Un giorno e’ come dopodomani

No, non sta tutto nella mente, non da qui si tessono fili con ricordi, con esperienze, con immagini e suoni e profumi, con nozioni e cio’ che nell’insieme definisce e delinea coacervo chiamato memoria.
Emozioni non esistono in quanto strutture definite e storicizzate perche’ in realta’ stratificate su innumerevoli insiemi di cause effetto, aritmetica di somme smisurate, quasi infinite. incalcolabili in quantita’ e qualita’ eppure determinabili da memoria perfettamente analitica e completa coscienza di se’, aiutati magari da un Dio curioso chissa’.
Cio’ che si e’ rappresenta viaggio in continua evoluzione con presente transitoria meta nel paradosso di minuscoli nulla che alfine divengono montagne ma del resto, e’ l’imperfetta magnifica algebra di esistere.
Calpestare coi piedi il proprio passato ma e’ passato appunto che sostiene e separa baratro dell’eventualita’ dall’attualita’ e non c’e’ alcun avvenimento invero considerabile separato e disgiunto dagli altri in quanto anche l’ultimo dei millesimi avvolti nell’oblio e’ carburante di sforzi e azioni, elucubrazioni e concetti, sentimenti e palpiti.
Dentro, in mezzo, nel fondo, da qualche parte e’ piantata radice dell’emozione suscitata dal movimento biochimico di molecole circondate da lampi d’energia, connessioni stimolate e sollecitate, inesauribili occasioni per espandersi in sfera esistenziale, direzioni determinate da innesti genetici oltre singola capacita’.
Reagire percui e’ reazione riflessa, condizione incalcolabile nell’ignoranza del proprio essere e solo in questo incognita altrimenti banale e logica deduzione ma finita capacita’ su infiniti elementi provoca interrogativo e sorpresa, talvolta perplessita’ nelle altrui interpretazioni paradossalmente piu’ veritiere nel non considerare trascorsi e ricordi, sottili strati di un tempo individualmente confuso, pubblicamente isolato, soggettivo alterata manifestazione d’oggettivo, falsata ma immediatamente fruibile interpretazione che nella semplificazione sa esemplificare meglio d’ogni altro racconto.
La complessita’ tende alla verita’ ma la semplicita’ conduce al comprensibile, lezione da non scordare per non arrendersi all’impressione di un ritratto che non e’ mai il proprio, che sovente racconta qualcuno che vorremmo essere, poco affine con quegli occhi troppo stanchi per riconoscersi.
Feelings I can’t fight
you’re free to leave me
But just don’t deceive me
And please
Believe me when I say
I love you

MicroVoce

Impossibile stare fermi ma muoversi e’ equilibrio turbato, piccola stanza e fiamma sensibile ad ogni soffio e come tempesta agita e consuma, tracciato movimento e senza possibilita’ alcuna seguito, giudicato forse.
Sempre piu’ stanco osservo, manca spirito ironico, assente lodevole cinismo, ironia che non esce ed intrappolata spinge senza mordere, incapace persino di pizzicare e cosi’ si veste di tetro e polveroso velo, strappi e rattoppi.
Dubbio di bambino che in disparte piange affogando nel suo silenzio eppure un tempo era crescendo in esplosione, luce di notte da non scordare mai illuminata da lampioni candidi, plastica bianca, azzurra e rossa, carta che vola in vivente espressione di gioiose urla alle quali non porgo memoria, no non porgo memoria.
Manca passaggio, coma indotto e risveglio sorprendente ma non del tutto voluto, vuoto contemplare senza vero rifugio, parole poche, sorrisi meno, orologio alla mano, racconto parzialmente esatto ma sono secondi che fuggono, inesistente preghiera comunque sussurrata piano per non farsi scoprire, non farsi sentire, non sentire.
Conoscere e’ potere, ignorare e’ essenza, appartenenza totale in disgregata comunita’, come entrare in grande salone ed andarsene, andarsene immediatamente, senza un saluto, nemmeno uno sguardo, neppure un accenno, bassi
occhi per non dirsi umani, per non proclamare sconfitta di passione e volonta’.
Non rinuncio, non cedo, cosi’ si dice, perfetto piano funzionante, macchina migliore del suo costruttore e cosi’ deve apparire, senza obiezioni ed inganni, istruito a vedere lontano giusto, mai dentro, mai intorno e oramai non dubito nemmeno piu’, trappola intrappolata, genio capace d’esaudire desideri propri e niente altro.
Dove stia la verita’ ormai e’ indifferente, colore e’ sul volto, plastica ha bruciato epidermide oramai, pensieri di confine dentro a una terra che non e’ patria, non e’ mia.
Enter me gently
I break in the light
Cover my eyes
With the rags of my life
Was I dreaming?
Or did you say:
“The frontiers are falling
It’s time to be slipping away
Let’s slip away
Let’s slip away”

Contenendo

Gettando certo e solito destino scopro che non cambio, cosi’ appare, cosi’ si dice e comunque nel ruolo non mi sposto, non raccolgo e beffardo giudizio conservo in sfregio ad estraniante volonta’, sincera appartenenza al disinteressato e ristretto circolo di strani ed antichi figuri, stirpe novella, bassa lega e molta polvere, pianoforte sempre un po’ scordato, invero dimenticato, accantonato.
La canzone e’ finita, orecchie tese ma senza applausi, che importa del resto, chi ha mai chiesto, voluto o pensato che vi sia un merito, magari oblio, insperato riposo che riposo mai non e’ se vi sono colpi e assalti al nervoso silenzio gentilmente offerto e rinnovato in giusto e beffardo omaggio.
Io non rinuncio, non so, sara’ vero e sono stanco questo si se un tempo artigli e muscoli, urla e fango e si rimane cosi’ appesi al tocco lieve di una nota, all’emozione di pagina colorata e semovente radiazione perche’ vincere e’ vincere qualcosa, sognare e’ nuvola che rimane nel giorno, canzone e’ frammento d’anima mentre rimanente e’ tragica illusione, vuota sensazione, banale ed annoiato girotondo.
Ordinatissima cucina, verrebbe voglia di rimanere dentro per sempre, possedere singole mattonelle accarezzandone intercapedini anneriti e non fuggire innanzi nessun rumore perche’ mio e’ rumore, frastuono di piatti frantumati nel cuore della notte in onore dell’altrui sonno lontano, stile di vita raccolto in scarabocchi declinati oltre divano di pelle calda e appiccicosa, luci mai dirette tenue e spaventosa fluorescenza, dubbia provenienza.
Fuori bussano, bussano ogni volta, mai per gioco e nemmeno per piacere, voglia di aiutare, di restare accanto lo so ma in fondo non e’ impegno, non e’ volonta’ se mani piu’ non sanno accarezzare, se sguardo non si ferma a pareti e mattoni e correre, correre senza muoversi e’ maledizione di viaggio lontano, di viaggio ogni giorno piu’ vicino del dovuto.
And if a double-decker bus
crashes in to us
to die by your side
is such a heavenly way to die

Rovesciato lassu’ senza un perche’

Antica domanda. E se davvero cosmo tutto girasse attorno a me? Se scoprissi che incapacita’ di trovare soluzioni nasce dall’avere ogni risultato possibile negli occhi, nelle mani, nella mente? Se immettessi materia laddove aggiungere equivale a togliere quale sarebbe il mio peccato, la mia colpa? Quale condanna quindi?
E’ algebra errata, fisica aliena, geometria di sistema di riferimento completamente sbagliato, sbagliato non ignoto, sbagliato non ignoto, sbagliato e non ignoto e la storia d’analisi e colpe non piu’ regge, davvero non sostiene e sempre meno racconta verita’ nascosta sotto tavolo imbandito e sprecato, squallido.
Asse non levigato e schegge sulle braccia come corona di spine perche’ c’e’ un dentro e c’e’ un fuori, comunque un Dio d’ubiquita’ incerta e sicura sia almeno presenza decisa e convincente, ruolo da assumere e responsabile presa.
Ci vuole talento a distruggere, solo poco meno che costruire ma cio’ che differisce entrambi e’ linea di tempo in direzione da qualificare, a raccontare storia altrimenti inspiegabile, contorni talmente netti da apparire posticci e menzogneri.
Eppure guardo avanti e nel tenebroso orizzonte, chiarore di sole pallido qualcosa spiega e avanza dolce idea di sconfitta tramutata in vittoria perche’ se equazione e’ impossibile, impossibile diviene unica soluzione.
Piccolo, piccolissimo anfratto e dopo tempo e’ misura, scala a determinare meno sfuggente verita’ d’immensa porta per giganti di cosmica epoca d’oro quando il cielo era curvo e arcobaleno creava giorno illuminato d’impossibili colori, altri occhi, altri occhi, visione d’insieme alla quale prepararsi, essere pronti perche’ nulla e’ davvero indeterminato, inconsapevolezza come nuova ignoranza, stato immoto delle cose.
Mi bagni quindi il cielo, m’asciughino onde del mare, scaldi questa notte confusa certezza e ritrovarsi nella frequenza che frantuma roccia e stanchezza, perdita al posto d’abbandono, partita vinta perche’ non giocata e cosi’ sia, cosi’ canto, cosi’ m’incanto.
Living is easy with eyes closed,
misunderstanding all you see.
It’s getting hard to be someone
but it all works out,
it doesn’t matter much to me.

Da questa roccia

Centimetri quadrati di ricordi, pianure di presente, nomi con un senso, altri da decifrare e ogni pezzo di storia incasellato e sistemato un po’ racconta e svela mistero forse misero, ugualmente importante come fosse simbiosi o fusione, scherzo dell’immaginazione certo, piu’ facilmente non voler vedere, paura di parlare per raccontarsi, spiegare.
Esiste causa, consegue effetto ed e’ mio piu’ grande dono, silenzio e notti gelide, qualcosa che non doveva essere eppure accade ed e’ ruvuda, ruvida superficie in voglia di liscio giaciglio, mura meno fredde, incubi solo accennati.
Guardo piedi uno avanti l’altro e c’e’ sempre pietra su cui inciampare, fossato in cui cadere, sterrato scivoloso e viscido come serpente da cavalcare, come drago indomito, come vita passata e non futura che urla forte e si lamenta, sbraita soffiando caldo respiro a tratti nauseabondo, altri dolce di miele e mandorle, altri ancora pura assenza regalando ansia sospesa e rassegnata, certo dannosa, sicuro non spiega, nemmeno racconta.
Ora immagina metafisico spazio, strutture ed ombre allungate in luce diffusa, cubo centrale, stralunata forma e braccia protese a sole presunto, capo senza volto, mani senza dita, rigida tunica piu’ trappola che abito e contemplazione di linee di fuga declinate all’infinito col trasporto di cio’ che non ha limiti ne’ desiderio d’averne.
Ora lascia trascorre gli anni, cadenza i giorni nel vortice ritmico di rullante pesantemente percosso, canzone sia uguale a se’ stessa, ripetizione ed esaltazione d’arte transustata in alba, tramonto, notte e tutto cio’ in essi contenuto e carne diviene immagine, quel colpo secco flusso e riflusso, forse il contrario, certo confuso, indistinguibile, indistinguibile, puntinismo di minuzie con piano, obiettivo, sentiero proprio.
Ancora una volta incantesimo non voluto, risultato immutato come parole troppo svelte per pronuncia incapace, per settimana molto piu’ lunga della sua fine, troppo lunga persino per immutabile e inaccessibile cerchio di vita.
Pierde el cielo equilibrio,
cae derrumbado encima de ti,
escondete un mundo
que nadie lo vea
cierra las puertas y espera

Convenienza

Giaceva nella rovente penombra del tardo pomeriggio l’estate cosi’ poco attesa, poco desiderata, per la prima volta subita in un senso d’insana crescita, d’inevitabile destino al quale opporsi chissa’ con quale risultato, con quale miracoloso responso non fosse per stupida e benedetta certezza d’eternita’ di giorni in cui dovere era desiderarla.
Tanti pensieri, non quelli giusti nel ruolo mal ritagliato di chi doveva vivere di potenzialita’ ma c’era da esprimere un bisogno, tracciare un segno, distruggere barriere e col sorriso accettare imminente sconvolgimento.
Autunno lontano, inverno lontanissimo, l’estate successiva da inventare, solo spettri, solo mostri, solo echi nel caldo, nella verde luce, nel sincronizzato ruotare e poteva essere comune ascoltare, atteso giorno inaspettatamente epico, silenziosamente roboante d’eterne parole, di nuovo cosmo, inedita tesi impossibile da non seguire.
Giallo puo’ essere oro in giusta luce, nell’anima di chi osserva senza interesse, senza giudizio questionante inezie in sole morente, in rientri annoiati, inerzia altrove meritata, furbescamente evitata.
Sudore risponde ad agitata simbiosi climatica eppure tremo incredulo, mi siedo, non unisco secondi che controllo come supremo essere a cui niente puo’ essere negato e posso solo pensare che nulla e’ da svelare se stringere tra le mani l’assoluto e’ solo gioco di bambino stanco di giocare, ansioso eppure annoiato, eccitato ma spaventato, triste di felicita’ immeritata e grottesca e cosa e’ mai strapparsi il futuro di dosso come pelle di viscido serpente nel futuro quando rimpianto non si e’ divorato meglio dell’anima sfiorandone confini e bordi gia’ corrosi.
Voglia di uscire, desiderio d’amplificare voce trovata e meno paura, piu’ incertezza e avventura, gioia d’arte, tutto finito, tutto iniziato, tutto inventato, porta chiusa con violenza alle proprie spalle ma che importa se smarrirsi significa pagare salato conto dopo banchetto ancora da gustare e la’ sedia, la’ tavola imbandita, accomodarsi che per la cassa c’e’ ancora tempo.
I don’t like Ibiza
I don’t like house music
I don’t like house music
I don’t like house music
On the road…

Orfico

Cammino instabile e non vedo fine alla superficie ghiacciata sulla quale mi trovo.
Come bambino scivolo e corro, cado e mi rialzo, un po’ di dolore, tagli qua e la’, molto freddo, molto caldo fintanto che sudo e m’agito e sole pare tramontare nel superbo blu di cielo figliato da malinconico Dio e non so che ore siano, ho perso il tempo, ho perso orientamento, ho perso bisogno di bisogni e non importa fintanto notte lontana, gelo immagine di film e camino acceso, solitudine incubo di bambino che smarrendo la madre comprende essenza del mondo.
Silenzio ed e’ il proprio, respiro disegna arabeschi innanzi e non vola e non precipita e non ha forma ma so a che assomiglia, vento saluta senza farsi sentire e stormi fiabeschi inseguono nuvole troppo stanche per fuggire in un momento epico, nella mistica mai perduta se solo non vi fosse umanita’ destinata a stelle lontane o abissi di terra in fiamme e in fondo che importa, nulla muta davvero se si sa guardare cosmo coi giusti occhi, coi giusti ritmi.
Di questa terra non conosco storia, non vedo altra geografia oltre bianco compatto, aria gelata, inamovibili giorni, stasi di unico ed eterno accordo curvato e ripiegato, talvolta confuso con altri suoni eppure mai smarrito, rimasta guida, bussola di solo nord perche’ unica e’ la meta per quanto celata e mai narrata perche’ e’ esattamente questo il nodo, punto oltre il quale le logiche divengono fili d’oro ben tesi e lucenti, normali giochi di vita, epici cavalieri al fianco quotidiano per non sbagliare, per non smarrirsi, per non sentirsi troppo unici e troppo soli.
Fermarsi, correre a perdifiato, salti d’impronte profonde, occhi chiusi o aperti, illusione, illusioni e non in questa terra senza anima, senza spiritualita’, solo invenzioni, sole inventato, anarchica energia eppure in trappola, eppure debole nell’apparente forza, nella consumata voglia di fuggire, nella preghiera senza incenso, nello sguardo che fatica ad alzarsi, nella mano che non sa accarezzare, non piu’ e tenebra e ombra e ginocchia a terra resto, resto qui perche’ questo e’ inizio del momento, inizio del silenzio.
Loco! Loco! Loco!
Cuando anochezca en tu portena soledad,
por la ribera de tu sabana vendre’
con un poema y un trombon
a desvelarte el corazon.

Come se fosse, come se…

Gialle e diagonali foglie cadono pesanti al passaggio, rapide, orgogliose nel momento supremo del loro percorso e che sia quindi questa amara verita’ d’intero esistere, istante ultimo in cui forse tutto si ricorda, certo e’ viaggio brevissimo ed infinito, silenzioso ed epocale, guizzo ed e’ correre come prima, come mai prima e finalmente uniti a qualcosa, a qualcuno, esperienza di umanita’ tutta, fusione e amore e respiro, ultimo come il primo in cerchio che abbraccia universo tutto perche’ davvero nulla inizia, nulla termina, tutto muta in ordinato caos.
La vita, la vita e’ l’anomalia, esistere e’ scarto d’eternita’, malriuscito tentativo di perfezione quando essenza vera di tumltuoso cosmo e’ energia incontrollata eppure regolata da forze e leggi supreme e meravigliose, meccanismi in cui vivente e’ ruggine, disturbo e sporcizia, fastidio il cui unico destino e’ cessare d’esserci.
Voglio vedere palpebre chiuse e chiuse bene, immaginare l’assenza, respirare aria non creata, ossigeno racchiuso dentro stelle e globulari gas, primordi di tempo non iniziato quindi mai finito.
Voglio insensibili mani perche’ non c’e’ mai rifugio dal freddo, forse umidi stracci che separano, dividono, allontanano e voglio non sentire piu’ la mia voce perche’ parola ha confine, limitata velocita’, espressione mediata ed inconsistente, inconcludente, interpretazione che mai esplica, solo semplifica ed e’ ogni volta sforzo e fatica, compromesso e noia.
Voglio pensiero infinitesimo per contenere cio’ che non esiste perche’ tutt’attorno non distinguo piu’, non discerno piu’, non so attribuire valore e senso, collocazione geometrica e spaziale, volumi in cui penetro quando non dovrei, spazio in apparenza vuoto eppure doloroso al tocco e muoversi per stare immobili, godere del proprio disagio, dell’incapacita’ di avere e persino d’essere, gia’ essere…
Voglio epico nulla, giallo epilogo intrappolato tra vento, pioggia, asfalto e infine briciole bagnate, non piu’ humus, non piu’ nutrimento ma palla di fuoco esplosa e ridente per l’unico viaggio che ha senso intraprendere.
Se il cielo dovesse aprirsi improvvisamente
non ci sarebbe piu’ legge, non ci sarebbero piu’ regole.
Resteresti solo tu con i tuoi ricordi
con le scelte che hai compiuto
e le persone su cui hai lasciato il segno

Sono eppure son desto

A un certo punto lingue tutte appaiono uguali, equamente confuse ed aliene e non intendo, non parlo, non comunico eppure non vi sono segreti rimasti, nessun inganno quando non udire equivale a non giudicare e non essere costretti a giudicare libera mente e cuore e gambe e via urlando forte frasi sconnesse ed incomprensibili, per questo immense e gigantesche, troneggianti deserti e citta’ decadenti, lontano nell’arroganza o consapevolezza che muro e’ libro, mattone e’ verbo, inutile pugno e’ aggettivo, sintassi sublime per mie sole orecchie nel vanto di conquista certamente meritata, presente e noncurante, limite reso alto pregio.
Batto un colpo, batto un colpo, rombo profondo, rombo circolare, onde concentriche su riva immobile abituata ad urti, piccoli sconvolgimenti, trascorrere di anni e vita, vita d’un tratto trascurata, dimenticata tra stracci e pentagrammi, kilometri sempre piu’ neri, sempre piu’ bui, sempre piu’ noiosi, distanti e vicinissimi, vicinissimi ed irraggiungibili nella voglia di un passato non pienamente sublimato, precognizione di cio’ che gia’ e’ stato, vissuto vivente, avvolgente, tepore in eccesso e perfetto habitat impossibile da abbandonare senza ridere, senza piangere, senza sanguinare ed e’ sangue gia’ versato ad incrostare interstizi profondi e nerissimi.
E’ notte e queste sono le mie parole, e’ giorno e’ queste sono le mie parole, parole, notte, giorno, e’ confusione, sempre piu’ confusione, e’ mescolanza di tinte, grigi risultati nel grigio intorno, nel grigio nido di occhi rossi e luminosi, tenebre e senso di fine imminente un po’ ovunque, cerca i segni, vedi i segni, eredita’ misera, certo nulla in tempo mescolato ed acerbo se ancora impreco e non spiego, non m’abbandono e affronto inevitabile resa dei conti.
Poi basterebbe raccontare, prima chiudere occhi ed ascoltare, orecchie sigillate e udire piu’ forte nel frastuono finalmente non piu’ mio se mio deve essere, se mio s’asciugasse come terra umida al sole, come preghiera che infne cielo raggiungendo, nel cadere diviene luminosa stella, rovente desiderio.
I’ll kick the world to spin around
Like wheels on my machine
The whole thing gets a carousel
The greatest ever seen

Inizio senza fondo

Questo contrattempo spalanca sguardo verso specchio da troppo tempo distrattamente scrutato perche’ e’ ragione nel dire che non sono piu’ io, che plastica fusa rallenta movimenti nell’illusione che mondo stia rallentando con me, che non distinguo piu’ strada da aria da cemento da alberi da elettricita’ da pittura da musica da carta da istinto da sudore da parole da benzina da cibo da ritmo da ritmo da ritmo.
E’ che ho dimenticato quando quella crepa e’ nata, quella crepa si e’ allargata e nel fragore di specchio caduto, innumerevoli scaglie sbriciolate, forse non troppe se ho saltato, calpestato, giocato e gioito sui cocci e se di se’ stessi non si butta via niente, di frammenti ho ricomposto la superficie, di schegge ho martoriato le carni, di sangue ho venato congiunzioni lucenti e ho riso fortissimo, pazzo ho danzato e infine ho rimesso ogni cosa al suo posto e innanzi milioni di nuovi me, minuscoli pezzi che non compongono intero ma l’amplificano in corpo infinito, infinito potere, infinito pensiero, illimitato, illimitato, illimitato e forse non vedo piu’, forse non riconosco piu’, forse non distinguo piu’ ma ascolto, maledizione quanto so sentire in questa stanza piena di luce, piu’ stelle di trilioni d’universi perche’ luce e’ suono, movimento e’ ancestrale rito del quale posseggo conoscenza e ricordo, ora ricordo, so e ricordo.
Da qui si riflette l’infinito niente, sopra, sotto, dietro e attorno ad unico centro e sono dentro, sono fuori, sono ovunque e la vista toglie il fiato laddove persino scudi appaiono micidiali spade e gola piegata, urla di coraggio e forza e la verita’ corre di frammento in frammento e non si ferma, non mi fermo, nulla si ferma.
Quanto dura, da quanto non riposo, per quanto posso ancora mantenere sguardo incantato ed illuso se un giorno mi ritrovero’ in un solo minuscolo punto di luce incapace di lasciare segnale oltre propri confini, oltre un lascito sprecato, al di la’ di una verita’ che inutilmente so essere assoluta ma sempre piu’ se deve essere congiunzione io stacchero’ queste mani dalla terra e anche se non saranno ali, almeno saro’ libero.
Pioneer of aerodynamics
they thought he was real smart alec
he thought big they called it a phallic
they didn’t know he was panoramic
little eiffel stands in the archway
keeping low doesn’t make no sense