Ero altrove, non saprei come altro definirmi.
Quelle strade erano piu’ pazze di me, quel volante, quel cruscotto, luci basse, lampi, scintille negli occhi, accecanti presenze, grigio e verde, mescolanza, caos, caos, caos…
Illudersi di essere liberi dalla schivitu’ di se’ stessi solo per un gesto, un simbolo, inutile prova di coraggio che coraggio non e’ quando e’ la disperazione a guidare i pensieri e le azioni.
Quanta enfasi, che misurato degrado, quale funambolico simbolismo e gretto calcolo ma cio’ non confonda perche’ se appare confine invero fu ultimo baluardo di realta’, contatto con un mondo non piu’ mio, mai piu’ mio mentre forza di follia e dolore mi trascinava in alto lassu’, verso l’ultimo degli inferni e con un dito, un singolo dito contatto con pavimento, mura, casa, futuro, tutto quel futuro che m’illuse di essere giunto e lo fui davvero se solo non avessi scelto differente fine, alternativa esistenza.
Chiaro e luminoso come quella notte bagnata, fu sapere che nulla avrei trovato ma quando l’ultima possibilita’ rimanente e’ cercare allora la corsa non puo’ cessare, nulla si puo’ fermare perche’ la fine e’ nel dire basta, e’ nel momento in cui accettare e’ ammettere di essere solo un uomo, un infinitesimo di un insieme sensato nel complesso, inutile nel frammento ma quando si e’ quel frammento, quandi non si accetta un ruolo, un destino, una battaglia seppur vinta allora lasciare e’ perdersi e perdersi e’ un urlo che risuona nel cervello mentre resti paralizzato su una sedia illuminata da spot e talk-show, cene grigie e finestre chiuse.
Nulla trovai ma cercare basto’, sufficiente e superfluo raggiunsi risultato di perdermi e cosi’ alzare ancora una volta gli occhi, sopravvivenza evocata, arcaiche forze, riflessi minimi e comunque bastanti.
Quante altre eventualita’ mancate, infinito perdono da invocare, spartiti di canzoni che non potro’ mai piu’ ascoltare eppure raccontare un po’ aiuta, esserci per farlo qualcosa in fondo significa.
Tu affogando per respirare…
Tu il mio orgoglio che pu