Rise and shine

Ancora scambio nebbia con sole, incerto su chi arroventa pelle e sensi maggiormente, se brividi da brina o sudore copioso, se abbagliare fu caldo plasma verticale o luci diffuse di traffico serale nell’inutile corsa tra case e tavole imbandite, se respirare vento e smog o corsa spasmodica in quantita’ per essere felici.
Rito di viale e luci basse e mai strada chiusa mi ha portato piu’ lontano, nessun ostacolo ha offerto piu’ scelte ed infiniti raccolti, barriere che aprono possibilita’ e nel caos ovattato della sera sentire voci e sussurri di amanti e poeti, cantori di speranze vicine come lenzuola fresche e profumate, fiori, fiori nella notte incapaci di stingere nel buio, piu’ forti dell’oblio, piu’ vitali nel silenzio, piu’ profumati nel vento che anzi veicola afrore d’antica provenienza, olfattivo ritorno a ricordi mai troppo lontani, un passo da palpebre socchiuse, ipnotizzati movimenti d’atavica danza rinnovata in nuova vita, nuovo futuro, inedita combinazione unica in cuore e gambe ma cosi’ era, cosi’ sara’ sempre.
Vedere il futuro di ora in ora, sentire singola carezza come se intera umanita’ donasse tutto il suo calore e ancora confondo, ancora non distinguo braccia da librerie gialle da siepi da motorini rossi da palazzi da ascensori da chitarre maledette da cio’che non era, cio’ che non e’, cio’ che sveglia petto mentre si dorme e interrompe sogni violenti, visioni spigolose, imperfetta visione rovente, abbagliante, dolorosamente a colori, misteriosamente profumata di menta e viola.
Tentazione di spogliarsi di tutto perche’ in ogni luogo del mondo strade si chiudono al passaggio, si schiudono alle fantasie piu’ sfrenate laddove vivono i racconti, quando speranze si sciolgono come miele in latte caldo, dolcezza di altro sapore che rivive nella nebbia, nel sole, nel bagliore diffuso che esalta nascondendo, prisma genitore d’arcobaleni e benefica elettricita’, scossa di piacere e dolore, nervi scoperti per tentare di capire, per districare dalle mani nebbia e sole, sole e nebbia, solo nella nebbia.
Disegnero’ ad occhi chiusi quei momenti
che ricordero’ come se fosse solo un’ora fa
e lascero’ che i miei pensieri ti tormentino
saranno li per farti compagnia
se vorrai

Quasi 9

Tonfo, suono sordo di cio’ che va oltre la semplice fine, simbolo di comune essenza, dolorosa assenza, permanenza di interrogativi che non so piu’ pormi, lucidissimo ora nella luce di consapevolezza totale, totale ragione.
Fogli come ali ed e’ pensiero che esce alla luce del sole, respira ossigeno librandosi in esso, con esso e non importa quale che sia il contenuto se espressione di mente infinita e libera proprio nel seguire un futuro senza inventarlo, bisogno primario forse mutato, deviato perche’ no ma davvero unico in un mondo che merita ogni parola vergata nel quotidiano.
Inutile ricordare, celebrare macabro rito, sputare odio e rancore perche’ sentimenti forti appartengono a giovani cuori carichi di distruttiva potenza; qui pietra e acciaio ghiacciato, famelico.
Meglio attendere a fianco del tempo amico, meglio osservare polverosa nube avvicinarsi respirando profumo d’erba tagliata e orrore come ricordo, premio ambito, delicato col senno di cio’ che piu’ non sara’, ridicolo spettro come altri prima, s’agita e strepita, grottesco movimento contenitore di piccola natura, spazzatura nemmeno troppo maleodorante ma certo vergogna in limpida e onesta casa.
Ragione e’ nella mente dell’uomo, nel cuore dell’eroe, nel ventre putrido di chi la rinnega, nei piedi degli stupidi e senza alcuno sforzo lasciare che anni cancellino imperfezioni, smussino spigoli, detergano pavimenti non troppo esausti per essere ancora calpestati, ancora lucidati, ancora tramite di viaggi e scoperte.
Tempo ha senso, tempo va in un senso, tempo e’ senso ultimo, regola infrangibile, dovere e privilegio di ogni alba, di tutti i tramonti, di opere quotidiane che esigono tributo in giorno onorato non per noi ultimi e imperfetti bensi’ per chi ha saputo volare, cavalcare immortale discesa, certo invertita ascensione verso terra troppo lontana, troppo vicina, ovunque presente, gloria di coraggio nato in tempi antichi, valore unico e solo nel riflesso di una preghiera, di vera eternita’ che si compie e si realizza.
Heads all turning
Towards the sky
Towers crumble
Heroes die
Who would wish this
On our people
And proclaim
That His will be done
Scriptures they heed have misled them
All praise their Sacrificed Sons

Nessun dominio

Pace di suoni neutri, diretti ed immediati nelle orecchie di chi sa ascoltare immense sinfonie senza udire rumore di fondo di un oltre che e’ qui, perplessita’ esaurita a pochi passi, breve distanza che appare lontanissima senza fermarsi un momento nell’abitudine, nella consuetudine.
Pietre disposte da uomo potente eppur rimodellate da inquieta ed imprevedibile natura che respira, vive nella potenza del proprio esistere, parla col suo silenzio e ascolta i suoni del mondo che a volte, solo a volte, e’ sincronizzato duetto con note di sassofono disperso nella folla, col bisogno ormai sconfitto che non trova altra voce che non sia propria e persino indifferente passo partecipa ad inconsapevole concerto.
Resto immobile, respiro appena, potrebbe essere un momento perfetto e m’immergo in esso come schiuma viva, dicotomia tra pensiero e movimento, statico e silente in opposizione a fluido benessere, mescolanza con qualcosa che non conosco ma so essere essenziale, profumo di dimenticata purezza, fragranza che un tempo inondava risveglio e giornata tutta, quando simbiosi era ignoto permanente stato delle cose, sotteso pensiero.
Straniante effetto, universi lontanissimi in dolce collisione e d’un tratto sono ovunque, sintonizzato e allineato ad impensabile quiete, aliena sensazione dalla quale qualcosa dovrei pur imparare come non fosse magia bensi’ metodo, alternativo sentire, percezione diversamente tarata e contrasto di bordo che delimita e delinea.
Forse e’ magia di un suono che piu’ e’ lontano piu’ avvicina a se’ stessi, apertura un cio’ che si potrebbe definire spazio illimitato non fosse per troppa fretta che paralizza, interi giorni che ci possiedono restituendo poco o nulla e se fronde ventose sono braccia che si tendono lievi, posso ancora ricordare, sperare in giorni passati divenire futuro, sentire di possedere almeno in parte, certo il migliore dei destini possbili.
It doesn’t mean much
it doesn’t mean anything at all
the life I’ve left behind me
is a cold room
I’ve crossed the last line
from where I can’t return
where every step I took in faith
betrayed me
and led me from my home

Anelli di fumo

Kaneda, che cosa vedi?
Parlami dell’onda di plasma che sta per avvolgerti, raccontami di come ci si possa annullare nella luce, spiegami cosa accade quando si torna ad essere pura energia, puro calore, fascio d’elettroni puntato oltre terrore del corpo, supplizio di mortalita’, tormento e attesa di pesante esistere, inutili rotazioni, spirali su inevitabile nulla.
Cos’e’ la paura Kaneda, si ciba forse di debolezze o della loro assenza, di essenza magari oppure e’ grigio soffitto di notte insonne, atavico desiderio di esplorare oltre la roccia, oltre fiume che e’ sostentamento eppure confine, placida trappola dalla quale fuggire pagando pegno in mortale sconfitta o peggio eterno ed inutile grigio.
Qual’e’ la strada Kaneda se ora i miei occhi sono chiusi e ciechi e doloranti, pieni di immagini che non voglio piu’ vedere, colmi di inespressa arte, inedite ardite sequenze di film mai girato, occhi che non sanno scegliere perche’ tutto e’ gia’ stato deciso, calcolato, segnato, baratto perdente e sfortunato.
So che non puoi tornare indietro Kaneda perche’ esistono scelte ed ogni scelta e’ compagna di strada, promessa da mantenere ad ogni costo e forse quel muro che ti si para innanzi non fara’ male quanto cio’ che gia’ e’ lasciato, cio’ che gia’ e’ trascorso celato in troppa voglia di confondere fine con mezzo.
Sono stanco Kaneda, stanco d’ascoltarmi, stanco di aver compreso infinito superfluo, montagne impossibili da scalare, stanco di qualcosa che non esplode, che non squarcia il petto una volta per tutte, una volta per sempre, stanco d’aver combattuto e vinto, troppe volte aspettato, troppe volte ricevuto e troppe volte abbandonato.
Forse e’ li’ che devo andare Kaneda, raggiungerti in silenzio, in silenzio ergermi fiero e impavido, perche’ talvolta sconfitta e’ unica forma di vittoria auspicabile.
Si Kaneda, che cosa vedi…

Dominare il mattino

Circondato eppure ancora dentro me stesso, conto occasioni e strumenti, ascolto cio’ che poco a poco consuma dolore chiedendo piccoli pezzi di vita ancora una volta sacrificati a orrendo silenzio.
Bisogni primari, soluzioni rivoluzionarie in spazio sufficiente a contenere vita intera, esigenza sempre piu’ forte di non lasciare nulla di se’, sparire liberando poche immagini, qualche parola, infiniti pentagrammi, essenza piu’ che sostanza perche’ oltre rimangono decenni di immane fatica, potenti lampi che qualcosa hanno eppur illuminato, fortificata corazza di cuore pavido e grasso ventre, parvenza e potenza, miscidata sostanza che ha retto e sostenuto sguardi troppo bassi e silenzi profondamente imbarazzanti.
Tecniche eccelse di sopravvivenza che domino e dominano frangenti d’orrore in cio’ che puo’ solo definirsi dorata fuga, privilegiata e fresca oasi in inferno d’esistenza confinato altrove finche’ dita sanno muoversi, fintanto occhi filtrino ancora luci da nebbie e stomaco non urli di arrendersi a strisciante nausea, eccesso di resistenza, giusto che confonde piu’ dell’errore che si ostina a cacciare, fintanto coscienza si annulli tra lenzuola sempre troppo calde, sempre troppo fredde, sempre troppo strette, sempre troppo ampie, sempre troppo buie, immerse in milioni d’errori, in frase mai dette, in troppe parole, in carezze non date, in canzoni rimaste chiuse in tremanti mani come colombe in trappola, in telefonate aride, in sole che sa arroventare senza scaldare, in desideri uccisi da un voto, in paura di vivere, in terrore di essere felici, in maledizione di chi ha potuto bruciarsi nel fuoco delle proprie passioni sacrificando ad esse ogni possibile entusiasmo, eredita’ che pare ragione e sostanza, in fondo cio’ che di ogni resta.
Del resto ho solo parole da pronunciare quando nessuno ascolta e in questo tempo asincrono imparo a benedire quanto e’ concluso e cio’ resta che scivoli, che s’accasci tra le pieghe d’altrui felicita’, che parli a chi ancora vuole sentire, che illumini e protegga perche’ se un senso esiste, anche se non qui, sia comunque sufficiente, passione restante.
Cosa ci portera’ domani
se non ricordi troppo usati
Cosa ti apetti da quel cielo di nuvole incrinate
elettricita’ costante
per mantenere la tensione
disconnessione tra i pensieri
programmazione dei miei desideri
stati d’ansia persistenti
cresce la paura, cosa senti?

Qualcuno in piu’

Manca senso d’appartenenza e manca dai freddi pomeriggi di Dicembre, ricordo di fari riflessi sull’asfalto come fiamme antiche, nero santuario di preghiere e suppliche, gioco di vita impossibile da interrompere, da ricominciare, da rinfrescare con lacrime e ginocchia al suolo, con alberi che piangono lacrime di cielo.
Si cammina senza sapere di vivere, trasparente a tutto eccetto il dolore, ammantati d’illusioni cucite col passato nobile e fragoroso di quando illusione sembra presente e futuro di eterna epoca destinata a non finire mai, mai, mai.
Lava, magma mortale e fremente sostituisce fango viscido a coprire fondo instabile di cio’ che ancora chiamo anima e basta movimento poco piu’ brusco dell’ordinario per soffocare di rovente miasma, per morire di liquido incandescente  che esplode dentro stomaco e cuore, per spianare nell’orrore cio’ che a fatica si raccoglie da terra e in alto porla ad avvicinare il cielo e attendere alba che forse nascondera’ nella luce cio’ che buio malignamente evoca.
Eppure osservo persone e so esattamente che l’irrealta’ sono io, sfalsata dimensione, piccoli salti di frequenza tra universi irripetibili e qualcosa finisce, qualcosa inizia, la porta alle spalle si chiude e immobile scivolo con la lentezza di chi conosce la verita’ del momento, la formula di eterno passo, cio’ che conduce a orizzonte degli eventi di totale consapevolezza, giusto suono, perfetta onda di bianco frastuono.
Strada immutata da allora, innumerevoli occasioni per uscirne, nascondersi dietro volonta’ che non basta e non bastera’ mai, trascinarsi stancamente protetto da roccia dura, durissima, sempre piu’ pesante, sempre piu’ rumorosa, battaglia che finira’ in desiderio purtroppo realizzato in attesa di notte senza stelle, di asciutte lenzuola, d’incontro fortuito e occasione di troppo per perdere inedite battaglie e riempire di silenzio furiosa verita’ che mai ho saputo sottacere in tutti quei giorni che da allora sono e saranno sempre giorni di troppo.
E il volto poi si scoprirà segnato
da tante storie che nessuno ha raccontato
senza finale: un commedia musicale
di solitudini a Natale
con chi non ti capiva mai.

Il saluto dell’aviatore

Compressione, compressione, compressione.
Confusione di morti che danzano con vivi, nomi scambiati, invertiti, ricordi giusti in situazioni sbagliate dentro citta’ distrutte, sorrisi falsi, sorrisi veri in guerre solo immaginate, presunti crolli, ancore scoperte nel senso d’abbandono, nel sentirsi soli una volta di piu’, una volta ancora, attendendo la volta di troppo.
Seguire oro che non c’e’ piu’, vigliaccamente tradito, come Pietro rinnegato o restare nel comune miscuglio tra tazze sporche e parole svuotate, entusiasmo accondiscendente di quotidiano al quale in fondo sono ormai abituato mentre modellini grezzi inneggiano preludio a sconosciuto avvenire ed e’ incertezza che vincola, forse salva, si salva, deve salvare, deve motivare e lasciare ogni singolo oggetto immobile, incerati divani, spogli tavolini a reggere inutile materia e polvere come pelle opaca e leggera, immateriale seppur visibile e palpabile.
Il tempo, se solo sapessi cos’e’ il tempo lo inseguirei e non importa quanto impervie possano essere vette d’immisurata altezza quando giungere con rivelare e’ tutt’uno, se rinunciare e’ conquistare, possedere, conoscere, statico vortice perche’ si puo’ persino osservare caos senza distogliere sguardo da punto fisso.
In fondo e’ solo un altro viaggio del quale non conosco luci, quelle che m’accompagnano di notte nel ritorno a casa, poesia al tungsteno, croma di nero pentagramma, tenera canzone, nenia di un mondo che vive oltre paure, dietro televisori, dentro ricordi, fuori mura come prigione barattata con protezione.
Chi dice che sogni sono guida e’ colui che mai ha avuto incubi e se oggi, proprio oggi iniziassi ad indistinguere, potrebbe persino essere giorno nuovo, un po’ piu’ forte, un po’ piu’ debole, un po’ diverso, passo nel buio ma avanti, ancora avanti, indomiti e curiosi, estranei a se stessi nell’infinita scoperta, nel solitario arrivo, nel nulla che e’ silenzio.
Joy or sorrow what does revolution mean
To save today is like wishing in the wind
All my beautiful friends have all gone away
Like the waves they flow and ebb and die

Termoregolazione animale

Caldo, caldo asfissiante, pareti umide, depressione, sudore veleno viscido sulla pelle, sciabolate di sole da vetri incandescenti, pavimento cedevole, trappola per voglia di fuggire, salvezza e condanna, troppo stanco per decidere, troppo confuso per scegliere, annientarsi in azione da non compiersi, incompleto gesto.
Ogni musica e’ frastuono e di frastuono sembra composto volume d’aria arroventata a restringersi, collassare in materia d’enorme specifico peso, irrespirabile ossigeno, fiato di dea malvagia, mortale spira che toglie vita, sottrae energie nel nome di arcaico rito, nel caos generato, nell’orrore pasciuto.
Ogni canzone passa distorta tra mani che non sanno piu’ afferrare, tra braccia di cartone bagnato e fragili, occhi infiammati, abbagliati, perduti, irrimediabilmente persi tra figure distorte, bocche che s’aprono invocando chissa’ quali sortilegi, malefici per non comprendere, per disconoscere propria umanita’ nella perduta ragione.
Forse lasciare ogni oggetto immobile e’ soluzione, forse spegnersi nella culla vibrante d’oblio ed infecondo riposo potrebbe donare pace, forse sussurrare minuscolo basta e’ cataclisma quando niente piu’ si sa riconoscere, se tutto cio’ in cui si crede e’ eco disperso in greto fangoso, se ultime forze sollevano lacrime e null’altro verso costellazioni crudeli e curiose, spirali metafora di circolare esistere, percorso obbligato all’interno di tunnel senza fine.
Si incertezza, si confusione, si smarrimento e poco a poco disagio antico del quale non dimentico fetore e come belva acquattata nei recessi piu’ profondi dei pensieri ecco paura di perdere, terrore di smarrirsi urlanti e sconvolti su sentieri irriconoscibili e lontani, troppo lontani per tornare indenni dentro casa,
Poi rabbia, poi carne flagellata e a brandelli, poi pentagramma ricomposto, infine acqua gelida nell’inutile battaglia ancora una volta combattuta e vinta, nessun orgoglio, coerente in fondo nel frugale pasto del ritorno e questo si puo’ essere fregio, indifferenza come medaglia in sempre piu’ immobile e freddo petto.
I’ve got a plug in baby
Crucify my enemies
When I’m tired of giving
God is in me
With broken virtual reality
Tired of giving

Simmetria tetragonale

Io sono equilibrio, sono centro esatto d’infinito vuoto e rovente esplosione di materia e tempo.
Io sono ogni strumento, ogni corda pizzicata su legno antico, accordo d’impossibile estensione, canto di popolo dimenticato, dialetto perduto, significato smarrito.
Sono capogiro che assale guardando il fondo, temendo precipizio, puntando dito al cielo e nel buio piu’ totale cercare orientamento e segno di vita, fuga da presente, manifestazione d’introvabile gioia.
Sono pagina bianca, immacolato niente che niente raccoglie, nulla descrive, superficie troppo, troppo liscia, impossibile lasciare segno, impossibile interpretare abbagliante candore, alone di cio’ che deve ancora essere, che potrebbe non avverarsi, che sara’ diverso, comunque, sempre.
Cerco parole inascoltate, incomprese ed incomprensibili perche’ in esse e’ nuovo linguaggio, inedita grammatica, caratteri come ideogrammi antichi, civilta’ genitrice di ere in cui umanita’ fu sogno e fantasia, filosofia che mal si adatta a tempi illuminati e illuminanti come gli oggi costruiti su echi e scheletri virulenti, gusci d’inutili concetti, polverosa intelligenza.
Cerco citta’ deserte, vuote lande di sterpi e cemento accatastato in cio’ che fu forse arte, a volte bisogno, altre profitto, luoghi di cui diffidare in quanto fragili, tenacemente propensi a desolante abbandono, possibile gioia, sovente rovina, lungo silenzio da non cercare, da non aspettarsi nel buio sempre piu’ profondo della ragione.
Desidero cio’ che dimentico di avere, riflessioni presto lasciate scivolare nell’assoluto ma se traccia resta tra giorno e oblio sia immersione amniotica e genitrice di nuovo pensiero foriero d’alternativa visione, chiara missione.
Desidero schiavitu’ d’irriconosciuta passione, elitaria prigione a ingabbiare mai compreso universo di forza e debolezza, esclusione immotivata forse ma so che questa vita rimane comunque mia e se una e non un milione, cio’ mi basta.
Take your time and you’ll be fine
and say a prayer for people there who live on the floor.
And if you see what’s meant to be,
don’t name the day or try to say it happened before

Sbavatura

Ho gia’ scritto di ghiaccio persistente su vetri, come impossibile sia scioglierlo, persino toccarlo.
Osservare, osservare con ossequioso silenzio, mistica concentrazione, evocante mistero, generosa dotazione d’inesauribile natura capace d’intrecciare mondi lontanissimi, livelli d’energia con emozioni, impossibili calcoli di operatori tutti da inventare invero funzionanti e ottimizzate nel descrivere, tracciare contorni con linee marcate ed inequivocabilmente perfette in sintesi ed efficacia.
Ho gia’ ascoltato canzoni che sono inni, differente strato d’esistenza, angolare prospettiva di medesima visione, occhi per ciechi, orecchie per sordi, sospiro di chi non possiede altro se non quel ghiaccio per difendersi dal vero freddo, dall’inesauribile notte senza luna e vento, rami come scheletro al corpo della follia, agitati e nervosi perche’ anche orrore ha carne che trema, mostri che mordono, silenzi che atterriscono, strato su strato d’atavica paura, infiniti livelli ed ecco matamatica multidimensionalita’ a uscire e urlare che uomo e’ calcolo, risultato e addendo, subtotale sempre nel centro d’elaborata operazione, completo solo in interminabile somma e per questo intimamente incompleto, inevitabilmente insoddisfatto e comunque solo nella consapevolezza di gelo e notte, ricerca con sapore di sconfitta e desolato cammino, gambe sopra poca e fragile terra quando conoscere e’ restringere percorso su infinita striscia di sapere.
Ho freddo ma son riparato, morbido panno di brina e placido gocciolare di ninnananna stagliata come nuvola nel silenzio, ho voglia di fuggire ma tutto esiste e coesiste e inamovibile persiste a farsi toccare, a urlare di fortezze e tempi antichi, di morte e sortilegi, benigno fato e ringraziamento dovuto.
Forse, si forse perche’ mare resiste a ghiaccio, mare e’ acqua che ha osato evolversi e se salvezza e’ fluido resistere, posso essere, posso confondermi in confusione che e’ salvezza, in caos ordinato, in voglia come potere.
Read while the letters still remain
Sip from the wine of youth again
Oaths made in silence still return
Only for you