Attorno al mondo

Senza occorgemene fu luce che ora confondo tra tramonto ed alba ma a quel tempo no, sapevo esattamente dove fossi malgrado non avessi la minima idea del perche’.
Mi alzai ipnotizzato e furono passi dolorosi di gambe immobili da secoli, la stanza che si allontanava, pavimento di marmo tenero e cedevole, movimenti di gigante in piccola pianura o viceversa, la sensazione e’ la stessa.
Guardai fuori l’immensa finestra rotonda, cerchio verde e perfetto, tondo da confondere e non capire bene se cio’ che stava innanzi a me era l’intero mondo o solo parte rappresentativa, forse specchio di qualcosa che a stento confinavo come reietto scarto d’esistenza.
Fu incanto, fu stupore, fu bianco talmente puro da ridefinire concetto d’energia, porta spalancata su livelli d’esistenza non altrimenti concepibili ed ipotizzabili.
Aria come emergere da fossa oceanica, respiro che dai polmoni consumava infiammando atmosfera rovente, pelle sudata, incastrato nell’infinita estate che pareva infinita eppure nemmeno iniziata.
Ebbene fu alba e non fu la mia, mi rammaricai di questo e cercai di fuggire o almeno un modo per farlo riuscendo soltanto ad abbassare il capo, rassegnato ma un’alba lo e’ per tutti, lo e’ a prescindere e cio’ che cambio’ fu il comprendere che esisteva un inizio da scovare, da respirare, un tempo in cui calore e’ tepore e confusione solo desiderio inespresso, occasione da cogliere con gioia.
Nuovamente seduto vidi quelle immagini, curiosa ed insensata rotazione, ritmico incedere, elettronica sinfonia, assurda eppure viziosamente perfetta e tutto fu trasparente nel vedermi nero, bianco, argento, rosso e se ogni luce fu pensiero, tutti gli inutili passi brucianti lacrime, sfogo che sa di rinascita, nuovo inizio, violento prezzo, maledizione compiuta.
Era giunto un tempo che ancora non conoscevo, inconcepibile, terribile, disegno perverso, ironico nel suo manifestarsi in nuova rotazione e che cambiava mai, che serviva certo ma quello era il mio cerchio, la mia danza, libero nella mia trappola e se fu scelta li’ germino’, nella luce, nell’aria, nella finestra, nella musica, nella cosmogonia di cielo spezzato, di movimento esausto.

Nero su nero

Trovarsi un po’ li’, perduti ed inutili mentre tutt’attorno avvizzisce e scompare, non senza un lamento, un ultimo grido, latrato talvolta, sospiro altre.
Se dovessi pensare ad un suono sarebbe di cento corde battute con dolce maestria e tenera compassione in un sapore finalmente antico e non etnico, tradizione trasformata in memoria storica, forza d’imperante civilta’ quando il tempo e’ giudice unico ed incontestabile guardiano di verita’.
Anche silenzio se potesse suonerebbe medesime corde ma silenzio e’ solo, silenzio e’ sordo perche’ nulla ha da ascoltare se non se’ stesso e nella luce riflessa grida inascoltato, magari compiaciuto o forse disperato, smarrito nei ricordi, perso nelle occasioni, girandola di una discesa senza fine.
Mi domando cosa accade nel superare quella soglia dalla quale non si torna, fine di parabola alla quale nessun rimedio compensa ed aggiusta e non posso immaginare la sensazione del comprendere che gia’ e’ stato fatto, gia’ e’ accaduto, stupendamente inutile persino riflettere e cosi’ patetico il perderci ulteriore tempo.
Volonta’, la volonta’ e’ energia che non si esaurisce ma semplicemente si spegne con banale interruttore e non v’e’ mai buio, solo orrenda penombra, fioco bagliore e tanto basta per arrendersi soffrendo, ultima visione di volto stanco ed inerme che nulla serve oltre terminale fiotto di odio ed oscuro risentimento.
Ha poi tanta importanza illuminarsi di luci che a loro volta si spegneranno nel fragore dell’assenza, memoria latitante, senso di corsa su breve, forse media distanza, neppure polvere nei millenni di millenni, nessun figlio degli eoni del cosmo tutto, cenere di stelle troppo distanti per essere pregate, venerate, seguite e in quel silenzio anch’esse mi seguono, mi avvolgono, mi proteggono.
Bitter words mean little to me
Autumn Winds will blow right through me
And someday in the mist of time
When they asked me if I knew you
I’d smile and say you were a friend of mine
And the sadness would be Lifted from my eyes

Oro e desiderio

Il sole accecca e stordisce eppure e’ insito naturale gesto, stato di cose e di fatto, situazione provvisoria ed e’ lampo che colpisce, pugno di sordo dolore destinato pero’ a sfumare ed acquietarsi quando stessa stella filtrata da pulviscolo e’ caldo oceano di luce, onda che diviene marea, plasma di densa energia, incantevole ed incantatore, trasporto senza meta in deriva che diviene destinazione.
Affondare e non capire, immergersi e non vedere e c’e’ illusione, abbandono, follia, senso di onnipotenza di chi nulla possiede e meno puo’ perdere, niente lascia al calcolo ora servo del caso.
Staccare le mani, alleggerire la presa che nella morsa controlla e dirige ed incantato in quella luce vedo strada, percepisco cio’ che cosi’ grande puo’ afferrarmi e condurmi e non v’e’ alcuna resa se non nella consapevole e lucida illogicita’ del sogno, qualunque sogno.
Se e’ vero che esiste un libro sui giorni nostri passati e quelli a venire, milioni d’altri narrano cio’ che non e’ stato e cosa non sara’, la fisica di una terra creata da uomini e non dei, sublime ed imperfetta, cronaca non destinata all’immortalita’ eppure eterna nelle generazioni, nelle intenzioni, nelle speranze.
Puo’ quindi la successione sempre piu’ rapida degli eventi deviare senza rallentare, imboccare corsi che non siano ricorsi, fondamenta di rovente bagliore in terra della consistenza di giorni passati, cemento che vuole vestirsi di certezze quando volonta’ e’ acqua e speranza e’ sabbia.
Ho visto eppure non basta, ho creduto di vedere e invero e’ passo in avanti perche’ cio’ che e’ permane statico nell’algida tridimensionalita’ dei sensi ma se dominio dell’uomo e terra di lucido incanto coincidono, allora li’ e’ direzione, promessa forse non mantenuta ma meritata gioia, splendida alba, nuovo inizio.
I lift my eyes from watching you
to watch the star rise shine onto
your dreaming face and dreaming smile
you’re dreaming worlds
for me

Completo profondo

Non sappiamo piu’ vivere perche’ vita e’ dovere non diritto, conquista palmo a palmo di terreno, costruzione verso vette inesplorate non occupazione di altrui spazio, inutile spazio.
Assoluto esiste nella potenza numerica ma relativo e’ umano dono, strumento vitale per misurare bisogni e voglie, per tarare energia e volonta’.
Bisogna uscire, uscire, uscire e fermare tutto, buttare ogni cosa e azzerarsi come aprire gli occhi al mattino e cio’ che appare nuovo e’ matita di quadro forse gia’ dipinto ma mai troppo studiato, sentito, apprezzato.
In qualche modo e’ una sfera che cresce, egocentrico rotolare in ogni direzione perche’ muoversi e’ sentire, e’ cosmogonia dell’unico universo noto, sensato luogo, splendida risposta.
Uscire quindi ed e’ energia che percepisco, che stupisce e sorprende e quale piccola cosa e’ ragnatela di uomini ingordi, di creature stupide intrappolate in utopiche e multicolore celle di sprigionato tanfo d’ipocrisia e orrendo gusto di rimpianta schiavitu’.
La liberta’ non e’ terra selvaggia e sconfinata, la liberta’ e’ un immenso giardino di siepi fiorite recintato, delimitazione che non restringe ma esalta virtu’ e meraviglia perche’ esiste storia per ogni singolo stelo d’erba e allora correre oltre diviene calpestare di patetico essere che non sapendo creare distrugge.
Non so, non so nulla e gli anni come scirocco erodono e spianano ma c’e’ del bello nello sgraziato muoversi di massa alla cui superficie appartengo, malgrado tutto e se cosi’ deve essere giusto, allora c’e’ misura attorno a me, c’e’ susseguirsi di cielo e terra, aria uguale ma sempre diversa, cammino che faticosamente traccio ma braccia alzate chiamano, cercano, a volte sfiorano e quel caldo tocco e’ spinta propulsiva e a fondo il resto quando pioggia e gelo rafforzano, fortificano, dolore che e’ anche aria se ancora serve per respirare, ancora tanta aria…
Mine is the Earth and the sword in the stone
Mine is the throne for the idol
One fleeting moment and it is all gone
Crownless again
Will I fall?

Come pelle

Il sole visto da un pozzo nel profondo buio della notte sembra luna piena eppure nuvola illuminata nell’oscurita’ appare come sole splendente.
L’essenza non e’ parvenza eppure ne definisce proprieta’ e talvolta le piu’ importanti si evidenziano come fari nella nebbia, un po’ come guardare e non capire, coprirsi il volto con le mani ed improvvisamente nessun mistero, nessun segreto, nessun incanto, tutto noto.
Partenza senza ritorno perche’ andare e non comprendere e’ come non essersi mai mossi di un passo e tentare non serve, non aiuta affatto e cosi’ scoprire che piu’ lungo percorso e’ stando immobili con quel tanto di leggero ed impercettibile tremore del collo, palpebre vibranti eppur chiuse, scrigni di occhi che vedono molto piu’ da chiusi.
Vi sono porte che non trattengono un passo fermo e deciso, tantomeno lacrime e speranze in universo infinito ma non cosi’ vasto da non essere percorso nel lasso di un pensiero dimenticato.
La distanza tra deserto ed eterno ghiacciaio non si esprime in passi bensi’ in notti insonni, occasioni in cui ripensarsi, rivedersi, immaginarsi lontano ma non troppo, vicini ma non troppo, felici ma non troppo perche’ le realta’ non e’ mai a portata di mano ma neppure cosi’ distante da non essere raggiunta con pochi sorrisi, qualche affanno, certo rischi ma altrimenti che senso avrebbe.
Pulito ed ordinato, preordinato forse ma ci si illude che il meglio debba ancora venire e costelliamo gli spazi mancanti di flebili luci, tenui colori, illusioni fatte di parole, di immagini, di pensieri, troppi pensieri.
E’ che certe notti udire il proprio sangue solitario scorrere nelle vene da’ adito a piccole recriminazioni, leggere insofferenze, ampie e disilluse aspettative, voglie mai troppo represse, mai troppo ambite, generiche speranze, grandi e possenti corse nel silenzio che talvolta non e’ abbraccio.
What shall we use
To fill the empty spaces
Where we used to talk?
How shall I fill
The final places?
How can I complete the wall

Ovunque ci sia domani

Sorrido teneramente da luogo a cui non appartengo, rialzo invero limitato dal quale posso comunque vedere distanze maggiorate, aria un poco piu’ fresca, terre di poco sconosciute.
Come io sia giunto qui neppure lo ricordo sebbene strada sia stata fatta e ovunque fosse la mente, nella destinazione puntava lasciando poco spazio a margini, ai pensieri laterali, agli straordinari senza obbiettivi.
Non sono poi tanti i volumi che ognuno di noi colma col tempo che passa e se portata rimane distintiva, veri picchi capaci di coprire eppure innalzare sono infinitesimi di piatto totale.
Vedo piccole colline, promontori livellati di massima, forme diverse e’ certo e cio’ che manca in una prospettiva, altra ne guadagna eppure nulla svetta nella topologia dell’eternita’ e nella desolazione v’e’ l’immensa umana capacita’ di evolversi, di crescere e cio’ avviene non nella massa, non nel collettivo, non nell’insieme se non come somma di singole e diverse unita’ ed e’ quell’unita’ rapportata a nessun’altra che migliore e’ delle altre e nel mancato raffronto si realizza e compie.
Se il dialogo quindi e’ sulle proprie abitudini, sulle conoscenze individuali, padronanza di cio’ che si e’ in un luogo popolato da cio’ che si ha, allora non e’ emergere, non serve elevarsi, ingrandirsi, espandersi bensi’ esprimersi quando una pietra puo’ essere pianeta, foglia citta’, pozzanghera oceano.
Non in grado di girare banale concetto senza ergerlo a campione, eppure incapace di accettarlo contraddico per evidenziare, ancora e sempre convinto che peso sia un’invenzione di questa terra mentre massa appartenga all’universo e allora non peso, non peso piu’, non misuro, non misuro piu’ e m’affido all’umano senso dell’esistere perche’ se bilancia c’e’ forse davvero gli ultimi saranno i primi.
Sonno, tu che porti via i bambini
portami via anche questo
te l’ho consegnato piccolo piccolo
riportamelo grande
grande come una montagna
slanciato come un cipresso
che domini da est a ovest

Illogico impercettibile

Piccole magie scorrono come acqua di torrente, elettrico fluido, tensione superficiale che come onda irreferenabile non controllo movimento.
C’e’ la ciclicita’ di corpo con funzioni controllate, la perfezione obbligata di chi cammina su un filo quando tremore coincide con eccessiva sicurezza.
Non so fermarmi, non posso fermarmi, non so sorridere, non posso sorridere ed e’ reazione opposta ad ogni occasione e motivi sufficienti sono rari e preziosi, cosi’ irreali nel solo ripensarci e desiderio si vuole tale, senza ambizioni perche’ ambizioni si pagano in infinite rotazioni di inconcludente stasi.
Nascondo la testa scoprendola ancora sperando nel bianco e nero, quello che ricordo da bambino, informazioni diverse non carenti, compensazione con contrasto perche’ e’ nella luce che le ombre si stagliano e le pieghe della vita, come ferite d’asfalto nel deserto segnano una direzione nel segno di continuita’ oggettivamente infinita.
Di che sarei fiero, quale dote incorporo ed esplicito, alimentare ego non sempre stabile, viaggio sviluppato in verticale piano o sconnesso secondo alterna prospettiva e accettare sarebbe straordinario quando visione muta situazione e considerazione con movimento di camera di fine regista.
E’ che certi giorni cerco suono piu’ che melodia ritrovandola dentro milioni di nuove canzoni seppur arrangiamento alternativo potrebbe risolvere egregiamente, apparenza facile di scivolo esistenziale.
Godersi il viaggio nei momenti di terreno meno aspro non e’ fuga, semmai normale gestione di ore altrimenti dannate, condanna immeritata ed autoinflitta, sentirsi vicini, piu’ vicini alla quotidiana linea da superare che per una volta sia sfida di forza, umana crescita, balzo per raggiungere cielo e non evasione da immonda fossa e se da qualche parte c’e’ un canto soave che dono intanto che cerco, mio sia quel confine, mio il passo per lasciarlo a ieri.
Tutto quello che vorrei
sta nei miei pensieri
che proteggo dentro me
forse prigionieri.
E’ inutile far finta che
li’ fuori sia pi

Fatto per sentire

Se fosse storia, introduzione descriverebbe rocce vulcaniche appuntite e nervose cosparse di licheni ammuffiti sotto un cielo grigio e noncurante che vomita pioggia sottile e pungente.
Musica di ottoni pesanti e timpani ad incessanti colpi percorrono lungo strapiombo in mare color morte e schiuma che come brodo primordiale genera incubi e veleno.
Aspettarsi un cambio di tonalita’, viaggio tra mezzitoni come crepe che impreziosiscono immensa cattedrale, ruga che rende vero e difendersi e’ ripensare a video assolato con gente che balla, magliette colorate, pompe di benzina e nella confusione qualche nota passa e pare pioggia che scava montagne furiose.
Mi invento tra schermo e fredde coperte, paralisi, stretti respiri, non coordino, non coordino bene e lettere sbagliate precipitano su giuste parole, funambolo resto in equilibrio tra infiniti strapiombi e se fossi folle potrei persino divertirmi, anfibio affogare che e’ limbo di un esistere indefinito e in fondo, poco interessante.
Osservo punto centrale che equidistante si sposta con me mentre sfondo scivola laddove e’ sfiorare di dita ma irraggiungibile da corpo progressivamente consapevole d’inutile sforzo ma la vera morte e’ altra ed e’ pregna di lustrini e lucette, bacetti rosa e freddi, sorrisi sguiaiati, umido, umido ovunque su appiccicoso abitare.
Labbra piegano disprezzo e non freno disgusto, nemico dell’ultima ora giusto per non fermarsi mai, per non illudersi neppure un minuto che bianco marmo puo’ essere arredamento al pari di intonaco crepato e scrostato perche’ potrei persino progettare, strutturare, riarredare, elaborare e sarebbe luogo immacolato, pura struttura, calcolo invariabile eppure non potrei rinunciare a caos che potenziale sfonda pareti di flaccida tranquillita’ rigettandomi tra rocce e licheni perche’ se mia e’ terra di confine allora guardiano consento e permetto, osando per vincere, osando per perdere, immortale per esserci.
And i find it kind of funny
i find it kind of sad
the dreams in which i’m dying
are the best i’ve ever had
i find it hard to tell you
‘cause i find it hard to take
when people run in circles
it’s a very very

mad world

Frontale

Ho frugato tra le altrui vite, insinuato come fredda ombra tra le trame di un piccolo e grande ricordo, ingombrante ma non invadente ho voluto guardare dentro, dentro il profondo quasi dimenticato.
Annoiato e poco sorpreso, forse un poco ma niente varia nella sostanza e non dovrebbe spiazzarmi ne’ allontanare da quanto m’aspettassi.
Quindi e’ forse questo l’eden promesso?
Il grande inganno ci ha forse divorati e digeriti e cio’ che resta sono piccole e inutili briciole?
Potevo sapere e gia’ sapevo, moltitudini conoscono e milioni d’altre conosceranno come infinite gia’ hanno saputo ed e’ piu’ sensazione, indotta sorpresa per apparire piu’ innocenti che stupidi, baratto di stupore con incoscienza e malgrado tutto, il cambio puo’ essere favorevole.
Perche’ ragionare su semplice banalita’ quindi, privilegio o condanna di un luogo che assomiglia a nulla e che nulla spartisce con ricordi fatti carne di altra realta’ appartenente.
E’ forse il confronto cio’ che cerco, piu’ facilmente conferma e nessuno osi vedere insicurezza quando algebra del tempo che passa richiede, esige riscontri e somme, totali e parziali e solo arroganza arrocca su certezze inesistenti.
Poi le somme sono giochi piccini, labili desideri o incubi, fluttuanti energie impossibili da cogliere, solo distribuire tra urla e silenzi, compensione e disagio, figlie del giorno diverso da quell’altro, sensazione intangibile che solo talvolta diviene volonta’, sovente disillusa.
Nessun risultato infine, pregevole diversita’ magari e di questi tempi e’ gia’ vanto ma senza conoscere reciproci giardini cio’ che resta e’ ipotesi col mio solo vantaggio di una scelta che non possiedo ma che posso ancora vantare.
And it’s a strange thing
Cause now it don’t really matter
More of the same thing
Don’t even hurt, it’s a part of the pattern
Until I’m through with this blue situation
Pass me the wine, it’s just a minor variation

Altro piano

Ho camminato senza muovermi, ascoltato senza comprendere e viaggiato laddove una volta ero di casa che oggi a stento riconosco se non nella memoria, in cio’ che fu, in cio’ che fui.
Se ho creduto di essere stato troppo lontano dall’esterno allora ragione e’ giunta all’attracco delle convinzioni e ho rinunciato affrontando con serenita’ e distacco cio’ che oramai mio piu’ non e’.
Giungere laddove la terra finisce e scoprire l’inganno che nuovi orizzonti non esistono, nessun passaggio di consegne al confine della vita, no gestioni rinnovate, infinito nulla in stanza del potere, desolante vuoto in spazio giochi eppure cosi’ caro e’ stato il pedaggio, tanti inutili respiri per arrivare innanzi al nulla piu’ inutile concepibile, spazio vuoto pieno di sola delusione e chiusa speranza.
Poi idealizzo, forse discendendo nella valle di erba e passaggi infiniti sorprendendo un minimo di illusione, un protrarsi dilatato, dilaniato, forse disturbante ma innocuo, loop involontario nell’illusione ferma e persistente di libero pensiero, libero ricordo, libero raccogliere.
I luoghi invecchiano rinnovandosi, decadono mutando in altro e luce, luce non indica ma copre, distoglie e perseguita chi in fondo ne cerca limitata curva d’onda, un po’ di calore, qualche sfumatura, colore che non sia forma ma piacevole, piacevole ed estraneo suppellettile.
Mi sono nascosto quindi, lento e guardingo ho cercato certezze e amici nell’alieno che ignorandomi mi ha condotto a casa, nelle pieghe dello spazio ho incuneato energie e ricordi, posseduto un alito di quell’aria che stagnante mi e’ parsa attendermi pazientemente e diligentemente.
Ancora ogni luogo e’ mio luogo e invero possiedo senza volere seppur trono di re assente e che non sia ragione, ragione vera per cui resto, per cui torno, per cui resisto.
I want to run, I want to hide
I want to break down the walls that hold me inside
I want to reach out and touch the flame
Where the streets have no name