Mi domando se consapevolezza sia accettazione e seppur vero sia confessione che assolve e non confessore, intermediario necessario per frapporsi tra ego rassegnato e completa realizzazione.
Forse un viaggio come altri, solchi ripercorsi come impronte seriali di stupido animale ed eccessiva sicurezza, solita routine, abbandono degli strati superiori di pensiero questa volta potrebbero aver dischiuso inequivocabile ragione.
Letteratura, letteratura, unica porta oltre la quale la vita non brutalizza, semmai amplifica sensi e ragioni, difende e protegge, avvolge calda e ponendo mani su petto e fronte conduce laddove il buio della ragione ignora e teme.
Ascolto parole e comprendo tempo, strana equazione la cui soluzione e’ stata mia a lungo, informazione slegata da contesto e come numero vergato su bianca carta nulla e’ valso sino al congiungimento con la naturale operazione che lo giustifica.
Puo’ essere facile, dolorosamente semplice, persino troppo ma se rivivere cio’ che ha spezzato e’ frutto di altrui emozioni cosi’ simili, cosi’ intercambiabili, cosi’ vissute da confondere identita’ con incubo allora ricordo trascende senso e interpretazione, sintesi del gettare per non ricostruire, non riformare, fine di ogni rivoluzione quando evoluzione e’ bloccata, implosa, castrata, morente.
Se fossi nobile questa sarebbe oramai un’ode, un canto pregno di speranza quando tutto puo’ essere perduto, libero osanna a firmamento tutto perche’ non ascoltare non significa non sentire eppure no, non sono pronto ad accettare, a perdonare, ad essere perfetto generato da imperfezione, rumoroso silenzio nel boato, nello stridore, nel lacerante constatare che abbastanza non appartiene a questi occhi, a questo petto, a questo agitarsi in bolla soffocante che chiamo essenza.
I covered my face with my hand and broke into the hottest tears I had ever shed.
I felt them winding through my fingers and down my chin, and burning me,
and my nose got clogged, and I could not stop, and then she touched my wrist.
Categoria: dblog
Piccolo prezzo
Minuscoli indizi suggeriscono che qualcosa non e’ cresciuto dentro me e ha reazioni inconsulte, talvolta incomprensibili, curiose, divertenti persino se non destassero dubbi, domande, perplessita’ nella maledetta ricerca d’inutili sensi e spiegazioni che invero no, non interessano piu’.
Improvviso rallentare e mi conosco perche’ e’ difesa, istinto, puro istinto di conservazione al quale cerco comunque di sottrarmi, forse non fuga, mantenere la distanza e porsi in privilegiata osservazione, costante visione da non perdersi mai, pena debolezza, eccesso di silenzio, sonno, sonno che fa male.
Mi chiedo se esistere sia increspare superfici liscie, ingabbiare fiamme libere, offuscare diamanti, selezionare nella quantita’, rimescolare perfezione.
Esistono infinite varianti e la condanna e’ scartare non scegliere, altrimenti facile gioco in serio ed impettito contesto creatosi chissa’ quando, chissa’ come.
Intanto onde adiacenti a onde passate rinfrescano ancora il candido pagina e c’e’ uno stacco netto e preciso che so riconoscere in mezzo al frastuono e non mi e’ dispiaciuto essere nel riflesso di un evento minore ma importante per il solo fatto di essere poi ricordato, poi incantanto, un po’ rimpianto, un po’ orgoglio.
Magari e’ indefinibilmente strano quanto altezze e pesi delle memorie si rivelino cosi’ diverse da quanto prospettato e cio’ che ci si lascia alle spalle e’ vento che spazza e pulisce oppure copre e insudicia.
Comunque e’ patina che impreziosisce immergendo visuale distorta in dorato liquido facendone arte e meraviglia, forse ingigantendo, immeritatamente esaltando ma trofeo non e’ materia, massa non significativa in contesto morale, simbolo, l’idea sulla concreta realta’ e chissa’ che accadrebbe a trasformare realta’ in idea…
I can see the glow of a distant sun
I can feel it inside
Maybe this day could be the one
I can hear the roar of a distant crowd
They are waiting for me
Calling my name
Shouting out loud
Restare dove sei
Posso ridere, credo di si, far finta di nulla, battere dita e mani e piedi e terra e lamiera sagomata forgiata da menti stupide ed irrequiete ed alla fine e’ un contatore che ruota in cilindro infinito, percentuali, lente percentuali, forse unica percezione del fluire del tempo.
Come in gioco infantile mi giro cercando di sorprendermi ma sono sempre piu’ avanti dei miei desideri, delle mie voglie, del girotondo incessante ed e’ strana coperta fatta di rovi, di spine, di odori andati a male eppure bisogno calore trascende dolore e sensazione di sconfitta.
Mi domando ragioni, mi affermano dinieghi, scrivo chi sono e descrivo un’altra persona, un’altra cosa, oggetto curioso che non so maneggiare quanto dovrei, nella misura in cui c’e’ un sentiero oltre il tuono, una luce oltre il lampo, vento caldo che mi fermi, che mi plachi, che mi faccia sentire parte di qualcosa, sensazione sempre piu’ preziosa, sempre piu’ ambita, desiderio, elegante conclusione di giorni pervasi da sguardi amari, navigazione a vista in acqua nera e fangosa.
Gioco ironica carta ma l’oggetto di scherno sono io, io che continuo a domandarmi quando e’ giusto rispondere a domande un po’ piu’ alte, risolvere sistemi piu’ complessi ma certo piu’ consoni, piu’ esaltanti, piu’ miei e cio’ basti.
Neppure e’ questione di certezze ma le certezze non esistono, anch’esse incognite secondo collocazione, posizionamento, relative coordinate in sistema mobile ed indefinito poi si, manca quel minimo d’assoluto che calcifica la notte stracolma di strani sogni a giorni aridi in cui trovare fonte fresca e’ continuo rimandare, attesa perenne, chimera del silenzio, chimera della luce.
Intanto l’attesa si prolunga, il contatore pare immobile, scorre cio’ che e’ stato, termina il dovere, si avvicina l’oblio, a ventaglio si schiudono innumerevoli scelte, tutte sbagliate e reazione e’ guardare senza toccare perche’ qualcuno capira, qualcosa restera’.
Into this night I wander,
it’s morning that I dread,
Another day of knowing of
the path I fear to tread,
Oh into the sea of waking dreams
I follow without pride,
Nothing stands between us here
and I won’t be denied
Bordo strada
Ero altrove, non saprei come altro definirmi.
Quelle strade erano piu’ pazze di me, quel volante, quel cruscotto, luci basse, lampi, scintille negli occhi, accecanti presenze, grigio e verde, mescolanza, caos, caos, caos…
Illudersi di essere liberi dalla schivitu’ di se’ stessi solo per un gesto, un simbolo, inutile prova di coraggio che coraggio non e’ quando e’ la disperazione a guidare i pensieri e le azioni.
Quanta enfasi, che misurato degrado, quale funambolico simbolismo e gretto calcolo ma cio’ non confonda perche’ se appare confine invero fu ultimo baluardo di realta’, contatto con un mondo non piu’ mio, mai piu’ mio mentre forza di follia e dolore mi trascinava in alto lassu’, verso l’ultimo degli inferni e con un dito, un singolo dito contatto con pavimento, mura, casa, futuro, tutto quel futuro che m’illuse di essere giunto e lo fui davvero se solo non avessi scelto differente fine, alternativa esistenza.
Chiaro e luminoso come quella notte bagnata, fu sapere che nulla avrei trovato ma quando l’ultima possibilita’ rimanente e’ cercare allora la corsa non puo’ cessare, nulla si puo’ fermare perche’ la fine e’ nel dire basta, e’ nel momento in cui accettare e’ ammettere di essere solo un uomo, un infinitesimo di un insieme sensato nel complesso, inutile nel frammento ma quando si e’ quel frammento, quandi non si accetta un ruolo, un destino, una battaglia seppur vinta allora lasciare e’ perdersi e perdersi e’ un urlo che risuona nel cervello mentre resti paralizzato su una sedia illuminata da spot e talk-show, cene grigie e finestre chiuse.
Nulla trovai ma cercare basto’, sufficiente e superfluo raggiunsi risultato di perdermi e cosi’ alzare ancora una volta gli occhi, sopravvivenza evocata, arcaiche forze, riflessi minimi e comunque bastanti.
Quante altre eventualita’ mancate, infinito perdono da invocare, spartiti di canzoni che non potro’ mai piu’ ascoltare eppure raccontare un po’ aiuta, esserci per farlo qualcosa in fondo significa.
Tu affogando per respirare…
Tu il mio orgoglio che pu
Cattedrali
Sento freddo e non e’ da me, non e’ cosi’ che mi muovo nel giorno, nel colore delle ore, nel respiro che scorre tra le mie dita mai troppo veloci, sempre un passo avanti ma con progressiva fatica, salita inarrestabile di cima che non so fino a che punto vale la pena scalare.
Nel vortice ruoto e che altro potrei fare, come uscirne, perche’ uscirne quando e’ sufficiente distendere le braccia per torri di pietra come isole sospese nel cielo, punte d’ineguagliabile altezza e maestosita’.
Forse solo ora posso permettermi il gelo quando sembrano secoli e non ore che ghermito dalla confusione ho persino pensato di trasformarmi in automa inarrestabile, acciaio immarcescibile e colonna portante dell’intero mondo, cancellare forma umana e racchiudere le mie ceneri in meteora, forse cometa, si cometa.
Minuscoli pensieri distratti da voce mai udita, parole complesse che comprendo come mie, mie lettere, mia energia ed e’ come attraversare spirito che da un eterno divenire mi accompagna nei duri momenti in cui volere e’ piu’ difficile di possedere.
Le mani tardano a scaldarsi e traggo sostegno da canzoni che hanno fatto di me cio’ che vivo, musica di ceramica bianca e cerchi dentro cerchi, vetro azzurro e quella scatola nera di monolite sostanza, culla d’uomo, trampolino in stupendo vuoto, vuoto di tutto e non nulla, aria di piume, morbide nell’urto, dolore nel stazionare soddisfatti.
Ora sorrido ma c’e’ stato altro tempo confuso con altro luogo, con nessun luogo ed orizzonte degli eventi conserva immutata l’immagine di cio’ che non puo’ svanire, non riesce a sfumare perche’ quello e’ il punto in cui materia e’ energia, collasso di tempo, convergenza, convergenza…
Questo freddo e’ da allora che e’ dentro me e quella voce non e’ abbastanza per sentirlo uscire dalle ossa come sole riflesso sul ghiaccio ma posso accontentarmi, so farla bastare perche’ anche sola scintilla sa creare un cosmo, un cosmo che gia’ esiste pensandolo, volendolo, desiderandolo.
In a matter of a moment
Lost till the end of time
It’s the evening of another day
And the end of mine
Now the starlight which has found me
Lost for a million years
Tries to linger as it fills my eyes
Till it disappears
Could it be that somebody else is
Looking into my mind
Che mi butta via
Certe notti mi perseguitano, la notte successiva e’ ombra della precedente e il giorno veste di fantasma velo che non permette visione mirata ed e’ vagare con eccesso di lentezza e fiacca circospezione.
Il coro e’ meraviglioso contrappunto che non mi stanco d’ascoltare e fuggendo s’avvicina in ellittico movimento che riconosco familiare e ambito.
Vorrei inserirmi in quel coro ma non c’e’ spazio per parole che non ho scritto, che non so pronunciare, tantomeno cantare ed eccomi fuori luogo, fuori contesto, spaesato, triste inutile scudo di delusioni e promesse disattese.
Voce sorridente sentenzia che non sono dove dovrei essere e vorrei tanto che quel sorriso non divenga beffardo ma non posso farci nulla, trascende la volonta’ sopportando imprecazione incastrata nello stomaco, acida, inutile, cattiva polemica, sterile come reazione ad evento distante milioni di parsec, altra galassia, altro spazio, altre canzoni, altri pensieri.
E cosi’ staziono sullo stretto marciapiede delle notti che vivo, lunghissima striscia quasi a togliere un grado di movimento ma posso cadere girandomi, ignorando piroetto ma e’ posa nemmeno divertente, sottilmente necessaria perche’ andare sta divenendo facile anche senza un motivo.
Rispondo allora con ghigno selvatico, tanto che importa se avanti e indietro e’ baratro, destra e sinistra solo noia, basso noiosa salvezza ma in alto ancora potrebbe esserci qualcosa non molto distante da un balzo che invero non compio senza neppure un perche’ preciso e definito.
Ora no, ora inesplicabile tristezza mi ancora vicino e lontano, vicino al cemento, lontano dalla tautologica essenza dell’esistere che da qualche parte ancora si nasconde, forse laddove giuro e spergiuro di aver gia’ guardato, di aver gia’ parlato, di aver gia’ osato.
Una parola detta piano basta gia’
ed io non vedo pi
Misura silente
Uscendo nell’aria ho respirato aria ed e’ stato come fosse la prima volta.
Ora di grugniti davanti telequiz, ora di lamenti e mugugni, ora di maledizioni cosi’, giusto per non perdere ritmo e cadenza.
Odore dolciastro e caldo e stranamente non fastidioso, poche auto ed e’ ulteriore anomalia ma la citta’ sembra stranamente rilassata, impropriamente silenziosa, placidamente adagiata sulle propria ossa, rigurgiti rimandati a un domani sempre troppo vicino.
Guardo verso l’alto, incontro un cielo anch’esso stanco, indifferente, bravo mestierante nel carico di stelle annoiate e poco ispirate, luna opaca forse un poco infreddolita, senso dell’inutile che talvolta e’ benessere.
In tutto questo respiro ancora e apro gli occhi, occhi a fessura da tutto il giorno, occhi che non hanno voluto vedere forme solo macchie, qualche colore, sfumature giusto per distinguere, per non cadere, per non sdraiarsi arreso e perduto.
Un quanto di tempo per non sentirsi solo, non tranquillo perche’ tranquillita’ e’ fermarsi, tranquillita’ e’ per chi e’ giunto senza arrivare e per coloro che oltre ogni aspettativa hanno superato un traguardo inimmaginabile.
Io no, io ho scelto e voluto, io ho la mia stella troppo lontana, la’ laggiu’ da quella parte, fuori portata dalla vista, piu’ vicina al cuore che al calore, singolo violino di un’orchestra che da tempo si e’ allontanata dietro le quinte, voce che in solitudine suona con ardore per una sala vuota sapendo eppure che qualcosa rimane sul pregiato damasco dei sedili impolverati.
Ho respirato e non per vivere, non per non morire, non per sottrarre ossigeno alla terra, non per dovere e banale incondizionato riflesso.
Ho respirato per me, perche’ ogni tanto me lo merito, perche’ e’ quanto di meglio possa dare, avere, sussurrare e se un respiro puo’ essere tempesta allora io sono quel respiro, io sono quella tempesta.
At night
I hear the darkness breathe
I sense the quiet despair
Listen to the silence
At night
Someone has to be there
Someone must be there
Cicli dei progetti
Vi sono luoghi che non conosco e che neppure immagino ma l’astrazione d’essi e’ destinazione che quotidianamente raggiungo ed esploro per kilometri e kilometri, tessuto materiale di strana consistenza tra fredda realta’ ed astratta concezione d’irrealizzato bisogno.
La storia e’ un gioco della mente e girarsi di lato, distrarsi il tempo di un racconto ed ecco che i ricordi si deformano sotto il peso e la spinta di menzogna calcolata e studiata da chi di menzogna vive.
Non importa, non e’ importante dal momento che metodo ed obbiettivo sono limpidi e stampati a fuoco nelle mie braccia e innanzi gli occhi si stagliano come percorsi infuocati che nulla lasciano al caso.
Estirpare i simboli non e’ operazione semplice, puro simbolo talvolta se un concetto sta alla base delle azioni conseguenti, se l’idea e’ sangue di un corpo che altrimenti non vive, non prospera, non ha ragione d’esistere e respirare allora il rischio c’e’, esiste ragione e motivo d’imprescindibile compatezza e d’impossibile separazione.
Nuove fondamenta allora, decostruire e ricomporre riempiendo volumi con spazio vuoto che non e’ aria bensi’ nulla che sostiene eppure satura ed e’ oggetto al pari di fango e cemento, luce nella luce, buio nel buio, sostituto non immateriale perche’ di tutta la materia e’ composto.
Cio’ che rimane e’ stato visto mille volte ma un milione di finestre sono li’ pronte per mostrare panorami inediti, scorci di grandezza umana nell’unica grandezza che l’umanita’ puo’ partorire.
Quando le strade sono serpenti bigi ed inutili pensieri li percorrono prima delle gambe allora non c’e’ cielo invernale che rattristi questo nuovo mondo, non puo’ cadere abbastanza neve per coprire i segni di un trionfo tramutatosi in sconfitta, radioso futuro ora monumento a cio’ che mai avrebbe potuto essere.
Voglio odorare
il sapore celeste del ferro
voglio vedere
il profumo sanguigno del fuoco
esiste lo so
Immagine caduta nella stanza
Come eco da caverna profondissima, ascolto smarrendo senso del tempo ritrovandomi incapace di capire, solo udire, solo sentire e sono brividi meravigliosi quelli che rinuncio a gestire.
E’ notte col silenzio che ognuno merita nella vita ma da qualche parte e’ calda mattina di settembre, afa leggera ma persistente, asfalto mischiato a sete e fame, scarico d’automobili come jungla e tempo di correre, di viaggiare, di buttarmi ancora un po’ via, via nel mio mondo.
Ricerca frenetica, delizia dell’inaspettato, fremito del non ottenere quanto si cerca e poi palpebre che come in film si chiudono e riaprono a dimezzata velocita’, respiro sospeso nel petto, distorsione di realta’ che dura spazio di un sorriso e quel senso di pace misto a eccitazione di chi sente di avere un magnifico presente e un futuro dal sapore di luminosa alba.
Il resto e’ viaggio controllato, incantato, perso, meraviglioso oggetto, sfiorare per non toccare, reliquia la cui arte celata e’ piu’ dell’impronta divina, profano che nulla ha da apprendere dal sacro, semmai reciproco riflesso di comune origine, tacito accordo e pletora d’intenzioni, potenziali movimenti, diramazioni multidimensionali che si dipanano innanzi ai finestrini piu’ veloci dello sguardo ma non della voglia di vivere.
Dopo ricordo mano tremante di diamante su vinile, vibrante crescere, non consapevole ma ora certo di quel piccolo spingersi avanti verso nuovo limite, scaglie di pelle gettate altrove con la felice rabbia di chi sa di muoversi nella giusta direzione, incognito come premio e non punizione e se comprendere appieno e’ privilegio di cio’ che e’ stato, inconsapevole e’ condizione privilegiata, spazio interiore che inizia a raccontarsi, esso stesso luce nell’imposta tenebra dell’altrui concepire e come nuova carne rinascere e alfine riconoscersi.
Native these words seem to me
All speech directed to me
I’ve heard them once before
I know that feeling
Stranger emotions in mind
Changing the contours I find
I’ve seen them once before
Someone cries to me
Da finire
Provare a raccontare non e’ cosi’ facile specie nel momento in cui cerco di spremere e condensare stati d’animo oltre l’esperienza.
Quanto e’ difficile far convivere il bisogno d’ognuno di sbagliare con la prevenzione del dolore, del disagio, della delusione, indurre l’imperferzione evitando irrimediabili conseguenze, traumi che restano e talvolta piegano, inspiegabile spiegato da un tempo che raramente perdona, che ancora meno concede se non cocci che solo faticosamente ricomposti definiscono immagini delle quali niente interessa piu’.
L’arroganza e’ un girotondo che il solo dolore interrompe e c’e’ ogni volta uno specchio con troppa luce, con troppi colori, con troppe bocche che cianciano, discutono, sillabano e cadenzano cio’ che non si vuole udire.
Noi mortali abbiamo il solo privilegio dell’acciaio forgiato nel fuoco, condanna per qualcuno, per me benedizione e privilegio, magari con misura, angolo di ristoro li’, li’ vicino ma nessuna alternativa e’ invero preferibile se non immergendosi nella decandenza, nella dissolutezza, smarrendo l’essenza stessa dell’essere uomo in quanto somigliante creatura.
Filosofia nemmeno troppo antica e non importa si urli sia sbagliata perche’ natura ha ritmi propri irrinunciabili e contraddire e’ figlio di benessere, vizio e perversione, magari stupidita’, ignoranza di coloro che osservano perche’ non sanno agire, ammantati di pavida superficialita’.
Piccola cultura da combattere e costa urla e lacrime ma ricompensa fiera consapevolezza, decisa presenza, nessuna certezza ma si sente di possedere, di conoscere e se accettazione e’ chimera, almeno e’ possedere laddove illusione impera.
Hai paura del tuffo nella polla del plasma!
Ha paura di essere distrutta e ricreata vero?
E scommetto che pensi di aver risvegliato tu la mia carne, ma tu della carne conosci i precisi canoni della societa’, non riesci a superare antiche paure, il terrore malsano della carne…
Abbi grinta o rinuncia a toccare il cielo!