Non sono lontano, sono solo in un posto in cui non voglio stare.
Mi ci abituero’ ma ora e’ aria pesante da trangugiare, aria che mi circonda maledicendo chi a pochi passi osserva curiosando nella vita di chi oramai non si comprende piu’.
Poco inebria, abitudine ogni giorno diversa sebbene ciclica di brioso stile e medesima natura, contratta metafora.
Non so, non so cosa si possa osservare e non pretendo esclusiva o inebriante unicita’ malgrado ricerca non appartienga a nessun altro, non invoco celebrita’ e predominio perche’ in mondo singolo individuo e’ insieme pieno, globale esistenza, raccolta senza scarti ed omissioni.
Certo, come questo suono sintetico vago da passato troppo remoto a improbabile futuro e poco m’illumino ma fievole luce narra di mutazione, lentissima trasformazione, consapevole energia, senziente sguardo al di la’, nel campo di erba giovane e mai calpestata, virgulto laddove terra morente e sterile pareva dominare.
Se domandi cosa vi sia oltre ghiaccio azzurro la risposta e’ infinita distesa di bianchi elettroni, lingua da descrivere facilmente, gelido e fisso sguardo, concentrata analisi priva di calore ed emozione.
Neve nascosta dal fuoco forse e’ chiave rivelatrice per chi ancora ha voglia di cercare, scivolare non come condizione ma affermazione del proprio essere, urlo rabbioso dell’attenti, proclamazione d’assoluto.
E’ forse cosi’ difficile? Sono talmente distante da confondermi con anonima macchia, banale sfumatura in tinta d’arredamento?
Non essere e non sono e non e’ segreto, non e’ metafora, non e’ altro se non quanto sole riflette, quanto terra evoca, osservare ed accettare e almeno domando, si qualche volta domando…
Che cosa eri non lo sai piu’,
un viale lungo davanti a te,
alberi immensi sul tuo cammino.
Una ragione per vivere c’e’
la mente vola, non ti conosci piu’
Ora sai cos’e’ la voglia di pregare
ora sai cos’e’ la forza di sperare
Categoria: dblog
Dall’inizio
I confini piu’ difficili da scoprire sono quelli che ci si e’ posti, forse perche’ il tempo passa e i giorni che corrono sbiadiscono scritte ed intenzioni ma talvolta il quadro e’ piu’ confuso di quanto effettivamente appaia.
E cosi’ che importa, perche’ cercare sempre, sempre, sempre un significato, un senso, un desiderio da esaudire, una missione da compiere?
Che canzone di tantissimo tempo fa regredisca la mia coscienza ad epoca meno sazia, tronfia, al tempo in cui i suoni erano nuovi e i giorni sperperabili in superfluo benessere.
Canzone che porta pioggia, giro di chitarra e basso come danza propiziatrice, voce distorta che e’ voce di tutti, epocale esplosione sonora di rara potenza, d’incredibile impatto, scontro frontale che fa dimenticare, che invita ad andare oltre, a scavalcare ennesimo ostacolo.
Potrebbe essere campana nel verde di collina smeraldo, domenica di sole, festivita’ di primavera e quel profumo mi ferisce qui, adesso, lontano.
Casa fatta di legno, finestra su universo inesplorato, luogo che non mi appartiene ma vicino, dolcemente solidale, accostato al volto e al cuore mentre voci straniere ormai non mi toccano piu’, non mi sentono piu’.
Illudersi di esserci, uscire dal manto di nubi e vento, cavalcare un soffio tra le case, tra quei volti grigi, ritrovare quanto smarrito senza chiedere aiuto e perche’ no, essere quanto ci si aspetta da me, magari senza pagare troppo, senza rinunciare a troppo.
Difficile e’ deludere in silenzio, senza rancore, senza accondiscendenza ma ancora piu’ difficile e’ non deludere affatto nel donare comunque consapevolezza, certezza, costante nell’incostanza, inenarrabile, imperscrutabile, generoso perche’ io.
There might have been things I missed
But don’t be unkind
It don’t mean I’m blind
Perhaps there’s a thing or two
I think of lying in bed
I shouldn’t have said
But there it is
Vapore
Gira diversamente e non solo fuori, turbini cessati, lampi sporadici, quiete imperante, solita agitazione come stagione pretende ma e’ superficie ruvida, pelle squamosa che rimane sulle dita.
Poco acido, sempre quello, sempre il solito, bile che sgonfia ed uscirne non complica il giorno, pensieri rallentati perche’ ora pensare non serve, esercizio per non perdere abitudine e rabbia, stile libero tra flutti incatramati seppur habitat abituale.
C’era un tempo e c’e’ ancora, c’e’ un ciclo e ci sara’ sempre, ripetizione forse non circolare ma ellisse allungata di parvenza aliena eppura notissima, gioco d’illusione nella bruma di un mattino che tarda sovente a giungere.
C’e’ chi non aspetta, chi agisce mentre passi lenti solcano il tappeto consunto, privo di ogni splendore e lucentezza, piu’ certezza che necessita’, indulgente superfluo, coperta in tiepide notti.
Messa in moto ma e’ gia’ partito, comico inseguimento perche’ poco importa in fondo e aspettare non conviene, aggredire, azzannare alla gola un po’ di piu’.
Se solo sapessi goderne, raccogliere un briciolo di azzurro e farne riparo ma i miei occhi non sanno guardare oltre il fitto strato di nubi e del sole ne serbano ricordo lontano, forse leggenda quando non troppe leghe mi separano da esso.
Sfiorire ma non si applica, non sovviene quando serve e in fondo non serve, inesplicabile sussurro che da’ tempo fine a se’ stesso, inutile propaggine, estensione atrofizzata, uccello senza ali.
Magari e’ stata scelta, forse avversita’, forse genesi inevitabile e’ che gli spazi aperti ancora mi confondono, i colori brillanti non s’impastano in forme, scheda solitaria mai e’ novella e la mia fantasia non e’ piu’ quella di una volta, gambe pesanti, cuore pensante e poco istinto, sporadici desideri mascotte di un divenire sempre piu’ improbabile ma queste foglie a terra almeno sollevano un po’, dolce volo, il piu’ bello, l’ultimo, il solo.
And I am not frightened of dying, any time will do, I don’t mind.
Why should I be frightened of dying?
There’s no reason for it, you’ve gotta go sometime.
Tutto tranquillo
La memoria fa il suo sporco mestiere di mentire, mentire e proteggere, forse distorcere ma non questa volta.
No, questa volta no perche’ certe notti ti spezzano qualcosa che non si aggiusta, non si aggiusta piu’.
Poi il tempo, suo degno compare, rimette insieme le cose e le copre con danze e balli, spazzatura venduta come oro zecchino, innaffia terreno con vino scadente e getta cibo in aria, giusto per non far mancare nulla.
Funziona, funziona sempre ma sotto spazzatura e calcinacci c’e’ crepa profonda, c’e’ peso del fallimento, dolore di aver fatto male e ancora non comprendi come.
C’e’ una pellicola e c’e’ un uomo che non puo’ parlare, un uomo che a stento si muove, appena sussurra un perdono e quel dolore che paralizza e lascia inerme come bambino impaurito indietreggia negli anni, mai troppi anni e il solo ricordarne presenza e’ terrore, e’ sguardo che si abbassa, e’ desiderio di espiare, di cancellare, di urlare, strapparsi il cuore dal petto per smettere di sentire, di vedere, di chiedersi dove fosse finita l’anima, la voglia di comprendere, la forza per uscire da un dolore senza fine.
Senza fine, si… senza fine…
Ora ricordo e quella grande finestra tonda era porta sull’abisso, quelle immacolate pareti bianche l’unica fortezza possibile, auto in strada amiche, piu’ vicine delle stelle e quelle lacrime vere come piombo fuso sulla carne, quegli occhi arresi nella loro prima debolezza guardavano gia’ in bocca al futuro, al destino deciso come asfalto impennato verso il cielo, bisettice di bene e male, verdetto di condanna con unico giudicante e giudicato, colpevole senza riserve, eterna stupidita’ come pena, eterno non divenire delle cose, purgatorio e c’e’ di che ringraziare in fondo.
Che canzone dovrei ascoltare ora quando non c’era musica nelle vene e le parole scivolano inutili perche’ esiste linguaggio che comprendi con tremanti mani gelate, quando la strada termina in muro sporco e scrostato, quando perdono e’ privilegio che non meriti ma c’e’ chi superiore t’investe e illumina.
Forse canzone c’e’ ma non e’ mia, non appartiene a questo cosmo, non gira su queste corde ma ugualmente l’accetto e non lenisce dolore, non accompagna il sonno, non abbandona quella ruga e se il niente di oggi, di domani, di tutto e’ inutile prezzo lo pago volentieri perche’ senza sarei banale colpevole, piccolo uomo, indegno volume.
Forse e’ poco ma e’ tutto, forse e’ niente ma non ho altro, davvero…
Did I disappoint you or let you down?
Should I be feeling guilty or let the judges frown?
‘Cause I saw the end before we’d begun,
Yes I saw you were blinded and I knew I had won.
So I took what’s mine by eternal right.
Unico corso
Credo nell’energia, nella potenza, nell’onda d’urto, nei bassi che sgretolano fondamenta, nel colpo secco al cuore del mondo, nella distruzione che crea, nel pensiero che si fa acciaio, nel pensiero che si fa carne, nel pensiero devastante motore del progresso.
Odo arpeggi di violini, timpani profondi e per un singolo, infinitesimo istante tocco la Verita’, sfioro cio’ che realmente e’ lasciando a terra questo inutile florilegio di menzogne sapientemente imbastite.
Cerco ordine, simmetrie perfette in orizzonti pendenti, deviati e devianti e attonito mi ergo dritto contro storture di ogni genere e grado, inutile trascendenza certo ma ancora alzo il calice e non sarebbe possibile senza.
Io detentore dell’unica forma di elevato esistere?
Si certo e chi puo’ affermare il contrario se non cercando di usurpare contestato e privilegiato ruolo?
E’ una questione di metri, pochi metri alla volta da percorrersi a basso profilo ma e’ lo sguardo, si lo sguardo che punta e dirige, sono gli occhi che danno direzione e comandano il braccio, speciali lampi, porte di un pensiero che cerca di essere libero e talvolta, solo talvolta vi riesce.
Poi inseguo un metodo, scavo nel profondo del terreno e se sprofondo non importa, se cado mi rialzo e so che alla fine la chiave e’ nel cuore, nella resistenza, nella volonta’ di proseguire colpo dopo colpo, forse con quei timpani a cadenzare il ritmo, dita strette sulle corde, suono compresso come molla cineticamente contratta e davanti ci sono io, la direzione infinita, la voglia di abbattere ancora qualche muro e la necessita’ di un ricordo che valga, una lacrima che sciolga, un sorriso che spiani le montagne, un cuscino su cui abbandonarsi.
Force yourself to use your brain,
The only way to gain,
A lot of things are just a lie.
This world we love comes down in pain
With hate and bloody games
A question-mark up in the sky.
Artigli nel ghiaccio
L’uno vive in una sfera molto differente da quella dei molti, le sue regole sono diverse, talvolta paiono bislacche, altre eccentriche, spesso incomprensibili.
Deviante creatura, mutante e mutevole, sfuggevole alle catalogazioni seppur mitizzato nel comprimerlo a topos bidimensionale, astratta pantomima, ridicola maschera.
Non e’ mai la sola apparenza dei fatti a definirne atteggiamento, non e’ mai la filastrocca raccontata per zittire, sorprendere, stupire e raccontare la verita’ per quanto in essa sia radicata oltre la maestria del lessico.
Funambolo, si mostra sicuro allo spettacolo, sorride come se il mondo fosse un luogo meraviglioso, sprezzante gestisce e comanda ma dietro ai movimenti sicuri e misurati c’e’ fatica immane, quella che chiude gli occhi sprecando lacrime, c’e’ poca luce, molto cielo, troppa energia, poca illusione.
L’uno non comprende la lingua dei molti ma voci lontane di paesi e terre oltre il tramonto sono familiari, stranamente vicine, calde come una coperta sotto la quale rifugiarsi quando il freddo paralizza e non lascia spazio ad alcuna forma di calore.
Voci che paiono colmare spazi siderali e alte onde del tempo, provenienti da epoca che a stento individua, piu’ simili a ricordo altrui, sogno di bambino e non distante realta’.
Cio’ che l’uno non sa e’ che i molti non esistono, i molti sono frutto della sua incapacita’ di danzare, di muovere passi bislacchi per onorare cio’ che e’ stato, cio’ che poteva essere accettato e goduto.
I molti corrono e rapidi rispondono a chiamate che non riconosce e forse e’ difesa e se anche non fosse e’ bene non dire, non far capire, non distogliere lo sguardo dal dito che copre il firmamento intero.
Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you wanna find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise.
Affilato minore
Ampia, ampissima macchia sulla luna, sfuggevole luna, sguardo rotondo con movimento asincrono, vibrante, sussulti nello spazio da confondere movimento con riferimento, onda senza criterio, senza logica, senza senso che non sia fuggire ed ingannare.
Il cuore fa male e stringo il petto tra dita contratte ma e’ solo un istante che termina presto tra ricordi e occhi luminosi tra erba alta.
Lo stomaco impreca ma quando non lo fa, quando mi lascia sperare, pregare forse, inginocchiata voglia di luogo fresco e asciutto negato da troppe maledizioni, troppe elucubrazioni.
In un viaggio che non sento piu’ di fare, nel centro esatto di altra vita che scivola annoiata, svogliata rassegnazione alla quale credere sempre meno, li’ proprio li’ tra peripezie sempre piu’ insensate, sempre piu’ stanche e grottesche un singolo pensiero che conduce a infinita tristezza, incommensurabile rassegnazione.
Voglia, voglia prepotente di qualcosa che non ho avuto, forse rinunciato, si rinunciato io, io colpevole delle colpe del padre, debole di atavica debolezza, inettitudine inutilmente disprezzata perche’ mio e’ il marchio, mio e’ il cerchio tracciato attorno ai piedi e queste gambe che lentamente si piegano non destano pieta’ o comprensione.
Mi aggrappo alle parole che affondano e io con esse ma a questo punto che almeno possa fermare il battito, tracciare confine tra scherno e menzogna, ridicola bugia alla quale credo senza alcuna riserva.
Ora avrei avuto di che scrivere tra le pagine in cerca di inchiostro, imbarazzante bianco che traccia percorsi piu’ marcati di qualunque novella, di ogni racconto ma l’autunno sta arrivando prima ancora di poterlo evocare e cavalca il Bach di Gould, sulla punta delle sue dita il leggero peso dell’eternita’, della fine che dell’eternita’ e’ preludio e nell’assolo sussurri e sospiri, sentita emozione, abbandono finalmente se solo non fosse altro inutile desiderio, semmai girotondo ultimo, sguardo ultimo, ultimo e forse primo grazie.
Banale mistero
Autenticazione non necessaria e in virtu’ di questo non devo spiegare niente, giustificare niente, ammantare niente di bianco candido.
Circoscrivere una vita intera sta diventando offensivo, gabellare inconsistenza e sforzo da dedicarmi come immane fatica decisamente grottesco, promulgare con soave ed ironica leggerezza l’idea di immobile stazionare, vagare abbaiando come cane ferito, animale zoppo senza futuro.
Se le maledizioni esistessero allora avrei ragioni per crederci, se la pelle fosse liscia e compatta potrei accarezzare e sciogliere ghiaccio col solo planare di tocco leggero ed essere cosi’ delicato da sorprendere persino me stesso.
Non chiedermi dove sono quando non mi interessa affatto scoprirlo, non chiedermi chi sono quando l’interesse riguarda occupazione di un solo minuto e poi basta, basta, basta inconcludente analisi se osservare e’ condizione minima e sufficiente.
Cosa serve ripetere, che importa speculare in eterno, attesa di milioni d’anni su unico punto in immagine estesa e dettagliata e non e’ il quadro a interessare, non e’ simbolica rappresentazione ma astrazione del sopra e sotto, del diverso, del parallelo, dello speculare ed opposto, complessita’ fatta virtu’, possibilita’ e non ostacolo, non restrizione, spazi aperti che invero non interessano e non posso pensare ad altro, conclusioni negate, convergenze noiose, parola unica in unico dizionario di troppi volti che divengono uno, che agiscono come uno, che pensano come uno, che sfioriscono come uno, che sfiancano come uno.
Questa volta no, questa volta correte a destra e a sinistra come inutili insetti tanto non mi troverete e se cercherete le mie tracce, inutile farlo scrutando avanti e dietro, forse guardando fuori potrebbe servire di piu’…
Suppose I were to tell you that the meaning of dreams
is not all that it seems and the ultimate truth is a lie.
And you are just a puppet who can dance on a string.
Do you feel anything?
Would you Laugh? Would you care? Would you cry?
Cosmo e silenzio
Sedimento di scorie, mistiche visioni di case, divani, piccole scarpe, grandi cene, mura ridicole ed illusorie ma ugualmente possibile qualche volta almeno, non sempre.
Ogni oggetto sintetizzato in specchio, fotografia e provare e’ vangelo, e’ parola d’ordine, e’ quello scatto nel cervello che coinvolge ogni muscolo per ferirlo, mortificarlo e cosi’ esaltarlo e perdio sentirsi maledettamente vivi in quest’onda blu elettrico che sfianca eppure esalta.
Comunque vada…
Parole che non ho mai, mai, mai, mai udito in tutta la vita e in giorni come questi non potrebbe importare meno, in periodi come questi non fa alcuna differenza ed e’ cristallino che mai l’ha fatta.
E’ nuova polvere o poteva esserlo e l’ho sentito aggirarsi furiosamente, muscoli tesi e bava tra denti aguzzi, risata che gela il sangue e arroganza di supremazia nello sguardo.
E’ nuova gravita’ accelerata o poteva esserlo ma ho fermato il tempo, ho viaggiato a lungo, sono tornato e ho ricordato, ricordato quando dolore aveva un senso, quando lacrime bruciavano come acido, quando forza era opzione e non scelta e mi sono alzato, alzato cosi’ velocemente che e’ arretrato, balzato in avanti con l’energia di un esercito che conquista continenti che senza accorgemene le mani erano gia’ sporche di sangue, tagliate con schegge delle sua ossa e non un respiro, non una goccia di sudore versata, pentimento opzione non accettabile.
Sorpreso ancora mi penso vittorioso e di quel sangue scorre sulla lingua il gusto e rido seppur non del tutto convinto pensando a chi non crede quanta strada ho percorso oggi, quanto cammino gia’ compiuto verso quel luogo che solo io so essere reale, solo io so essere mio.
Temple of the evil, Temple of the weak
no one knows how bad he feels
Late-night innuendo, tempetation of the key
“Live with the Blacksheep, live with me”
Decorazioni
Il loro elettro-rock rivela qualcosa che troppo spesso dimentico di avere.
Qualcosa… qualcuno, forse… Avere… essere, forse…
Si trova nella stanza abbandonata, quella esposta al rigore invernale anche quando il caldo soffoca e spezza la volonta’.
Si nutre di insetti, piccoli animali, giorni dimenticati e bile, muove gli occhi gialli e cattivi in ogni direzione, senza tregua, sempre alla ricerca di liscie ossa e rabbia.
Artigli rugosi e scoordinati disegnano ellissi nell’aria, unghie spezzate miste a intonaco sotto piedi nudi e sgraziati, movimenti solo in apparenza misteriosi e bassi gorgoglii, mantra alieno, cantilena di esseri il cui ricordo e’ negato persino alle stelle.
E’ vestito di nero e rami spogli, polvere e bava, lacrime d’odio e tremore persistente, stranamente incede lento quando puo’ essere lampo nello squartare gole, lacerare cuori, smembrare arti.
Entro piano, guardingo, sicuro della mia forza ma incerto nei riflessi, lo guardo, ricambia beffardo e capisco ancora una volta di piu’ che mia sara’ la vita ma suoi i mondi di cio’ che non e’ stato, gli spazi sconfinati disseminati di errori, cosparsi di orrori, terre emerse di progenie d’incubo, primordiale energia che disperdo mentre egli accumula e conserva e raffina per scopi a me ignoti.
Pero’ ho la sua musica, suoni elettrici ed elettrificati, sintetico battere e d’incanto ancora lo controllo, ancora dentro, profondo, esorcizzato mostro solo prigioniero perche’ comunque a lui devo liberta’, esistenza, completezza, lui mia libbra di anima, lui incolpevola vittima, lui, io…
Very little hope I assure you.
No. If a god of love and life ever did exist…
he is long since dead.
Someone… something rules in his place.