Naviglio nel centro dell’estate

In qualche modo credo di aver compreso o forse sono in procinto di riuscirci, magari invento comoda verita’ o disvelo banale realta’, apro gli occhi per la prima volta o giro il capo nella giusta direzione.
Divertente e ironico percorso, variegato ed imprevedibile trascorso e ancora una volta fantasia gareggia con goliardico fato disvelando circonvoluzioni e planimetrie impensabili, stanze di folle abitazione nella quale comunque e’ facile orientarsi invertendo stellari riferimenti, sovrapponendo fantasia a ragione, sovvertendo logiche precostituite, forse da sempre esistenti, forse da poco evidenti, quando impossibile era prevedere, indirizzare.
Ecco, fermare l’istante al giro di boa, sfere senza imperfezioni e riferimenti dalle opposte direzioni provenienti e non si puo’ dire, non si puo’ indovinare, neppure scommettere, solo interpolare frammenti di passato con tendenze al futuro e poi stare a guardare con umilta’ e pazienza.
Concorrere per la terra, concorrere per l’aria, spinti dal fuoco, rinfrescati dall’acqua ma cosa sono terra e aria se non diverse cardinalita’ di cosmo tutto da decifrare ed e’ questione d’istante smarrire orientamento e confondere partenza con destinazione, volo con volonta’, spinta inerziale inebriante a sostegno di ruoli definiti eppure erroneamente interpretati se infine invertiti nella sostanza e nell’obiettivo.
E cosi’ eccomi ad ascoltare fisarmoniche francesi, vedo strutture architettoniche collocate tra le piu’ informali delle arti e parole che non hanno dimora oltre cio’ che da qualche parte sento di dover costruire e altrove, in opposta direzione, calici scintillanti, tecnologia di lusso, spreco ed abbondanza, calcolata esistenza in nuova logica, nuova direttiva, algida voce in nebbioso tempio, luogo che un po’ mi pento di non aver debitamente conosciuto, esplorato, tempo perduto forse ma le menti distrutte errano nei fatti e nei luoghi.
Ora che ogni cosa e’ girata, mentre si invertono speranze e desideri, un po’ vorrei conoscere quei posti purtroppo evitati, quei volti spocchiosamente temuti ed osservando cio’ che non sono, infin capire quel che mi ero illuso di essere, felice di essere altra cosa, due riflessi per unica appartenza ed almeno in questo cio’ che vidi fu giusto.
La separazione puo’ essere…
…una cosa spaventosa…

Onirico rituale

Allungo le braccia, occhi serrati e afferro qualcosa, io lontano, il resto vicino, inspiegabile distanza e il metro che conto trascorso e’ continente sulla strada, oltre ogni collina che stancamente ho attraversato.
Rovesciato mondo, piccolo e divertente cumulo di sentieri e case, coacervo d’inutili sorprese dove essenziale e’ aria viziata mentre concetti palesemente alieni muovono idee ed emozionano, tardiva scoperta forse, giusta eta’ per comprendere, anni in cui l’inutile puo’ persino trovare spazio e considerazione.
Fuori fase e fuori tempo esploro dorati pertugi, passaggi polverosi da stupide epoche abbandonati e solo ora percorribili nel silenzio di gente distratta da scaffali e colori, bandiera in mano a pulir coscienza, innalzati da sempre meno a dir cosa e’ giusto e saggio, antitesi paritetica a tesi quando contrapposizione si sostituisce a pensiero realmente libero e tra queste rovine imparo l’arte di chi le ha rese tali e specchiandomi fronteggio nemico gia’ sconfitto, raccolgo armi abbandonate e mie, mie ora, intono nuove strofe, nuove linee da recitare a chi non ascolta, a chi non comprende, a chi potrebbe ricoprirsi d’emozioni ma giace a brandelli tra ingranaggi preziosi e privilegiati.
Traccio cerchio e asintotica linea, poi un’altra ed infinite ancora, qualcosa si materializza e narra vicende in lingua sconosciuta che non comprendo ma so essere importante e il nero e il bianco e millimetrici spessori su rugosa carta dicono che separazione puo’ dipendere da metodo e non idea, dal fondo a domandarsi se pensiero e’ piu’ forte di libri che non ho letto, di insegnamenti che ho rifiutato, di oggetti ritenuti forma senza concetto, di visione forse giusta, forse incompleta, certo da verificare, da sentire e fare propria.
Il resto, il resto solo retorica e spazzatura, parole di chi non sa agire e non vuole uscire da ordinari schemi, coraggio di cambiare lingua, di osservare gli astri dall’alto, di mettersi nell’esatto centro dell’esistere.
And the love that I feel is so far away
I’m a bad dream that I just had today
And you shake your head
And say that it’s a shame

Aureo evento

Mi sono sforzato di far uscire tempo dai miei occhi, dai ricordi e dai pensieri mentre sfioro argento caldo, seta impalpabile, gesto che non m’e’ consono eppure stavolta naturale, voluto, forse desiderato per tanto tempo, spostamento laterale di umanita’ perduta, illusoriamente ritrovata qualche volta, episodi che non smentiscono ma confermano, racconti di assensi e dinieghi, scelte come porte sigillate alle proprie spalle.
Non penso, no non penso all’unicita’ come evento, ricordo statico senza ripetizione o rimedio, forse un po’ di nostalgia in un’ora infinita, imperitura sezione di giorno cristallizzata nel difficile riconoscere scheggia d’eterno ritorno.
Immobile e freddo declinando palesi ma gentili menzogne alle quali credo senza alcuna riserva e non e’ altro che ingannevole tela nella quale felicemente desidero rimanere intrappolato perche’ se verita’ e’ vita, talvolta bugia e’ illusione che impregna speranze d’irrealizzabile futuro vivo quanto basta per sorriso, per dolce carezza.
Certi racconti fanno male, altri scatenano curiosita’, taluni confondono ricordi rendendoli piu’ vivi che mai e nelle vene scorre finalmente sangue che non imbratta e brucia, nella carne sento dignita’ e forza, volonta’ e potere d’infinite generazioni con ricordi ed esperienze improvvisamente mie.
Io sono il primo, io sono l’ultimo e ora non vorrei fosse cosi’, ma scelte proprie non fanno male, non troppo a chi ascolta oltre i gradini dell’incessante scala sulla quale seppur immobili si viene trascinati nostro malgrado, impercettibile spostamento ma innegabile, sorprendente magari ma indiscutibile e alla fine, oltre quel velo c’e’ mistero che inghiotte, baratro di luce di giorno in giorno piu’ vicino, voce leggera sempre piu’ grave fino a quando bassi profondi impediranno sonno e movimenti, forse pensieri, essenza stessa di cosciente definizione d’Io leggero e inconsapevole quando ringraziamento resta sospeso in aria, se ogni frase significa grazie, mentre mistero della vita e’ cortocircuito di sguardi.
Did you see the frightened ones?
Did you hear the falling bombs?
Did you ever wonder why we had to run for shelter when the
promise of a brave new world unfurled beneath a clear blue sky?

Giallo racconto

Entusiasmo di altre giornate altrettanto roventi, peregrinazioni dal sapore mistico e ricerca come gioco, scoperta come droga, espansione, espansione, crescita d’infiniti fattori, copioso sudore come battesimo, come sacrificio di rito antico mentre i miei colori si confondono con incisioni cinematografiche solo oggi inutili e dimenticate.
Movimento secco di polso e dita, sguardo troppo svelto per quanto si sia veloci ed ogni scatto e’ pezzo di speranza che muore, e’ pezzo di speranza che vive, osservare e conciliare sfrenati sogni con piacevole realta’, creare leggende, irripetibili momenti e tensione nervosa amplifica, esalta, sospinge di metro in metro l’ansia di vivere e sentire quando aveva senso confondere, mescolare, sovrapporre.
Grandi sporte quadrate, lunghi passi veloci alla ricerca di un minuto o per sempre ma merce rara e’ l’eternita’ se non la si sa cercare, se non si sa scegliere, se non si sa ascoltare e quanto poco importa il tempo passato se gli automatismi restano gli stessi, se dolcezza del gesto passa da necessita’ a dolce possessione, se toccare e’ sporcare e sfiorare e’ dono disinteressato, semplice stato delle cose, delicato dovere capace di essere simbolo, grande ed innocua ossessione, vitale speranza.
Perche’ quindi sentirsi liberi passeggiando in remoti giardini, forse paradiso perduto, forse eden oramai immeritato, forse e’ pura e semplice verita’ cosi’ pura e cosi’ semplice d’apparire irreale ed irraggiungibile come appartenesse ad altrui universo, racconto tramandato per dormire sereni, per pensare al domani, per ovattare il frastuono, per allontanare avvicinandosi passo dopo passo a un bisogno irrealizzato eppure mai assopito.
Almeno qualcosa resta ed e’ consapevolezza di speranza e volonta’, meraviglia moderatamente riproducibile ma e’ quanto basta, e’ tutto cio’ che occorre, leggero ossigeno di vita composto, di un domani nutrito qualunque esso sia, qualunque sia la forza di questa luce, brillare di lacrima che e’ speranza.
No reply
I’m trying hard to somehow frame a reply
Pictures, I’ve got pictures, and I run them in my head
When I can’t sleep at night
Looking out at the white world and the moon

Terzo movimento

Ci penso, provo ad immaginare la mia casa, casa che non trovo, casa smarrita nell’incessante destra, sinistra, alto, basso, molto fuori, poco dentro, desiderio altrove, mistero in luoghi noti, sospiro di dea d’ignoto nome e all’interno di strana sinfonia vago in chiarore indefinito senza che alcuna chiara visione m’innalzi oltre fugace momento, inespressa inerzia, lontano abbandono, dimenticato trasporto.
Penso sia casa tra miriade di note che insistono a uscirmi tra le dita come lingua arcana di cui non conosco significato ma la cui fonetica e’ mantra nella memoria, e’ azione nel braccio, e’ acciaio nei pensieri, origine, origine, origine, mani indipendenti da schemi e soluzioni perche’ problema da risolvere e’ alieno concetto laddove ogni accordo fu deciso alla prima esplosione di stelle, all’alba del creato quando l’urlo del”uomo era ghiaccio di meteora.
Se pensare casa fosse edificare su sabbia mentre cielo abbaglia d’azzurro allora gabbiano sarebbe sillaba di meravigliosa parola, bianca esplosione in confuso orizzonte ma chiarissima voglia di sabbia fine e dolci schiumose onde a divorare costa e pensieri nella contemplazione di luogo finalmente sicuro, infine desiderato, sogno come silenzio nell’orrore di arida pianura meccanica.
Chi nella scossa della notte si ferma a fruscio invitante di lenzuola puo’ sentire casa e cercare liscia superficie e’ vano trastullo nell’incubo d’imperfetta solitudine, nel volo soave eppur pindarico sulla linea retta comunicante l’ultimo dei sogni col primo vagito di nuova vita seppur lontana da qui, lontana da tutto, lontana da un soffitto che dita non sanno piu’ sfiorare, non possono piu’ raggiungere, simbolo di crescita divenuto invecchiare.
E’ bene uscire ora perche’ non c’e’ muro che non delimiti, non c’e’ prospetto che non caratterizzi e inevitabilmente intrappoli e se protezione e’ prigione potrebbe essere casa cio’ che stringe senza soffocare, carezza che non pretende, rumore che non allarmi, parola sussurrata eppur nitidamente comprensibile.
I saw him in an airport, while he was sitting on a wing.
And I waved to him, but I don’t think he noticed me.
I’ve got a funny feeling I know who he is.

Fuoco in dono

Atavico sangue si sveglia improvvisamente ed e’ ritorno di cellule dormienti, flusso impetuoso di ricordi e passate energie quando essere dei era facile come costruire mondi e universi.
Spazio, spazio di citta’ solo immaginata, pareti spoglie e luce abbagliante da finestroni affogati nel sole.
Musica come assoluto, musica come se non esistesse altro, musica che amplifica sensi uccidendoli, esplosione, implosione, collasso ed espansione perche’ magici momenti mutano volonta’ in carne, ossa, sangue e sudore quando vecchio corpo muore poi purtroppo rinascere, sfumando assoluto tocco del divenire in cio’ che si e’, quando sfiora realta’ di miseria umana solo immaginata, tragedia istillata da uomini malvagi e divinita’ invidiose.
Piedi battono a terra, veloci, veloci, ancora piu’ veloci, rotazione e ripartenza, raggi luminosi piegati attorno capo frenetico e improvvisamente confondere ritmo con bagliore accecante e niente piu’ esiste, nulla puo’ far male, nulla puo’ ferire, domande inutili, risposte superflue, solo silenti affermazioni perche’ suono e’ limite, onda lenta contro nero infinito e profondo mentre movimento impera, spostamento come soffio cosmico, elettromagnetica emissione che non trova ostacoli e confini nell’infinito cerchio del tempo.
Cuore che esplode e’ dentro te e nessun altro, piombo fuso nelle vene e’ grande esaltazione racchiusa in guscio di paura, emozione non trasmissibile, onnipotente senso di cammino su sottilissimo filo perche’ vivere e’ rischio proprio, sconfitta cocente o inestimabile premio, fuoco che ghiaccia bruciando immobile istante, frattura tra realta’ e cielo, manifesta fragile immensita’ di desiderio finalmente espresso quando gioco si confonde con missione e volonta’.
Poi cerchio infine si chiude, nel profondo cala buio e stanchezza su impolverato cemento e infinitesimo cambia di volta in volta ma in fondo vincere e’ piccolo nuovo passo se il mondo si misura a respiri.
You work all your life for that moment in time, it could come or pass you by
It’s a push of the world, but there’s always a chance
If the hunger stays the night

Esposizione Universale

Il materiale e’ mezzo, veicolo e tramite, lasciarsi soggiogare e’ obbligo, dondolarsi tra interrogativi e certezze piacevole svago, mutevole stupore dall’alto e incisivo profilo, come scatola giochi rovesciata su freddo pavimento, terra d’esplorazione e scoperta.
Fantasmi d’altrettanto concreta materia aleggiano innanzi ai miei occhi e sono sempre sul punto di cogliere qualcosa che non mi pare conoscere eppure sento familiare, pezzo importante di me, una tra innumerevoli formule ma angolare pietra, sostegno, impalcatura d’infinite considerazioni, incalcolabili ricerche, sublimi scoperte.
Mistero, v’e’ mistero che si manifesta nello zampillare imperioso d’acqua lucente, nelle prospettiche colonne evocatrici d’eterne grandezze, di finestre affacciate su glorioso eventuale futuro irrealizzato eppur radioso.
Sento l’ombra d’esistenza passata o forse dimenticata, innesto di memoria e pura gioia di ritrovato tesoro, origine, si origine e commovente constatare che fiume possente sorge da poche cristalline gocce, materia composta da roccia e nuvola, miracolo indiscutibile, noto eppure inspiegabile nell’intrinseca bellezza della semplicita’ del creato.
Io sono fantasma, io sono ombra, testimone di me stesso o quantomeno d’eventuale ricordo, suggerimento raccolto quasi per caso ma coltivato con amore e dedizione, passione sincera e certamente riposta da troppo tempo in luogo polveroso ed accantonata come dispensabile delizia, cosi’ silente e delicata.
Entusiasmante nulla materico come sinfonia per stanca eppure ancor avida vista, nervosi occhi danzanti tra semplicissime forme mentre in esse scivola racchiuso tempo intero, retta forse area, volume multidimensionale, eternita’ collante d’estremi lontanissimi mentre corsa in imprecisato punto pare senza soluzione ma non importa quando si e’ fantasma, quando si e’ ombra, quando esistere e’ giustificato da unico raggio immenso ed intenso perche’ unico, perche’ mio.

Tutto cio’ che sta fuori

Inaspettato, inaspettato risvolto di qualcosa che qui e’ difficile trovare, individuare, concepire, ascoltare, sentire forse, almeno un poco.
E’ come vedere attraverso vetri traslucidi, superfici meravigliose, in qualche modo deformanti, realta’ non esattamente uguale a quanto si percepisce oltre la trasparente separazione ed e’ visione e visuale alternativa, filtro che manifesta e rivela, dettagli svelati con metro sconosciuto perche’ nell’incertezza tutto e’ sfumato, i pensieri si riempiono di somme approssimate, giusti ordini di grandezza ma impossibili sicurezze.
Un po’ e’ brivido, un po’ e’ mistero da non svelare, attesa di tramonto che allunghi ombre, entita’ che scivolano dalla luce come creature da grotte antiche e lentamente le ore del giorno perdono consistenza, rinunciano a senso compiuto per fondersi e mescolarsi col giorno precendente perche’ e’ sempre cio’ che si cela a destare interesse, a rimanere scolpito nella memoria.
Talvolta cio’ che sarebbe potuto essere sveglia qualcosa d’assopito in noi e se realta’ ha peso di foglia sospinta dal vento, l’eventuale e’ macigno la cui corda stringe ed attanaglia, vincolo e stazione alla quale donare pegno e soffermarsi per riflettere, canzone sorprendentemente attuale eppure conosciuta in ogni singolo accordo, note strappate dall’oblio dell’anima e rinvigorite dal fulgore delle quotidiane miserie.
Stesse domande in fondo, stessi passi su consunto pavimento, stessa illusione che come fondamenta, cio’ che poteva essere e’ prima pietra, molto piu’ di simbolo, molto piu’ di supposizione, parallela vita, compenetrante realta’, virtuale eppure non di sogno, irriconoscibile volto cosparso d’ali strappate, cieli troppo grigi, sassofoni penetranti come spade nel centro esatto del petto, consapevolezza e destino d’essere stato quindi ora esistere.
Sometimes I get the feeling she’s watching over me.
And other times I feel like I should go.
And through it all, the rise and fall, the bodies in the streets.
And when you’re gone we want you all to know.

Lunghi lati del recinto

Gioco di sguardi, scambio di posizioni, attrito nullo e scivolare e’ un po’ volare in cieli terreni, persino sotterranei, malcelati sentieri, inespressi percorsi come se liberta’ fosse reale, come se liberta’ non chiamasse nome di ennesima gabbia, funzionale via di fuga e non parola grande, piena, opulenta, enfatica.
Ho visto il cristallo impuro e attraverso esso il sole di secoli trascorsi con indicibile flemma, ho visto cemento e acciaio e in loro sono fuggito, come in grembo rifugiato, seduto ho ascoltato il boato della folla perdutamente lontana e se e’ vero che poco e’ infinito oltre nessuno, allora ho parlato con passi raccolti ed ovattati, ho ascoltato i limpidi pensieri dell’individuo esentato dal dovere di massa, di strato, di struttura e materia e li’ mi sono dissetato e ricomposto.
Celeste e’ forse colore del piede che pare non toccare mai terreno nell’infinito approssimarsi del tempo allo zero, nero pensiero di gloria e onore, esaltazione del passato nell’interminabile ed eterna gloria futura, rosso il suprematismo dell’estetica superata e capovolta, malcelato tentativo eppur riuscito di mimetizzazione ed invisibile presenza, verde l’eco delle parole dette piano, rimbalzo verso stella piu’ lontana del creato, sillabe solo da Dio testimoniate perche’ e’ in cio’ che non si ode la prova dell’uomo supremo, del figlio pari al padre, dell’istante istantaneo quando viaggio e’ non muoversi affatto in un cosmo minuscolo racchiuso nel piu’ profondo dei propri atomi.
Espansione, contrazione, battito che e’ onda sinusoidale, gamma di frequenze continue senza intervalli, senza campioni, quantificazione infinita eppure discreta quando scala di misurazione trascende numeri e formule e intimamente riconosco ragione nell’aver torto, idea imperfetta eppure funzionale d’algebra che fa di conto senza spiegare alcunche’, inutile cerchio anteposto a porta aperta e oltre la somma di ogni era e umana volonta’ che osservo ed ammiro, indifferente all’assoluta verita’, in un istante perfetto ancora una volta perduto eppure per sempre mio e solo mio.
Il riverbero dona al brano una qualita’ eterea quasi inquietante che slitta lentamente nel tempo mentre i piani si sovrappongono, si intrecciano, si fondono e si reiterano contrapponendosi.

Dissolvenza

Attesa, volonta’ laterale, soffio e turbamento d’ignota sostanza, di angosciosa presenza.
Desiderio e orrore come se si potesse decidere di ogni istante, di ogni istanza, del proprio destino nell’io mondo, io cosmo, io tempo e universale tutto, giovane illusione, sempre meno illusione, sempre meno giovane eppure sindrome che non lascia spazio all’idiozia della consapevolezza, al cerchio apparentemente spezzato quando e’ rifiuto di realta’, occhi chiusi sul baratro inevitabile, sul palpito inenarrabile, sterzata brusca e strapiombo ma non ora, non domani, non nell’infinito oltre, polla primordiale nela quale richiudersi e piegarsi.
Il sonno arriva a passi veloci, forse e’ fuga, piccolo arrendersi, anfratto scavato nell’alba del tempo, ere lontane di memoria perduta nella luce dimenticata delle stelle quando paradiso era uscire da un’onda di orrenda esistenza nell’assenza di coscienza, nel preludio d’oblio, nell’assaggio di dolce morte, d’ambita morte.
Come camminare in nuovo territorio avvolto di oro e stracci, stanze riciclate dal giorno percorse da flaccidi muscoli, ginocchia a terra strisciando senza umiliazione ne’ costrizione, doveroso obbligo verso troppo umana umanita’, ulteriore ostacolo a mutazione alla quale posso solo porgere benevolo sorriso.
A volte merito il silenzio della notte, in certi casi i tempi devono essere pari e leggeri, connubio e fusione con colline, case antiche, forti piccoli animali, lontani riverberi che avvicinano quieta essenza di un allora che posso vivere senza ricordare e come un tempo inafferabili raggi di luce riempiono vuoto di ore insonni, gioco per non aver paura, per carezza che non c’era, per convincersi che comunque ogni cosa sarebbe andata bene, per sempre bene.
In certi casi riesco a non guardare troppo dentro l’abisso e di bianca parete riempio pensiero nervoso, fermo il nervo di braccio che brandeggia nella calda aria perche’ se silenzio e’ conquista, assenza e’ merito.
The mountain cuts off the town from view,
Like a cancer growth is removed by skill.
Let it be revealed.
A waterfall, his madrigal.
An inland sea, his symphony.