rielaborare risposte che gia’ conosco.
Mi fermo con placida flemma in un gesto che tende all’assoluta stasi, al rallentare prima e giacere poi in impeto curatore, lasciare che i nervi smettano di contrarsi, i muscoli di flettersi, la carne rilasci il sangue e resti esanime, tramortita in un mare di stoffa, tra parole e immagini lontane.
Ho bisogno di fermarmi ma so che non ripartirei, paura immotivata ma non potrei diversamente.
Il cuore, il cuore, il cuore attende un po’ piu’ in la’ ma non importa se fa cio’ che deve senza pretendere, senza arroganze, senza esigere la prima fila.
Terminare senza finire e’ una corsa senza tempo e lasciarsi andare, non ascoltare chi urla e sbraita, chi pretende e chiede senza sosta.
Accidia, accidia ecco il tuo nome, fantasma antico, spettro di altre ere, scheletro non nel mio armadio eppure non mi astengo dal preoccuparmene, dall’evitare confronti scomodi e inopportuni, nel trovare nuovi modi per farmi male.
Forse e’ cosi’ ma e’ benzina nel mio motore che non si ferma, non si ferma mai sebbene questa sera una pausa sia dovuta, meritata, ambita e sono ad un passo dal riuscirci, dal vedere un domani su cui riversare l’oggi e il passato tutto, spostando cio’ che non e’ in cio’ che non e’ un giorno dopo…
Falling,falling
What do you do when your falling you’ve got 30 degrees and your
stalling out
And its 24 miles to the beacon there’s a crack in the sky and the
warnings out
Don’t take that dive again
Push throug that band of rain

Costante movimento

Myung suonava luci lontane, lampi intrappolati tra nubi spesse e minacciose.
Portnoy scivolava tra lampioni e catarifrangenti a bordo strada, velocissimo, come solo lui sa fare e le sincopatie del ritmo sincronizzate al cuore mi fondevano con asfalto, riflessi e bagliori di un sentiero troppo vicino.
Il navigatore indicava percorsi che invero esistevano solo nella mente, creazioni estemporanee della mia consuetudine e della luna eccessivamente luminosa, persino invadente nella ricerca di intimita’, nel cammino quotidiano sempre uguale, talmente comune da desiderare che almeno mi appartenga.
Corsa veloce e d’un tratto mi sono sentito solo.
No, non quella solitudine che implode dentro, che toglie il respiro e intrappola i sogni, semmai consapevolezza e conseguente ritrovamento di determinazione e volonta’ di corsa al buio, quel buio prima profondo poi tenue e fluorescente ma palpabile, percepibile con tutti i sensi acuiti al massimo grado.
Ho iniziato a correre nella musica prima, sulla strada poi, nell’ombra dopo ancora, infine nel freddo silenzio e ho corso tanto da confonderli tra loro, amalgama indistinguibile le cui peculiarita’ risaltavano pero’ in nuova forma che senza comprendere ho osservato e quando mi pareva di coglierne la sostanza, come mercurio in assenza di gravita’ mutava in eccentrica figura, in nuova luce, in nuova solitudine.
Ad ogni modo sono arrivato a casa, certo non felice ma un po’ di quella solitudine, di quel buio era rimasto indietro, mescolato all’asfalto, ai lampioni, agli alberi.
Solo la musica dentro e nota per nota ha soppiantato quanto perduto ed eccomi qui, stesse note, un po’ meno solo e nuove canzoni da tenermi vicino, conservare dentro…
Tunnel vision at blinding speed
Controlling my thoughts, obsessing me
Void of any uncertainty
Throughout my very soul
Lost illusions of my control
Resisting all hope of letting go
Racing impulse of dark desire
Drives me through the night
I try to shut it down
It leaves me in the dust
No matter what I’ve found
I can never get enough
Frantic actions of insanity
Impulsive laced profanity
Long for elusive serenity
Way out of my control

Verdi rose

La luce era intensissima malgrado l’orario e le ombre, lunghe, profonde, ghermivano le pareti coi loro artigli.
Il riflesso dell’acqua ondeggiava tra terra e vetri danzando con le ombre, intervalli di luce e buio in vivace alternarsi, epica battaglia tra dei dimenticati e potentissimi.
Spessi muri trasparenti tra me e il bosco di pini eppure sentivo la sua voce, il sussurro impetuoso dei rami e l’umile risposta delle creature che l’abitano.
Non capivo le parole ma il senso non era mistero, il messaggio chiedeva solo di sentire senza ascoltare e cosi’ feci, respiro su piccole onde trasparenti, movimenti come ricordi lunari e lentamente il tempo che si spegne come i pensieri, trascinando le angosce e le inquietudini lontano nel loro cerchio, nel centro del nulla.
Ricordo perfettamente come mi sentissi eppure non potrei descriverlo perche’ il contrasto lacerava le definizioni, disgregava i paragoni, annullava i raffronti.
Ricordo che ero irritato e stanco, poi perplesso e incuriosito, infine placato come raramente prima con una punta di fugace eccitazione, mistero da svelare in un nuovo orizzonte, preludio e scoperta.
Davvero fu un preludio ed e’ stato sorprendente scoprirlo lontano nel tempo e nello spazio dai quei luoghi.
Tutto lontano ora eppure ne percepisco lo schema, la precognitiva evocazione e quelle acque hanno visto la nascita di un nuovo avvenire, barriera di epoche e scogliera da cui scegliere direzioni diverse e se davvero diverso fu cio’ che segui’, non dimentico quel bivio, quelle stanze, il mistero affascinante di qualcosa che nasce e qualcosa che muore.

Piano terra

Accidenti quante soluzioni, quante risposte, quante e quali stupende opportunita’, ovunque, basta girarsi e allargare le braccia per coglierle.
Cosa succedebbe pero’ ad approfittarne, che accadrebbe se ognuno andasse alla ricerca di cio’ che piu’ desidera, che fine farebbe la societa’ per come la conosciamo?
Freud comprese che l’uomo aveva sacrificato la felicita’ per la tranquillita’ e io come uomo del mio tempo posso solo avallare quella che allora fu solo una tesi.
Del resto e’ nella natura umana, nell’incoscienza della gioventu’, nel ciclo naturale della vita strabordare emotivamente per poi stabilizzarsi in piatta esistenza, volere le stelle per accontentarsi della loro luce, puntare al cielo per gioire di qualche saltello ogni tanto.
Tutto normale, tutto naturale e non certo io sputero’ su questo che comunque rimane il migliore dei mondi possibili ma certo di strada ve ne sarebbe per correggere il tiro.
E’ che basterebbe convincersi che la felicita’ non esiste, non come stato emotivo prolungato almeno.
La felicita’ e’ tale perche’ vive nell’istante della sua presa di coscienza, un’istantanea, una foto da conservare con cio’ che piu’ e’ prezioso, ma nulla di piu’ quindi perche’ ambire utopicamente a un singolo fotogramma quando l’intero film e’ visionabile.
Vorrei puntare a cio’ che mi fa stare bene ecco cosa e se qualche volta posso essere felice allora bene, tanto meglio.
Vorrei trascorrere il mio tempo sapendo sia utile per qualcosa, per qualcuno, forse non apprezzato, ma riconosciuto, quello si.
Vorrei desiderare arrivi l’ora successiva, poi quella dopo e ricominciare il nuovo giorno e quello successivo.
Vorrei una nuova fine o un nuovo inizio, tanto e’ uguale…
Out where the river broke
The bloodwood and the desert oak
Holden wrecks and boiling diesels
Steam in forty five degrees
The time has come
To say fair’s fair
To pay the rent
To pay our share

Nessuno a casa

I numeri dicono che sono a meta’ della mia vita.
Non provo niente, niente che abbia un senso o la necessita’ di essere scritto.
Forse dovrei tirare delle somme, stilare un bilancio seppur parziale ma non ho intenzione, bisogno, voglia di farlo e mi chiedo il perche’.
Potrei accusarmi di codardia, non ragionare per non pensare, non farmi carico di tutte le valenze implicate e potrei avvicinarmi paurosamente alla verita’.
Potrei trovarmi sconfitto, demolito al punto da non avere piu’ forza per uscire da cio’ che sono divenuto e dalla tana che mi protegge e ancora non mi scosterei eccessivamente dal giusto.
Magari incosciente ed arrogante, stupido eterno in eterno splendore nel decadente andirivieni di questa Terra e di cio’ che la popola.
Sarebbe il caso festeggiassi ma ho poco fiato per le trombette e i cappellini danno fastidio, molto da’ fastidio, troppo da’ fastidio.
I numeri sono arroganti perche’ non puoi discutere con loro, a volte ingannare, altri aggirare ma i numeri non ammettono compromessi e per questo, alla fine del giorno, credo solo a loro e solo con loro voglio restare.
I numeri sono amici perche’ sono sinceri, crudelmente veri e mai verosimili e oggi non voglio altro, non desidero altro.
Magari non e’ il caso di restare a commiserarmi malgradi sia scelta, volonta’ e presa di coscienza di non aver imparato niente, di non aver guadagnato niente e che niente mi rimane in queste mani vuote.
Sbagliato qualcosa?
Ma no, niente se sbagliare e’ scelta involontaria ma quando il risultato e’ conseguente risultato allora rimane orgoglio, forza e quel pizzico di coraggio che serve sempre, che fa andare avanti.
Pero’ mi scuso con chi non ha voce in capitolo e vorrebbe averla, con chi scuote la testa e si gira, con chi non gliene potrebbe fregare di meno.
Ora voglio solo tutta la maledetta musica dei miei anni, voglio affogare nel pop piu’ doloroso, voglio precipitare nel vuoto piu’ nero, nel baratro piu’ scuro, voglio perdermi e ritrovarmi ma non subito, trascorrere un po’ di tempo tra pioggia e rovine, sterpaglie ed erba secca, girarmi verso il sole che tramonta alle mie spalle e respirare forte, iperventilare e lasciare andare la testa lontano, leggera, balsa in mezzo alla tempesta ma almeno libera.
… e’ che quei suoni mi tengono qui e vorrei andare, ma non riesco, non posso, non posso, ma non posso e continuano a starmi accanto, a starmi dentro e nulla e’ possibile finche’ restano vicini, io ho bisogno di loro e loro di me…
In questa meta’ vita ho fatto quanto ho potuto e se ho perso, se sono stato sconfitto, se brancolo nel buio piu’ di prima allora questa e’ la mia sconfitta ed il mio buio, amici di oggi, amici di sempre, forse uniche e misere conquiste ma ci so convivere, ci so dormire assieme e li voglio con me, vicini a me perche’ di certo, nella seconda parte della mia vita, so che comunque vada, per quanto resista, non mi abbandoneranno mai.
I’ve got a little black book with my poems in.
Got a bag with a toothbrush and a comb in.
When I’m a good dog, they sometimes throw me a bone in.
I got elastic bands keepin my shoes on.
Got thirteen channels of shit on the T.V. to choose from.
I’ve got electric light.
And I’ve got second sight.
And amazing powers of observation.
And that is how I know
When I try to get through
On the telephone to you
There’ll be nobody home.
I’ve got the obligatory Hendrix perm.
And the inevitable pinhole burns
All down the front of my favorite satin shirt.
I’ve got nicotine stains on my fingers.
I’ve got a silver spoon on a chain.
I’ve got a grand piano to prop up my mortal remains.

I’ve got wild staring eyes.
And I’ve got a strong urge to fly.
But I got nowhere to fly to.
Ooooh, Babe when I pick up the phone
There’s still nobody home.

I’ve got a pair of Gohills boots
and I got fading roots.

Giochi del navigante

Mi sono visto riflesso, ho seguito le mie tracce e trovarmi, scoprirmi mi ha sorpreso.
Gioco di specchi, gioco di vita, interfaccia con nuove angolazioni di luoghi ed abitudini future.
Divertente, persino eccitante, sapore nuovo di antiche ricette.
Cio’ che piu’ mi affascina e’ guardare oggi con lo stupore di ieri, quando immaginare era facile come vivere, piu’ stupefacente del vivere che eppure era avventura.
Sono foto al di la’ delle vetrine, quando gli oggetti erano desideri e non soldi e quei colori, quelle forme, i disegni approssimativi ma bellissimi erano razzi diretti su mondi non troppo lontani in fondo, solo a una battito di ciglia, a un salto di fantasia.
Luci intermittenti come esplosioni di stelle e piccoli passi che smuovono montagne, montagne aliene pieni di punti luminosi su sfondo nero profondo ed incredibili citta’, lucenti palazzi e strumenti oltre ogni immaginazione.
Non potevo andare cosi’ oltre ma ancora accade di ripensare a quanta differenza, quanta diversita’, cosa e’ cambiato e teneramente prendermi per mano e condurmi la’, laggiu’ dove ho giocato, sperato, sognato, laggiu’ dove sono stato felice, davvero felice.
Man alone; born of stone;
Will stamp the dust of time
His hands strike the flame of his soul;
Ties a rope to a tree and hangs the Universe
Until the winds of laughter blows cold.

Sole mattutino

Edward Hopper e’ un artista che regala immensa arte e cambia il senso estetico di chi osserva le sue opere, arricchisce lo sguardo con nuovi spazi, nuove architetture, colori lucenti, prospettive innovative.
Prospettive e colori, ecco cosa ho coltivato e fatto crescere dentro.
Amo le simmetrie su tutte le dimensioni e in ogni angolazione ma con Hopper esiste un modo e un modo solo di guardarlo e non e’ visione frontale.
Inquadrature deconcentrate che non comprendono figure intere ma sempre una forma seminascosta, abbozzata, solo intuita a volte, indiretta con la sua ombra, sguardi che fanno supporre cio’ che non esiste ma comunque presente, particolari celati dei quali pero’ percepiamo presenza.
I colori convergono alla luce come falene verso un faro nelle tenebre e sinuosi si adagiono sui volti, sui corpi, sulle pareti e i mobili e scivolano vivi e vitali, conferendo eccezionale tridimensionalita’, senso della luce sospeso tra realta’ ed interpretazione d’artista.
La plasticita’ dei corpi esalta le movenze, meglio le immobilita’, fotografie di istanti quotidiani negli interstizi dei gesti, nel flesso delle azioni, inizio o fine del movimento e forse mutazione dello stesso nel momento in cui sta per compiersi.
C’e’ energia cinetica, potenziale piu’ di intenzione che concreta volonta’ e non si trova negli sguardi sovente smarriti e vacui, bensi’ nella tensione delle braccia, delle gambe, del collo.
Ogni concetto, rapprensentato o meno si schiera nel conflitto tra natura e civilta’, sempre presente, sempre pressante, importante eppure non vitale perche’ Hopper sapeva guardare dietro le finestre, cogliere un’umanita’ anch’essa in conflitto, abbandonata nella sua solitudine e la visione e’ metafora del silenzio.
Luce, assenza di luce, tutte le sfumature interposte e il resto e’ supporto alla notte o al giorno che sia, spesso ai limiti di questi in ombre allungate e stranianti, come materia e antimateria in eterno conflitto nell’attesa di elidersi in desiderato nulla.
E’ un favoloso artista Hopper perche’ sa turbare, induce all’emozione per donarla almeno in parte alle sue opere, sconsolati teatri, terre desolate in cui sappiamo ritrovarci e per questo riconoscendoci, cercare di risollevare le sorti di un’esistenza nella quale e’ facile ascoltarsi e molto meno comprendersi, divenire voyeristi di se’ stessi per mescere luci e ombre e trovare dentro grandi dipinti, grandi come i suoi.

Certo, sorridi…

Anni fa, tanti, infiniti secoli passati avrei parlato, raccontato, spiegato minuziosamente ogni minimo particolare.
Anni fa mi sarei fatto odiare, mi sarei trasformato in algido parolaio che non sa di cosa sta parlando, nel mostro incapace di proferire altro se non diffamanti illazioni.
Questo e’ cio’ che amo del mio invecchiare…
E’ che in passato ho parlato troppo e la buona fede non basta se non vuoi essere ascoltato.
Le persone vogliono si’ essere aiutate, ma a modo loro, nei loro tempi, alle loro condizioni e mi e’ difficile comprendere, spaventoso rifletterci, eppure e’ conclusione inevitabile laddove non c’e’ spazio per un pensiero che non sia il proprio.
Sbaglio io nel ritenere che qualcosa di buono sia alla mia portata, pecco di presunzione quando ritengo di poter offrire spunti, forse percorsi occultati, facilmente visibili da fuori quando fuori e’ altra prospettiva e non incoscienza.
Anni fa, non troppi invero, avevo quasi perso il vizio di offrire il mio aiuto, bisogno innato di proteggere che si ama perche’ anche prendere la vita altrui e’ da valutare, decidere, stabilire dare e avere, pro e contro, luci e ombre e non importa se l’operazione a costo zero non ha paragrafi scritti in piccolo a fondo pagina.
Essere invitati e’ obbligo e che rimane, forse muovere concitati le braccia nell’oceano della propria inutilita’, nel gorgo di tutto quello che hai imparato, assimilato nei stupidi anni trascorsi in attesa di trovare un senso e nella ancora piu’ stupida convinzione che non per altro si e’ qui, si lotta e ci si strugge.
Poi la pianto di pensare sciocchezze e mi ributto nell’indifferenza che almeno non sporca, non perde peli e mangia pochissimo…
The lights went out (The last fuse blew).
The clocks all stopped (It can’t be true).
The program’s wrong (What can we do?).
The printout’s blocked (It relied on you).
The turbine cracked up.
The buildings froze up.
The system choked up.
What can we do?
Please remember to mention me,
In tapes you leave behind.

Scintilla

Meccanicamente osservo dove non dovrei, scruto fin dove lo sguardo permette, coltivo ancora la voglia di un movimento fugace eppur partecipato.
Difficile desiderare in assenza di prospettive, sentirsi svuotato da non sapere di che riempirsi.
Potrebbe sembrare grassa sazieta’ oppure opulenza emotiva coltivata laddove non vi sono piu’ luoghi da visitare, emozioni da respirare ma cosi’ non e’.
E’ che il fine rimane valido eppure il mezzo latita nel percorso indefinibile che il giorno offre.
Capisco sembrino capriole nel nulla, ma se esistono due punti allora anche la retta che li congiunge parrebbe la scelta logica.
Logica… Come se vi fosse logica, come se oltre l’orizzonte esistesse qualche forma di vita, una minima parte di cio’ che aspettavo.
Mi rendo altresi’ conto di essere ingiusto, persino con me stesso seppur ridicolo, grottesco a tratti ma e’ anche vero che ho visto l’arcobaleno ed era li’ proprio tra il nero delle nuvole e il fango della terra, l’ho attraverasato, toccato forse e se mi sono illuso di trovarne la fine, e’ stata una bella illusione, un gioco ben riuscito, uno di quelli che aiutano a crescere, a stare bene, a non vedere quelle nuvole e quel fango, a non provare troppo dolore per quel paio d’ali strappato dalle scelte errate.
Mi scuso infine, solo per cio’ che sono pero’, perche’ sono stanco di farlo per colui che dovrei essere, per il ruolo assegnatomi in tempi diversi, in epoca luminosa seppur illusoria, quando gli arcobaleni li leggevi nelle fiabe, li sbirciavi nel cristallo, li sentivi sulla pelle…
We lived happily forever
So the story goes
But somehow we missed out
On the pot of gold
But we’ll try best that we can to carry on
A gathering of angels appeared above our heads
They sang to us this song of hope and this is what they said
Come sail away

Facilmente e’ cristallo

E’ da stamattina che mi nutro di cielo e vento.
Ho guidato piano, ho guardato molto, ho riflettuto poco.
Sono arrivato laggiu’ ed era molto che non andavo ma ho ricordato che la volta precedente c’era un cielo cosi’.
Si, ultima volta di oceano blu immobile ed incantevole, aria fresca, frizzante movimento d’energia, energia che circondava fabbriche e persone.
Aerei vicini e rombo possente, maestoso per ricordare che c’e’ un mondo li’ fuori che pulsa veloce, rotea e non si placa mai, vive come unico organismo.
Nuove frequenze in quella luce e dove mi giravo luccicava qualcosa, fremeva qualcosa e quel qualcosa mi rendeva felice eppure estraneo a quella felicita’.
Avevo un peso nell’anima quel giorno e non ricordo neppure il perche’ ma so che mi fermai in quello spiazzo, tra decine di auto mi fermai senza reagire, telefonai a chi pote’ solo dirmi che sarebbe passato presto.
Passo’ tutto, passa sempre del resto ma stamane un pezzo di quella tristezza ha viaggiato col vento, vagato anni in attesa di ritrovarmi li’ e in fondo, non mi e’ neppure dispiaciuto riunirmi con le stesse emozioni perche’ ho bisogno di sentire, di annullarmi anche in atri smaltati, in portoni arrugginiti, in un senso d’appartenenza che invero non sento mio ma al quale vorrei credere.
Ho vissuto ogni momento a mia disposizione a nutrirmi di cielo e vento e ora mi sento stanco, mi senti stanco ma sono qui, racconto, mi racconto e qualcosa rimane, qualcosa riempie e se il vuoto non ha fine, almeno qualche angolo e’ meno spoglio di prima.
I used to think that the day would never come
I’d see delight in the shade of the morning sun
My morning sun is the drug that brings me near
To the childhood I lost, replaced by fear
I used to think that the day would never come
That my life would depend on the morning sun…