Non distinguo nuvole reali, nuvole sconnesse eppure tratteggiate coi colori dell’autunno, del freddo, dell’umido e dell’asfalto scivoloso.
Sovrastato dalla massa di pensieri, rinuncio a discernere e scorro con noncuranza su superficie compatta e chissa’ che l’insieme assuma un senso che altrimenti singolo frammento non puo’ dare.
Mi muovo con la certezza di chi ha controllo cosmico, imposizione delle mani che irradiano ordine e composto riassetto, imperante eppure silenzioso, schematico e decifrabile seppur complicato, algido e ai piu’ sfuggevole, ignorato, persino indifferente.
Sorrido sull’inutilita’, m’inebrio di cio’ che non serve, che non realizza, che non compie e desidero urlare, bramo dolore e come ascetico comprimo corpo e mente laddove il corpo cede, urla e rantola, dove la mente incapace puo’ solo spremere endocrino liquido nel sangue, esplosione di un motore che puo’ essere veicolo d’impressionante progressione e potenza.
Credo di aver toccato qualcosa, solo sfiorato forse ma come plasma infuocato si e’ forgiato e come lupo e’ corso veloce, fiero, feroce, indomito.
Acciaio ben temprato ho sfidato sorte e destino, senza chiudere gli occhi ho calpestato confine e vento gelido si e’ levato, saetta d’energia ha incendiato terra e cammino, tuono d’avvertimento ha scosso montagne ma oggi no, oggi io sono vento e saetta, tuono e montagna.
Un po’ piu’ confine e riempio le parole di desideri notturni, nordici echi e speranze che sanno di vittoria, di ricompensa, di passione, di redenzione…
Sweet boy, come in
I am the dark side of you
Die for my sins
Like the One once did
Cinnamon bed
For your unashamed appetite
A figurante
This dance will hurt like hell
Categoria: dblog
Ombre di giallo
Trasferisco ricordi come tra vasi comunicanti, aggiungere e togliere, livellare pur riadattando, trasformando, gioco di prestigio per non conoscere quanto e’ noto, sbalordire, forse tremare, avvicinare ed allontanare.
Sento un soffio sul viso, come sussurro di labbra che svelano segreto, unico e solo mistero, ultima porta da aprire, forse botola da scoperchiare, pero’ che fare a questo punto, in questo momento.
Potrei avere torto e l’orgoglio non centra, resisto alla tentazione di crescere aiutato da questa strana vita eppure non riesco a non pensare che quel buio alle mie spalle sia molto piu’ profondo di quanto ritengo possa essere e come insetto mi attrae luce pulsante, morbida e vivida.
Cosa dovrei ascoltare, quanti occhi devo avere, perche’ il movimento ha piu’ assi di quanti riesca a gestire, osservare, studiare, comprendere.
Scivolata laterale per sfuggire, per aggredire, per confondere ma nel gioco di specchi confusione regna sovrana e in uno spazio senza tempo mi aggiro scambiando i ricordi per quattro note, brumose notti con immagini confuse ed incomprensibili.
Autoanalisi, introspezione, minuziosa ricerca e come piccole pepite preziose emergono antefatti, strani collegamenti, sensazioni, si sensazioni a fiumi e come fluida memoria, acqua che scivola e circonda, avvolge roteando, sovente riscalda, altre incupisce e sferzante vento gelido agita rami secchi come scheletriche braccia in cerca di un cuore pulsante, cuore lontano, cuore vissuto.
E allora indietro, indietro in uno tempo finito che pare illimitato, spazio frattale in cui minuzia e’ mondo, verita’, soluzione, speranza, silenzio.
Some things were perfectly clear, seen with the vision of youth
No doubts and nothing to fear, I claimed the corner on truth
These days it’s harder to say I know what I’m fighting for
My faith is falling away
I’m not that sure anymore
Silenzio sul mare
Che suono ha il silenzio?
Forse sintetico in battere lontano ma vicinissimo al cuore, pianoforte sfiorato non percosso e stato di attesa che conduce in interregno freddo, solo passaggio, passaggio si.
Che suono hanno le onde?
Cuore che batte sicuro, palpito sincronizzato, preciso, preso per mano come fanciullo che deve scoprire cosa e’ il mondo, un mondo meraviglioso distante poche manciate di sabbia, molte ore di pace.
Leggero riverbero ma e’ regolare, tutto e’ regolare, vibrazione nello stomaco senza urto perche’ anche la terra ha il suo cuore ed e’ un cuore liquido, caldo anche se gelato ed e’ voce dal fondo, violino dedicato alla luce.
Straziato di bellezza smetto di ascoltare e cammino a mia volta in un sogno che non mi appartiene, desiderio che costa una vita, che vale una vita laddove il coraggio e’ perseguire un bisogno forse irrazionale ma proprio per questo irresistibile e ancor di piu’ offrire il proprio sorriso al fallimento, alla sconfitta, all’innaturale abbandono del quotidiano per farsi condurre sulla via maestra e non e’ cammino di seconda mano, non e’ accovacciarsi inerti ma scoprire la scoperta, rivelare quanto gia’ noto.
La morte e’ orrenda tra lacrime e disperazione, in sepolcri marmorei grigi e impolverati, ma altresi’ mutata in foto donata alle acque, corsa liberatoria e un oceano intero di ricordi e passioni.
Allora siano quelle ore, quei giorni, mesi di preparazione per un destino che non significa condanna ma compimento sublime e supremo e cosa manca in quell’unico e ultimo momento se nulla e’ invano, se tutto si e’ compreso e perdonato, se quel silenzio e’ divenuto canto meraviglioso che solo il mare puo’ udire?
L’isola
Ringhiere arrugginite, cromature tanto lontane, luminose trasparenze nella scintillante e concreta resistenza e nel suo opposto e’ visione di casa gialla in mezzo ad un lago.
Piccolo motore ma e’ propulsione, invocazione esaudita, fuga si fuga in quel luogo, quel piccolo luogo in cui realta’ ha origine, laddove il niente e’ acqua immobile e brulicante di vita, corpo diafano con poche stelle ma luminosissime.
Nell’acqua la vita inizia ma nell’acqua finisce per ricominciare anche quando ripartire e’ spostarsi solo un po’ piu’ in la’ e poi fermarsi per emergere sorpresi ma calmi, placido camminare, deciso inoltrarsi, senza segreti, senza piu’ ricordi, eterno presente.
Gelosia di una passione e tutto e’ perdonato se c’e’ purezza di sentimento, se la vita si giustifica con la vita, se nascondere invero e’ rivelare, segreto nella nebbia, segreto nel buio.
Immergersi ed e’ scambio tra mondi, invasione di altra realta’, penetrazione del suolo nell’ultraterreno, vivi che terrorizzano, dominano regno creduto mistero, un dito sotto il mare, a mille kilometri dal vento.
Affondare per riemergere e una volta liberi niente fa piu’ paura, non la morte, non il sesso, tantomeno la vita.
Ciclicita’ del cielo, costanza dell’uomo nelle patetiche miserie quotidiane, grandi gesti solo espressione dell’ordinario mentre e’ il coraggio di acciaio nella gola, nel ventre, nell’anima, sacrificio necessario, passaggio obbligato laddove il sangue e’ benedizione, rito primitivo, dolore che conduce, guida e glorifica.
E’ che la vita si nasconde dove mai ci aspetteremmo e allo stesso modo si conserva, scambio di ruoli, inversione di potere e tendenza e li’ nel predominio ritrovarsi, raccogliere una essenza e farla propria donandosi a propria volta, immolarsi sull’altare dell’eternita’ e ripartire dalla piu’ piccola delle cellule, atto dovuto, segno deposto, nuovo seme, nuova conquista, nuovo uomo.
Se e non puo’
Perdo senso di elasticita’, statua di sabbia e fango, fragile paccottiglia e voglia, bisogno di mare, acqua grigia, eterea figura che fluttua come fantasma.
La mia bocca e’ sigillata, deformata, plastica infiammata, escrescenza filamentosa ed indurita, maledizione fatta carne.
Nuovo oggetto tra mani deboli, testa ciondolante e non so quale demone mi impedisca di scivolare, cercare l’oblio della sconfitta, la polvere, la polvere come ritorno, come amica, come preludio di sinfonia mai scritta, orchestra che mi osserva immobile in cerca di un cenno, un movimento, un gesto che e’ liberazione ed inizio.
In piedi, capo chino, non ho nulla da dire, nulla da fare, paralizzato, incapace persino di respirare, vorrei arrendermi ma non posso, non ne sono capace.
Stringo cosi’ gli occhi e urlo inutili maledizioni, imprecazioni alle stelle ma e’ la terra, la terra a non lasciarmi scampo ma non so altrimenti dove trarre sostentamento, forza, coraggio, determinazione, ancora un po’ di dignita’, qualche sogno, il ricordo della speranza.
Qualcuno che abbia un immeritato posto per me che non puo’ essere mio perche’ il piu’ grande degli spazi e’ prigione minuscola se la felicita’ e’ ombra riflessa del passato, spettro che non ricordo neppure di aver incontrato.
Giallo non e’ oro e pioggia non e’ benedizione, niente e’ cio’ che appare e quando smetto di credere niente puo’ piu’ credere in me e cosa aspettarsi diversamente.
Sono buio, scintilla spenta, alba senza sole e mi dispiace, io non ho piu’ niente, io eco lontano, sordo rivebero, vento appena passato, promessa disillusa.
We’re rotten fruit
We’re damaged goods
What the hell
We got nothing more to lose
Castello di carte
Pioggia consueta e bagliori, rifrazioni, riflessi come stelle colorate precipitate sul parabrezza.
Confusione di ombre distorte che corrono, auto nervose, inconsapevoli, perdute ed impazzite, vetrine dilatate e poca vita dietro, ancora meno fuori.
Orario di fuga, fine dell’ennesimo inutile pezzo di vita ed e’ palpabile la mancanza di ricordi, di esperienza, del minimo epico necessario ma sono altresi’ convinto gli dei invidino l’umana banalita’, l’inutile peregrinare, la pochezza dei sentimenti.
Follia di lamiera e ruote, sprofondare lento appesantito da kilometri e pensieri mentre fuori la realta’ si scioglie in scintillante e caotico magma, torrente che trascina non so dove, non so se uscirne e la musica d’un tratto stordisce, fa male, ripiega tempo logica e cambia sapore, muta corpo e ogni cosa torna semplice, non banale ma comprensibile, umana.
Odore, odore di finta pelle e se estate sarebbe tanfo, rumore metallico, vibrazioni antiche e aria calda che sa d’olio, di ingranaggi, di cinghie e sorriso fuori autorimessa.
Quante stelle, quelle non sono cambiate, meno colorate forse, meno intense, piu’ agitate certo, repentine, magari piu’ allegre, certo e’ cosi’.
Prospettiva diversa, asse inclinato ma anche allora pensieri, immagini, disegni sull’umido del vetro, luce scolpita, nuove deviazioni, divertenti variazioni, stupore e incanto di un viaggio verso casa.
Quella musica era attorno non dentro come ora ma da qualche parte e’ filtrata, insinuata in gironi secondari del cuore e con essa ritrovare voglia di protezione, sensazione gia’ sfumata eppure presente di far parte di qualcosa, importare, importanza, importato… amato.
Quella musica, si quella musica era la musica di casa, suoni di mattoni riscaldati, di lenzuola pulite, di una stanza che sapeva essere statica terra e paio d’ali e al di fuori che importa, mezzo non tramite, solo mezzo, solo…
Has the light gone out for you?
Cause the light’s gone for me
It is the 21st century
You can fight it like a dog
And they brought me to my knees
They got scared and they put me in
All the lies run around my face
And for anyone else to see
I’m alive
I’ve seen it coming
Sonatina
Basta, basta domande, basta risposte, basta incessante ripetersi di voci, lamenti, schiamazzi, grida e fuori, fuori da qui, tutti quanti.
Il problema non e’ e certo non e’ mai stato rivelato perche’ mistero o enigma, invero e’… dovrei decidermi su questo.
Continuare ad illudermi di non sapere, di non conoscere, usare i ricordi come terra incognita oppure svelare cio’ che non voglio sentirmi dire, cio’ che preferisco non scorgere se solo girassi lo sguardo nella giusta direzione.
Forse e’ presto per ascoltarmi, forse non saro’ mai veramente pronto e ancora una volta non c’e’ chi ascolta per me e non sono ragione sufficiente per far muovere labbra fin troppo abituate a salti, voli, capriole, montagne splendenti.
Intanto, si intanto il tempo passa e quasi piu’ nulla e’ ricondotto a quanto ricordavo e davvero non riconosco piu’ niente di cio’ che sapevo.
Dove sono, dove sono finito, chi sono queste persone, che stanze abito, a chi appartiene quell’albero di giorno in giorno sempre piu’ spoglio, rami bassi verso terra che freddamente non attende, non vuole aspettare, ignora senza passione, senza pieta’ e compassione.
Ascoltare cosa, sapere cosa, specchio distorto di evangelico volto e piuttosto sia realta’ incomprensibile e solo immagine riflessa che come bambino, ingrusgnisco voce, piedi in punta, camice che tocca terra e gioco nel prepararsi a una vita che del resto non ho mai gestito sino in fondo.
E allora che consueta irrealta’ mi sia amica e compagna, solitudine dinnanzi la quale non fuggo piu’ da tempo e respirare forte, piu’ forte del necessario, nettare, piu’ nettare del previsto e lucente grotta innanzi a me, tunnel di suoni, si i miei suoni, musica.
Dovrei pero’ chiedermi perche’ ho tante canzoni da ascoltare e nessuna da cantare…
And being alone is the best way to be
when I’m by myself it’s the best way to be
when I’m all alone it’s the best way to be
when I’m by myself nobody else can say
goodbye
Giardino sospeso
Non c’e’ abbastanza jazz in queste sere, rabbia ingiustificata filtra emozioni scindendo colori in sfumature primarie senza compremessi, contrasto faticoso da gestire, iperbole che a tratti pare troppo ripida e chiudere gli occhi, trattenere il respiro e’ necessaria precauzione per non precipitare, per non avere troppa paura, per mantenersi in perfetta perpendicolare all’instabile terreno.
Rughe leggere al minimo sorriso e a stento freno strisce di gelatina e materia perche’ evitare e’ salvezza e condanna nel contempo, propulsione distruttiva a contrasto di immobile agonia e potrei persino prenderci gusto fintanto che i polmoni mi sostengono, mentre false certezze carburano motore esausto, vuoto serbatoio calcificato, ammaccature interne non piu’ riparabili.
Uscire ed e’ fuggire mentre aria rinfresca e colore sorprendono, farsi seguire dalla strada senza piu’ niente da dire e lascio siano le nuvole a raccontare, il primario bisogno di sopravvivere malgrado tutto, nonostante lo stato perenne d’imperfezione che come crepe su liscia parete distolgono e confondono, decentrata analisi, immagine sfalsata e non rimane altro che abbozzare circostanziato assenso e in fondo che altro rimerrebbe da fare.
Divenire qualcuno che attende e disprezzarsi per questo ma ben altro e’ da osteggiare, affrontare senza impegno, senza calore, senza passione cio’ che fugge e seguire e’ un po’ fuggire, come se al di la’ di dove non posso vedere sia riposto un sole piu’ caldo di questo, asfalto meno scosceso, sfera perfetta non di questa terra, ammirevole precisione che a stento comprendo laggiu’, magari troppo, altezza sufficiente ma non la giusta, distorsione, distorsione, distorsione.
Essere prospettiva e che l’ottica divenga opinione, variabile e non piu’ costante, eventualita’ e non problema, fuoco sul ghiaccio di ogni giorno.
My home…was a place near the sand
Cliffs…and a military band
Blew and air of normality
La Voce
Incredibile quanto sia tutto cosi’ distante da cio’ che sono, da cio’ che voglio, da cio’ che desidero ma io non lo sono quanto dovrei, quanto vorrei, quanto sarebbe consono ai crepitii, ai sussurri velenosi, all’abbondante e stupido vociare.
E’ voler smettere di sognare quando notti sudate scalciano il giorno dietro grevi tendaggi putridi e impolverati, ancorano queste pesanti gambe in mare di calce e urla e quei sogni, quei maledetti sogni si affacciano alla fine dell’alba lasciandomi esausto e quella voglia insensata di non fermarmi, partire e smettere di bere, mangiare, riposare, pensare, lasciare i perche’ a giorni in cui morale era porseli, millenni nei quali albergava senso del giusto che ancora filtrava sole davanti agli occhi, verde al bordo strada smeraldo.
E’ non avere abbastanza amplificazione, potenza che abbassi braccia sospinte verso l’alto, gravita’ che ribalti confusione e rotazione, giostra con biglietto scaduto, tagliando non valido, diritto mai acquisito.
Vibrazioni e qualcosa si muovera’, quelle immagini sul fondo chissa’ non diventino invernale mare agitato, vento gelido che finalmente uccida cio’ che ancora vive dentro quelle voglie, dentro la maledizione di svegliarsi sempre nel posto sbagliato, nella musica che ha molte, troppe note che non so smettere d’amare.
Voglio precipitare nel baratro del quotidiano, nell’oscura metastasi del ristorante domenicale, nello sfolgorante sorriso delle feste paesane, nel divano sola oasi serale.
Voglio udire il viaggio trasversale della puntina sul mio disco preferito, urlare tutte le mie colpe vere e presunte che siano e non essere perdonato da nessuno, non essere accettato da nessuno, non essere compreso da nessuno e scontare ridendo la condanna ad essere cio’ che sono, ricordando con rimpianto quando non e’ mai avvenuto, esistenza irreale fatta carne e volonta’, confondermi, implodere in unica epoca, tempo scandito e basta biforcazioni, eventuali fratture, pensieri divaricati, sommesso dolore, fragile sguardo, inutile sicurezza, domani fatto ieri quando imparo che non ho un tempo mio e saperlo fa sempre piu’ male.
Forceful and twisting again
Wasting the perfect remains
I’ve felt it once before
Slipping over me
Sweetly the voices decay
Draw on the lines that they say
I’d lost it once before
Now it cries to me
Area
Non esiste alcun cerchio della vita, non per me, mai per me.
Ho un inizio e una fine, due punti distanti e uniti da rocambolesche ellissi, terra incognita attraversata da curiosa esistenza e il cammino delinea ogni angolo, tutto quanto c’e’ e se ogni istante e’ mistero, partenza e arrivo unicamente noti.
L’eternita’ che cerco non e’ nel ripetersi sempre diverso e sempre uguale di strada infinita perche’ non iniziata, il mio infinito non e’ staffetta, non gioco di squadra, non misera e minuscola umanita’, non inutile rincorrersi di carne, ossa, arti sconnessi e compressi.
Non piu’ delegare, ritenermi parte di insieme che mai altro ha contenuto se non questi muscoli, questo pensiero, dotazione di chissa’ quale entita’ ma certamente conquistata metro dopo metro, a volte sprecata, altre giunta a guardare immeritate valli, sopravvalutata si ma altrettanto sottomessa a fobie e manie distruttive e deleterie, debolezze, debolezze letame dei miei giorni, scorie delle mie notti, acido che ha corroso quanto di meglio ho avuto ed unica forza e’ stata ricrescere, rigenerare il perduto essere, impossibile ricostruire, forse abbozzare, certo reinventare e se ripercorrere quei metri e’ rabbia che brucia e consuma non v’e’ altrimenti scelta, nessuna diversa possibilita’ e sia, continui invero ad essere.
Nessuno arroghi diritti e pretese pero’, tantomeno ignobile destino, inerte fato, parcheggiata sensazione di dovere qualcosa a qualcuno.
Ammissione di responsabilita’ e non so essere pretesa o sensazione, senza confronti, senza accostamenti, padre e padrone incontrastato di terre e soli pero’, banchetto con cio’ che mi appartiene ma qui mangio solo, qui unico coperto, libagione infine meritata, mia.
Now the starlight which has found me
Lost for a million years
Tries to linger as it fills my eyes
Till it disappears.
Could it be that somebody else is
Looking into my mind?