Pioveva come fosse l’ultima cosa che il cielo volesse fare.
Accorgersi che la pioggia e’ elemento piu’ alieno di quanto si pensi e’ stato un attimo, interminabile e stupefacente.
La pioggia si adora o si diprezza, spesso cio’ che desideriamo muta il giudizio ma raramente la si vive a fondo.
Voluta o evitata, rimane elemento da sfiorare e guardare da lontano e farla propria, accettarla come ineluttabile destino puo’ essere sorpresa.
Ampiamente considerare obblighi e imposizioni come nuovi percorsi finora ignorati e magia laddove non ti aspetteresti, forse non vorresti.
E’ che la pioggia non e’ mai fuori di noi, non si ferma sulla pelle e neppure impregna le ossa ma raggiunge ricordi primevi, esperienze ataviche sin da quando eravamo rettili, sin da quando eravamo nuvole.
Gocce di materne culle, ninna-nanna in ere in cui il canto era il sogno di Dio, umido grembo ricolmo di vita e voce, voce tuonante della creazione stessa.
Ecco, quella voce l’ho udita o forse risentita fuori dai miei reconditi recessi ed era musica, musica con cui sono nato e cresciuto, indistinguibile sovrannaturale tra umani arcangeli di verita’ scomparse, solo piccoli tra grandi ma ho colto davvero qualcosa.
Un attimo, minuscola frazione di tempo insufficiente per assimilare, per far proprio ma sono certo di aver visto e sentito, rapito ed estasiato ho fatto parte di un insieme immenso e non ho avuto piu’ dubbi ne’ incertezze li’, proprio li’ dove mi sono ritrovato, inventato, riscoperto.
Right behind you I see the millions.
On you I see the glory.
From you I get opinions.
From you I get the story.
Listening to you I get the music.
Categoria: dblog
Frastuono di ogni giorno
Acqua increspata come carta usata e poi gettata, ruggine marcata a dare senso di tempo trascorso, intemperie, fatica e cieco utilizzo.
Questi odori non mi piacciono, sanno di cucina mal pulita, disinfettante e incrostazioni di miasmi calcificati negli anni, qualcosa che passa, felici sia gia’ passata e in malora cio’ che e’ stato.
Cemento sgretolato contornato da mura graffiate, intonaco oramai abbozzato e crepe come vene in corpo esausto.
Profondi canali di acqua sporca come vita non solo venuta e andata, anche ferita e dolorante e annoiata e malata e cattiva, inutilmente vigliacca e distruttiva.
Verde mutato e mutante tra fessure come squarci, vita che nel paradosso nega la vita, tangente simbolo di grigio vuoto d’amore e ribellione infettiva quando niente e’ importante, niente serve, niente ha piu’ futuro.
Futuro, qui non c’e’ futuro, non c’e’ presente, solo un incerto passato colmo di attese irrealizzate o forse esaurite, banco di pegni con scaffali vuoti di oggetti gia’ riscattati e altrove riposti eppure si sente ancora vita, posso vedere aloni quasi scomparsi di cio’ che e’ stato e come fantasmi aggirarsi tra la polvere degli anni che furono.
Invero non riesco a star male, non riesco a soffrire qui nel mezzo di questo decadimento perche’ statico e’ il riposo immobile il bisogno di equilibrio e se cio’ che vive deve anche morire, forse in questo limbo non c’e’ vita ma neppure la morte trova dominio e se questa fosse l’eternita’, allora la cullero’ come il primo e l’ultimo dei miei figli, la stringero’ forte a me perche’ nel nulla e’ l’unica eternita’ che mai avro’, che mai vedro’…
Sara’ l’idea
che il tempo si consuma
e all’improvviso sei solo,
come un attore hai scelto il ruolo
di chi e’ sicuro di se’,
ma sai benissimo che la tua arte
e’ nella parte fragile di te.
Ghiaccio sotto la neve
Mi chiedi quando saro’ felice…
Quando il sogno e il giorno saranno uniti, potrei risponderti peccando di sfrontato semplicismo ed astratta retorica eppure nella risposta vi e’ racchiusa la contraddizione in termini che la contraddistingue, la condanna dell’umana esistenza.
Se l’intorno definisce quanto l’interno e il contrasto caratterizza, allora e’ bianco che crea nero, e’ bene a dare senso a male e il quotidiano immerso nell’evangelico e’ forza dello stesso segno che respinge e nega.
Lo so, parli di sorrisi lasciando i massimi sistemi a chi ha tempo da perdere ma sono gretto e sguazzo nel pantano delle idee facendo credere sia oceano.
Lo so, parli di foto antiche, di qualcuno che doveva forse essere e non e’, di chi aveva tanta di quella vita in corpo da non avere paura di nulla, nemmeno di se’ stesso e dovrei guardare il dito invece della luna che indica divenendo profeta iperrealista che nega ogni tentativo d’interpretazione, di rappresentazione, fuoco in espressione numerica.
Cosi’ giro nel mio parcheggio deserto in cerca di un posto ed osservo il mondo dall’abitacolo che sa di muffa, sonno arretrato e deodoranti esausti, impreco e sbraito sapendo che solo io ascolto, solo io subisco, solo io rinuncio ad aria fresca e terraferma perche’ la mia forza, il carburante emotivo del gioco al massacro al quale mi condanno e’ la voglia tua di pormi queste domande e con esse offrirmi una via di fuga, la sola possibilita’ che ho di guardare al di fuori della voglia di fermarmi e se proprio fermarmi e’ la mia tentazione, non sia la tua quella di non chiedermi piu’ nulla.
Voce che chiami quando il tempo e’ gia’ morto
Voce che chiami quando il sogno e’ gia’ spento
Esistono giorni ma non giorni di festa,
chiedilo a loro se davvero saranno cio’ che pensavi quando eri un bambino e adesso non sai quando…
Solo una memoria
Perche’ ancora scrivo quando Waters tutto ha detto 30 anni fa?
Perche’ ancora cerco visioni, immagini, quando Parker ha filmato quanto serve poco dopo?
Erano giorni di incomunicabilita’ di latente propensione al sociale, inizio di fortunata e modaiola tendenza e in tanti hanno guardato senza vedere, ascoltato senza sentire.
Il bambino osservava incuriosito, affascinato dalla superficie di un fondo eccessivamente lontano eppure sentiva affinita’ e attinenza, premonizione non credo, forse genetica che risponde, riconoscere sangue diverso di diversa densita’, colore composizione.
Oggi sono giorni di smarrimento e stomaco che urla, notti a rigirarsi per dolore reale e voci immaginate, sogni non fatti e freddo pungente al centro delle ossa e non posso, non sopporto quello sguardo carico di sconfitta, desolante verita’, la peggiore delle verita’, quella che ti punta il dito addosso urlandoti la parola “colpevole”, quella che non ti commisera perche’ basti tu a farlo, quella che ti volta le spalle perche’ il disprezzo e’ sentimento troppo alto.
Fautore della propria esistenza ecco la condanna piu’ severa e non v’e’ appello quando si e’ imputati, giudice, giuria e carnefice.
Insopportabile, insopportabile…
Il muro, il muro, si il muro e milioni di non volti tra i quali mostrare indifferenza e superiorita’ e capire che Waters e’ un bugiardo, Waters conosce la verita’ e la verita’ non e’ un muro che crolla, invero impossibile barriera a cui rassegnarsi e se una maschera e’ soluzione allora l’umanita’ e’ racchiusa in quel muro, il bambino e’ dentro quel muro e se il cielo e’ oltre il bordo, che le ali rimangano ripiegate perche’ non c’e’, non c’e’ alcun luogo verso il quale dirigersi.
If you should go skating
On the thin ice of modern life
Dragging behind you the silent reproach
Of a million tear-stained eyes
Don’t be surprised when a crack in the ice
Appears under your feet.
You slip out of your depth and out of your mind
With your fear flowing out behind you
As you claw the thin ice.
Il giorno dalle colline
Caos e ordine, due forze opposte che non possono annullarsi, non sanno annullarsi, non devono annullarsi.
La mia cultura, la mia indole, le mie abitudini convergono verso l’ordine e la precisione, ma quanto e’ stato inutile, futile ricerca di uno schema che porta all’assenza di schema.
E cosi’ ogni cosa si ribalta, segue smarrimento, disorientamento e riflusso emotivo che come mare in ritirata scopre sabbia bagnata, appiccicoso fango da pulire, spatolare lontano, inutile scarto di fresco blu.
Attendi l’onda, conta i secondi, non rimanere troppo deluso se all’arrivo ti bagna appena o all’opposto imprevedibile non lascia nulla d’asciutto.
Forse non e’ mare, non e’ onda, non e’ l’incontrollabile ciclo delle maree, forse e’ luogo, situazione, proiezione ed aspettativa e se cosi’ fosse allora non c’e’ direzione in cui guardare o silenzio dove nascondersi perche’ la soluzione e’ lontana, la soluzione e’ diversa, la soluzione e’ estrema e duratura.
Si, forse, forse e’ tutto sbagliato e tutto giusto e se fuga coincide con restare, se fossero giochi di bimbo, trucco di vecchio clown, giornale alzato dal vento allora cosa potrei rimetterci se non l’ennesima vita perfetta, nel perfetto mondo, nel perfetto tempo.
Forse o forse il richiamo che sento non e’ eco di stelle nella notte di luna nuova, non e’ il bisbiglio sommesso di uccelli stanchi di emigrare, neppure risate dietro porte sigillate e forse, forse e’ chiudere gli occhi sul ciglio di precipizio e dopo l’ultima preghiera, immolarmi alle correnti ascensionali e all’ennesima illusione.
Cosa e’ successo?
Come ci sono arrivato qui?
Il dolore…
Cosi’ inatteso e immeritato, mi aveva chissa’ perche’ snebbiato la mente
Mi resi conto che non odiavo l’anta della credenza,
odiavo la mia vita
la mia casa, la mia famiglia, il mio giardino, la mia falciatrice…
Niente sarebbe mai cambiato…
Non mi sarei potuto aspettare niente di nuovo…
Doveva finire e fini’.
Ora, nel mondo oscuro in cui dimoro
Cose orribili, cose sorprendenti
e a volte piccole cose meravigliose
traboccano continuamente verso di me
…e non posso contare su niente…
Significato del mare
Sfreccio fin troppo velocemente urlando a squarciagola vecchie canzoni come fosse la sola cosa che mi e’ rimasta o forse perche’ e’ la sola cosa che mi e’ rimasta.
Quanta teatralita’, che ricerca di attenzione in questo e il vino non attutisce la verita’ di una corsa verso il nulla.
Dovrei forse finire di vedere macerie in ogni direzione e sorridere gioioso alle stelle?
E’ forse servito a Nick Drake immaginare piu’ luce da li’ a poco o il rado jazz tra le dita ha tracciato la sua prematura fine, ha presagito cio’ che inevitabilmente doveva avvenire?
I suoi archi, le sue domeniche potevano salvarlo?
Forse un sax lontano e’ un richiamo troppo forte da essere evitato, luce da falene nel buio dell’anima.
Non lo so, non lo so e’ che mi raccontano di persone che scivolano e mi trovo a scivolare anche io con loro, mi aggrappo con poca voglia alle rare sporgenze e gioco con me stesso evitandole, certo o quasi che sapro’ interrompere la discesa.
Ci vuole talento per scendere senza salire, bisogna essere abili a vendere precipizi come piani verticali, cadute come planate e intanto allegramente i tasti del pianoforte urtano soavemente le corde e come un bambino senza futuro che sa godersi il presente, rido e ruoto e giro e piroetto come se questa giga fosse l’ultima mia danza.
Duole il capo, troppe immagini, troppi pensieri, numeri misteriosi che non definiscono piu’ il mio mondo e che a stento identifico eppure, sembra strano, ancora cerco quelle escrescenze da afferrare, lo faccio forse senza convinzione e magari neppure per me, ma se le ragioni scemano, ancora in forze mi sostengono e lascio le mani comandino, depongo il mio destino tra le mie stesse dita e aspettero’, aspettero’ ridendo, danzando, ballando, scivolando…
Never know what I came for, seems that I’ve forgotten.
Never ask what I came for or how I was begotten.
I’m a poor boy and I’m a ranger.
Things I say may seem stranger than Sunday changing to Monday.
Nobody knows how cold it flows and nobody feels the worn down heels.
Nobody’s eyes make the skies, nobody spreads their aching heads.
Fabbricato Terminale
Mio Dio quanti anni sono passati da quelle canzoni…
Quanti anni eppure non mi sento ancora pronto a scriverne, non lo sono oggi e non lo saro’ mai temo.
E’ che quelle canzoni sono una cosa e una cosa sola e non ce ne sono altre, non ne esisteranno mai altre, non cosi’ almeno.
Non e’ nostalgia, niente di cosi’ piccolo e gretto, non ci sono immagini ne’ volti, luoghi o situazioni, solo emozioni e vita vissuta.
Dentro a queste canzoni sono solo circondato dall’eco del cuore che batte forte, dolorosamente vivo, felicemente vivo, straordinariamente vivo.
Poi la vita e’ una puttana a farmele ascoltare proprio oggi e guardo li’ fuori e rido accidenti…
C’e’ davvero qualcosa anche se non so bene cosa sia e cosa pensa, pero’ c’e’, c’e’ davvero.
Mi accorgo che cedo e tento di lasciarmi scappare tra le mani un po’ di polvere, qualche lacrima mai troppo asciutta, mobili, pareti, finestre, televisori, promesse.
Io potevo essere altro…
Sono terrorizzato solo a concepire un pensiero cosi’ grande, sterminato infinito in infinito in infinito, precipizio a cui non oso avvicinarmi.
Poi mi vanto, mi inneggio e glorifico forza e volonta’ quando ancora fuggo, nascondo la realta’ dietro il dito di cio’ che e’ stato.
So, so, so che li’, proprio li’ potrei ritrovarmi, in quel luogo ho smarrito cio’ che sono e la felicita’ e’ rimasta indietro a cercarmi eppure no, che ogni verita’ rimanga seppellita li’ in fondo, in quella stanza lontana, cammino polveroso verso preziosi dietro quella porta ma che li’ rimangano, che li’ soffochino tra il silenzio e il buio, tanto l’oro non risplende senza luce.
Fuori quella stanza ho iniziato ad essere solo e fuori rimango, che nessuno si avvicini, che nessuno mi tocchi, non si pensi di parlarmi o consolarmi, la vita e’ una sola per fortuna…
E’ che le nostre parole non sanno pi
Uomo e acciaio
Ogni tanto hai bisogno di andare dove tutti conoscono il tuo nome
Cosi’ recitava una celebre sigla ed e’ vero, completamente vero.
Negazione dei miei pensieri, del mio volere lo so, vivo la contraddizione, la sento mentre scava nella struttura, si insinua nelle crepe della corazza e amplifica le perplessita’.
Difficile nascondersi nella misantropia, consueta invisibilita’ e prima barriera di un mondo che a spintoni trasformo in cio’ che vorrei dimenticando cio’ che e’.
Difficile disattivare quei meccanismi radicati cosi’ nel profondo da divenire involontari e spontanei, evitare inquietudini con giocattoli di una vita intera, eppure…
… eppure entro in ampi spazi aprendo porte che conoscono le mie dita, gesti quotidiani sicuri, cronometrati, misurati, passi che seguono cammini prestabiliti e non c’e’ bisogno di guardare, di osservare, di controllare gesti e parole perche’ quella terra estranea e’ comunque la mia terra e quei volti diversi si accomunano negli occhi e nei sorrisi.
Cosi’ mi muovo senza esitazione e lascio fuori un pezzo di cio’ che sono e mi carico del suono degli altri, delle forme e movimenti e la contraddizione una volta tanto, esalta e stimola, forse regola negata dall’eccezione e straordinario e’ un gioco nel monotono quotidiano.
Si, contrapposto pensiero, dissonante forse, stridente in apparenza ma se energia e’ scontro di forze opposte allora il mio giorno ne ha bisogno, la mia mente ne ha bisogno, io ne ho bisogno…
E sia qualunque sia la
direzione
che prendono gli eventi
e sia l’unica via
per un milione di strade
divergenti
Un viaggio inizia sempre dal bisogno
di muovere un confine fino al sogno
Scatto monotono
E’ gia’ curioso stia qui, ora, per quanto sia demolito, per come mi sento, per la voglia che mi sostiene ma non e’ una ragione, nessun motivo.
Non riconosco piu’ nulla, non ricordo una nozione che una, non v’e’ ambizione alcuna e neppure desideri da cui attingere.
Ascolto canzoni pescate dal serbatoio inesauribile degli scarti in attesa di paradiso o inferno, sai il perche’…
Forse ho bisogno di stupirmi, di sentire un brivido, un pugno che mi faccia sanguinare copiosamente e chissa’ cos’altro.
Sono stanco, mortalmente stanco di guardare cio’ che mi circonda, poi lo faccio e mi accorgo di essere nauseato da cio’ che sono e vorrei mandare a farsi fottere cio’ che so e conosco, la deviata moralita’ che a forza ho inculcato tra gli angoli di cio’ che mi definisce, il senso del rispetto e della dignita’.
Fermo, composto, impettito e illuso di essere l’uomo giusto nel posto giusto, perfezione divina in bolla d’acqua invero.
Si, fermo, fai girare la realta’, le frequenze, le vibrazioni… Io posso, io devo…
E’ solo volume che si deve alzare, pavimenti che devono sussultare e la testa esplodere in tutte le direzioni, quei percorsi da intraprendere e finirla una volta per tutte di adoperare gli occhi sbagliati per guardarle.
Roccia che cade, acciaio che ammacca, terra che scivola e raggiunge un luogo che non e’ il centro ma neppure inutile periferia e forse e’ punto di partenza, ritrovo senza destinazione ma che importa, chiudendo gli occhi una strada la trovero’ di sicuro.
And if you think I
Assi levigate
Parlando con una nuvola mi scopro un po’ piu’ leggero, meno legato a terra, differente massa, differenti pensieri, differente stato fisico e quasi nessun vincolo.
Non mi muovo da qui pero’ e lascio fluire l’emozione del volo, scivolo sul terreno seguendone il contorno e mi e’ difficile abbandonarmi e parimenti impossibile scordare.
Il vento e’ fresco da qui, mi sorprendo ad osservare il cielo e trovarlo ancora piu’ bello di quanto e’, piu’ azzurro di come appare e il tempo si ferma in un oceano di luce, sinusoidi che colpiscono e rilasciano le emozioni.
Qualcosa corre la’ fuori, gioioso e riesco a non pensare, mi sforzo di non ascoltare le voci dentro e lascio tutta l’attenzione a cio’ che sembra, non a come appare.
A volte non comprendo e mi inganno, m’illudo di sapere ogni cosa, di poter interpretare i movimenti e le sfumature ma cosi’ non e’ e lo so, lo sento.
Posso semmai bluffare e riguardo il cielo, le sue onde, sentire il vento e reimmergermi nel plasma turbinoso del giorno, del cuore.
Potevo dire, potevo fare, potevo osare, rinunciare e cosi’ ho fatto perche’ le nuvole non si afferrano, non si catturano, non si imprigionano.
Semmai le si osserva, ammirare da lontano, lontano dalla mente, non dalla pelle, mai…