Non si puo’ fermare

Quelle due parlavano di qualcosa, qualcuno, forse di me ma io ero cosi’ lontano e vicinissimo, a pochi metri da li’.
Sentivo l’odore intenso della salsedine trasportata dalle grida di qualche bambino, dalle ciabatte trascinate da gambe pesanti, dalle macchine per caffe’ dei mille bar a pieno regime.
Auto lente, circospette alcune, nervose altre, troppo presto per chi lavora, troppo tardi per chi cerca un ombrellone e intanto il sole infieriva di gia’ su tutti quanti.
La pasta tra le mani era deliziosa, quanto di meglio avessi mai mangiato in tutta la vita e non sapevo come avrei potuto fare per arrivare a sera, per non crollare, per impedire al cuore di esplodere.
Non ho mai chiuso gli occhi perche’ volevo vedere ogni particolare, fotografare il momento che mi sarei portato dentro perche’ sapevo che sarebbe rimasto con me.
Ci sono occasioni in cui affrontare i propri demoni, altri in cui accettare la sconfitta ma altri ancora dove farseli amici.
Si, si puo’ essere amici dei demoni ma c’e prezzo da pagare, pezzi di anima da sacrificare, tributo alla sopravvivenza, alla paura, alla resa e qualcosa e’ li’ rimasto, pegno per essere forte, per avere un nuovo giorno e un altro ancora e smettere, smettere, smettere di udire l’eco del vuoto dentro allo stomoco, nel petto, cuore senza battiti e filo d’aria nei polmoni.
Volevo restare, restare li’ ma non potevo, non potevo perche’ non avevo un solo posto in cui morire, tantomeno vivere e me andai e lo feci chissa’ come sorridendo e non so come riuscissi a porre un piede davanti all’altro, a gestire un solo minuto in piu’ lontano, lontano da quel luogo.
Scrissi di quei giorni, di quel giorno e manca forza per rileggere, ripensare, riflettere.
Non voglio, non riesco ad affrontare nuovamente quelle ore, quegli istanti e… no, non posso pensarci, no e non importa se ne e’ valsa la pena, il coraggio oggi non vale quello che ebbi.
Da allora ogni anno torno in quel bar e continuo a pagare il fio di aver combattuto e vinto, non senza perdite, non senza dolore, non senza pupille dilatate e voglia di capire fino a che punto ho bruciato la vita, dilaniato l’anima, venduto il sorriso.
Lo puoi vedere anche nei film, che per amore non puoi morire
Ma puoi soffrire anche cent’anni, senza capire perche’
Le scene perdono colore, e il freddo arriva alle mani
Resti da solo nel silenzio, per raccontarlo anche a Dio
Senti che tutto quello che hai ti scappa via in un minuto
e non capisci perche’ vorresti andare via
poi le tue lacrime in un gesto si fermano in un respiro
e non vedi piu’ niente, non puo’ finire qui.
Rimani come un bambino seduto davanti a un televisore
tu non capisci cos’e’, l’amore.

Entrare senza uscire

In certi periodi, in certi giorni, il tempo si piega e forma onde sovrapposte, identiche nel flusso e nella sostanza.
Piccole differenze, minuscole difformita’ che non servono, non contano, sbavature che accentuano senza sminuire, immagini sfalsate dalle giuste forme e contorni multicolori.
Viali alberati che percorro sempre piu’ velocemente e risplendono nell’aria fresca, nelle nuvole bianchissime e ora posso guardarle, gustarle persino.
Ci sono stati giorni di rabbia, corpo che esplode e mente confusa, pensieri sbandati da controllare, da frenare, da amministrare.
L’estate fu pregna di emozioni, troppe emozioni, troppi accadimenti da gestire e non so, non so davvero come feci, dove trovai la forza di resistere, di controllare, di controllarmi.
Quegli alberi stanno sempre li’, osservano e chissa’ se tra i rami e’ rimasta un po’ di confusione e rabbia, ondeggiare di foglie e destini come se nulla e tutto raccolti in abbraccio raccontassero storia fantastica, lontana e vicinissima, vita senza fantasie, fantasia fatta vita.
Poi merito l’oggi anche se l’oggi non merita me, battaglia per prendere cosi’ poco ma anche questo e’ privilegio di chi osa, di chi vince combattendo rischiando tutto.
Tutto o troppo e non e’ punto di vista, ancora il sangue ribolle, il sangue brucia come lava nelle vene e ancora c’e’ qualcosa che urla ed ha paura, cicatrici infiammate che e’ bene ignorare, non guardare, non ascoltare, mai dimenticare pero’, mai…
Il profumo dei tuoi capelli rende primavera
quest’inverno le foglie non cadranno
e tu non sarai sola
per cercare te stessa tra
le note di una viola.

Megafono

Le parole corrono e sembro fermo, immobile in devoto silenzio e cosi’ e’ innanzi ad esse ma dentro qualcosa saetta, inaspettatamente turbano e volgono lo sguardo in direzioni dimenticate, addormentate e io con loro.
Tutto inizia con la ricerca, col sapere, con l’immaginare, forse col sognare, illudersi e sperare.
Perfetto imperfetto o forse illusione di perfezione e non conosco epilogo o requie se le risposte tardano ad arrivare.
Risposta o modesto accontentarsi, buon viso a gioco meno buono ma non sono convinto, semplicistica ragione, unica ragione e confondo, mischio, amalgamo perdendo senso, tessuto robusto ed avvolgente.
Le parole, frasi intervallate e misteri che si schiudono su altri misteri, domande che pongono altre domande e fa parte della magia in fondo, arcano a cui si crede sempre di dare risposta ma le risposte sono passi nella direzione sbagliata e i quesiti spinte propulsive direzione impossibile, impensabile.
Per questo ho persino timore di scoprire, svelare ma come falena le luci soffuse mi attraggono e la vita e’ piccolo prezzo.
Non imparo, non imparo mai e quanto e’ inutile eppure esaltante, nuova alba dopo troppi seppur magnifici tramonti ma oltre le due dimensioni ci sono cieli, montagne, oceani e scogliere e preferire illustrazioni non e’ neppure giusto, nemmeno sensato.
Le parole, in quelle parole c’e’ aria, acqua e rocce, lontane, ancora troppo lontane ma sta iniziando ad essere bisogno, bisogno piu’ che piacere e piacere e’ gia’ benedizione.
Micro waves me insane
A Blaine cuts in your brain
Sounds like forks on a plate
Blackboard scratched with hate
I’ve seen what you’re doing
Destroying puppet strings
To my soul

Spostare tutte queste ore

Cielo incerto, incerti bisogni, fulgide prospettive, ego gonfio ed irrorato di colori e curiose eventualita’, rapide selezioni di schegge a divenire.
Il volo e’ basso ma veloce, rasosuolo per meglio visualizzare, memorizzare e forse decidere anche se tutto e’ deciso, ogni tassello inquadrato senza errore, senza timore.
Non e’ contesto che genera fantasmi eppure io conosco, ho frequentato quelle stanze con troppa o poca luce, finestre spalancate oppure sigillate nel loro carico di muffe e polveri.
Basta una sola frase, domanda sbagliata, sbagliata risposta e come cambia quell’azzurro di pochi istanti prima, quella terra di morbide piume che diviene dura roccia.
Non stasera no…
Metarfosi non e’ se la prospettiva e’ scusa da accettare senza riserve, esitazione alcuna e le parole non semplificano troppo, scorrendo lente, attrito di giorni che non conducono esattamente dove si vorrebbe.
E’ che mi sento insolitamente freddo quando non dovrei, piccola resa che accompagna passi incerti donando forza e consistenza in futuro a cui non so attribuire colore o contorno.
Tuffarsi in altri mari, verde e calda acqua, separare, separare e non raccogliere, non possedere, non accumulare e accatastare meno possibile, piu’ lontano possibile, nel salone in cui non entrare, non vedere, neppure contemplare.
Conti da farsi e non c’e’ modo di fuggire o forse e’ nel tentativo il successo, la speranza, la possibilita’ e sognare lidi vicini gia’ e’ piu’ che eventualita’, forse e’ direzione.
Zero

Separare

L’immagine e’ precisa, netta, definita nella massima, migliore risoluzione possibile.
Imbastire ricordo e non fantasia e forse e’ proprio cosi’ perche’ la fantasia centra poco, la fantasia e’ un gioco che adesso non serve.
Ho visto ed assimilato, anche mediato, si mediato e non c’e’ nulla di male in questo se unire differenti ricordi, differenti segmenti, tessere di unico quadro, di sola immagine ma assolutamente reale.
Reale come immagine patinata comunque esistita, sempre presente, non mentire nel dire ambita.
So di maturita’, di strette di mano, di abbracci che non soffocano, di parole in transito tra voglia e piacere, incontri come occasione senza noia obliterata.
Io conosco, io so, io vedo, io non ho dubbi e non c’e’ invidia ne’ inutile bramosia, certo riflessione, certo sincera ammirazione, forse perplessita’ su tanta divergenza e qualche domanda d’impossibile risposta, corsa inversa e divergente di tachioni e tutto cambia, inaspattatamente ed imprevedibilmente.
Cosa nasce e cosa muore, mutaforma mascherato da pietra e senza troppi rimpianti non declino all’impossibile e mi circondo di reale, presente senza cadere in trappole mentali, in buche profonde come il passato che non e’ mai esistito.
Hey look, it’s a long lost horizon
Private oceans you can surface a sunrise in
Hearts well ? dodging logic
But nevertheless still permanently surprised

Innerspace

Ho cercato nella memoria i volti della mia vita.
Ho lasciato che immagini divenissero filmati, non piu’ statiche foto bensi’ sequenze tridimensionali, tutti i sensi, in ogni senso interessato ed usato, delicatamente sfruttato e coinvolto.
Curioso processo di raffinazione, sublimazione forse, come estrazione d’essenza e ricostruzione in tempio venerando, imperitura memoria di se’ passando per altrui immagini e forme e gesti.
Segmenti temporali rubati, loop esistenziale che incatena eppure libera sensazioni ed emozioni di un tempo passato, sempre remoto, sempre distante, malinconicamente presente, vicino nei sentimenti.
Quando parte la sequenza, mentre ci si immerge placidi nel tepore di cio’ che e’ stato e’ tenero abbraccio, nostalgia coscientemente idealizzata e coltivata in luce diffusa, girandola colorata per immagini patinate e dolcissime.
Un po’ di bugie, angoli troppo smussati non nel momento ma nel concetto, se e’ stato allora puo’ ancora essere e qui la menzogna diviene tenera illusione.
Forse e’ aggrapparsi a problemi risolti, tranquillita’ del passato allo zenit, scrematura senza compromessi nel suo meglio al meglio, massimo idealmente raggiunto.
Strano sovente il criterio, giochi dell’Io in precisa scelta di inesplicabili principi sempre corretti pero’, sempre giusti, sinceri soprattutto, curiosi, misteriosi magari e inaspettati.
Bello rimane il navigare nelle proprie acque come fossero altrui luoghi e in essi farsi condurre in un gioco antico e vedere quando vedere e’ vivere, conferma di essere.
I’ve been here before
There is not why, no need to try
I thought you had it all
I’m calling you, I’m calling you
I ask for more and more
How can I be sure

Grigio come

Stato d’attesa, stato di manutenzione, stato di sospensione.
C’e’ un tempo e so che quel tempo ancora non e’ passato.
Linfa vitale inaspettata e forse la strada e’ giusta, certo la strada e’ giusta semmai e’ esplorare a lungo, percorrere senza fretta, senza fatica eccessiva, passi distesi ed importanti quando importante muta e si trasforma, si cela dietro scuse ed espedienti, parole e frasi, sotterfugi, sottintesi a volte ma spesso e’ con se’ stessi che ci si inganna e fugge.
Ammetto di essere un po’ spaesato, un po’ circospetto con tanta sensazione e nel gioco di specchi rifondo energie e voglie, voglie di tempi gia’ stati eppure da vivere, ancora e oggi e domani, compensazione di ieri.
Sento e vedo, mai ora solo dopo, scansione e rincorsa, immagini da campionare per periodi indefiniti, per giorni indefinibili e potenzialmente, eventualmente possibili.
Rincorsa di mattini a volte sereni, visione parziale come specchietto retrovisore perche’ innanzi vetrine vuote e scure e sole ma dietro altre vite ed e’ fascino di una volta, coraggio e arroganza, altri astri, altri alberi e non voglio pensare a nulla, nulla che non venga da molto lontano, da silenzio bandito e risate piccole ed immense, sincere, ecco sincere.
Attesa, tempi, tempi d’attesa, abito d’ordinanza e sguardo compito, imperterrito al cadenzare dei minuti, delle percentuali, di cio’ che si perde senza tornare e l’attesa e’ snervante, ancora di piu’ il senso dell’inutile e del vuoto, del vago ed esserne responsabili fa male, molto male anche se ci si abitua come a tutto del resto.
Sono qui nell’ordine e confusione e’ chimera che non desidero, ma se solo il volo finisse allora terra sarebbe oasi, potrebbe dissetare, sfamare, soddisfare…
Just a step cried the sad man
Take a look down at the madman
Theatre kings on silver wings
Fly beyond reason
From the flight of the seagull
Come the spread claws of the eagle
Only fear breaks the silence
As we all kneel pray for guidance

Ritorno al mare

Striscia di sole che avanza come sospinta dal vento fresco.
Profumo lontano giunge da chissa’ dove, attraversa alberi che lo accompagnano con grandi e plateali gesti, giungendo a me dopo aver invaso ogni anfratto, avvolto case, percorso strade.
Non e’ pace, nemmeno tranquillita’ e non puo’ essere, non potra’ mai essere ma certo stupisce la semplice osservazione di sereno e normale accadimento.
Normale, niente e’ piu’ normale in questa era di superlativi ed assoluti.
Il dimenticato piacere della ricerca del punto esatto d’equilibrio, estremi come pericolo non cosi’ eccitanti come li si vorrebbe, come ci raccontano debbano essere in una corsa finalizzata alla tensione, alla reazione, all’esagerato riscontro di costante allerta.
Dimenticare, dimenticare troppo e troppo in fretta, questo e’ il grande male del vivere sempre sul bordo delle cose.
Si, dimenticare e ritrovare, come quelle pagine di Ellis catalogate con sufficienza che illuminate dal chiarore limpido dell’aria e innalzate dal portentoso vento divengono passione e gioia.
Come la voce sconvolgente dei Nightwish che mi emoziona alle lacrime, lacrime che aria calda disperde, confonde, porta lontano mescolandole con chissa’ quali altre, con chissa’ quante altre, ma del resto di cosa sono fatte le nuvole per oscurare il sole, per dare tregua dal sole, per non rimanere sempre e solo abbagliati ma godere dei particolari, delle ombre, di cio’ che si lascia indietro e recuperarlo, magari tra rami poderosi e arrangiamenti d’orchestra, campane lontane e qualcosa che ho trovato ma che ancora non so cosa sia.
My first cry neverending
All life is to fear for life
You fool, you wanderer
You challenged the gods and lost
Save yourself a penny for the ferryman
Save yourself and let them suffer
In hope
In love
This world ain’t ready for The Ark
Mankind works in mysterious ways

Anche una follia

Con la sua musica c’e’ stato un incontro atipico in un periodo davvero strano della mia vita.
Anni di passaggio, crescita quando inizia a chiamarsi invecchiare, un ragazzo in fondo ma qualche inquietudine d’adulto in giorni confusi e frenetici.
Stava cambiando cosi’ tanto che solo l’incoscienza sapeva occludere alla vista la folle velocita’ con la quale sfioravo lo strapiombo a bordo strada e proprio quell’essere libero coincideva con caos e confusione imperante.
Febbre di crescita e ricordo dolore e sudore, risate e spregiudicata esistenza, menzogne ed immense verita’.
Era estate, era caldo, ero pazzo, ero sconvolto, ero candela che bruciava da entrambi i lati e la sua musica fu strano approdo ma provvidenziale nella tempesta.
Nessun soldo di verita’ era ancora stato pagato forse perche’ avevo il cuore duro o forse essere amari e’ prerogativa di chi e’ giovane, prima che divenga cinismo, afflato acido che gli anni ti lasciano addosso.
Sentivo immenso peso di notti blu che da li’ a poco sarebbero state amiche consuete e a volte cercate e nel sole accecante quelle note erano impermeabile per l’anima, carezza per troppi lividi su un volto non ancora pronto, non ancora preparato, incosciente ma non insensibile.
Acqua e fu acqua di naufragio sfiorato, illusione di capire cio’ che ancora oggi mi e’ precluso ma e’ l’ennesimo privilegio di chi ha ancora un piede fuori dal resto della sua vita.
Un po’ di anni dopo lei disse che la canzone col mio nome era fatta con un pezzo di me e forse aveva ragione, ragione in quel violino, in quel ritmo sostenuto ma non veloce, nei fiati leggeri e ancora ricordo, ricordo tutto.
Forse non ho saputo amare abbastanza o semplicemente non ho avuto parole per descrivermi e oggi non conta poi molto perche’ altre parole vagano ancora nell’aria, cercano ancora meta, equazione senza soluzione perche’ soluzione e’ ballare, ballare di tutto.
Gente trascurata, si
fino a domani nell’oblio
qualcuno che mi vuol parlare
puo’ darsi anch’io, gentleman
ma questa e’ un’ora in cui
cantavano le docce ormai
una canzone d’acqua in cui
non c’ero io, gentleman.
Facciamo un po’ di letteratura
con la miseria della mia bravura…

Migliaia di volte

Irrequieto e un po’ nervoso cerco calma ovunque mi giri.
Il piano di Lewis e’ piccola sosta ma non meta e lacerato vago tra arrangiamenti orchestrali e percussioni elettriche che fanno male anche a basso volume.
Mi concentro pensando a che farei stasera se schioccare le dita fosse realizzazione di una voglia e la mente gira a vuoto tra immagini veloci ed inutili, guazzabuglio di note senza schema e struttura.
Birra gelata a stento rimanda a inetto protagonista di qualche telefilm senza dissetare, senza soddisfare, senza suggerire alcunche’, rimando a squallido epilogo da qualunque lato lo si guardi.
Questa sera non ho patria o scopo, musica o poesia perche’ non limitarsi a galleggiare nell’inutile mare dell’altrui consueto.
Accompagnare con inerzia oppure, oppure cosa.
Scrivere cio’ che penso, dichiarare cio’ che ora dorme e poi ottenere cosa se non ludibrio meritato e certo senza ragione, senza concreto risultato.
Tentazioni di minimalismo, contrazione ad un passo dal surreale e potrebbe essere esperienza se potessi desiderare fortemente qualcosa, se suono industriale risvegliasse quanto e’ assopito ed irritato, se gravita’ fosse astrazione matematica e rapide rotazioni il miglior trasporto possibile.
E’ tempo di riappropriarsi di un po’ di gelo e con esso rendere stasi stato permanente, illusione lo sia oggi, adesso e domani i nuovi sussulti domineranno terra e cielo, balzi leggeri di realta’ ma regalano sorrisi e grandi pacche sulle spalle, soldi finti e caramelle e forse un senso, anche superficiale, magari scomodo ma almeno da possedere realmente…
We stand or fall
With your future in another’s hands
We stand or fall
When your life is not your own
When white turns to red
In the not too distant days
Will force and misery
Be the life you have to lead?