Sono fuggito di casa e mi sono rifugiato nell’unico luogo in cui riesco a non pensare, nel solo posto dove tutti miei i doveri e i piaceri, le colpe e i meriti e cio’ che compio o meno ricade per un verso o per un altro solo e unicamente su me.
Non e’ mai fatica, non c’e’ sudore o dolore; e’ la sensazione di tranquillita’, l’appagamento che cresce laddove v’e’ sacrificio e dovere, consapevolezza che non c’e’ risultato se non ci si mette in gioco.
Poi terminare e stemperare la pelle in acqua fresca e lasciare che il respiro si blocchi nello stomaco, il sangue stesso si fermi e permettere alle ansie di sciogliersi, sospensione emotiva ed emozionale, dipendenza infranta dal quotidiano.
Era un anno che aspettavo quel momento…
Mi sono mosso lentamente e alzando lo sguardo al cielo, da una parte il sole mi e’ esploso negli occhi e all’opposto nuvole grigie spaccavano l’orizzonte correndo longitudinalmente nell’algido blu.
Ora fermo, naturalmente immobile, non mi e’ parso vero che quel tempo fosse mio e l’assenza totale di voglie e desideri mi ha estasiato come raramente accade, come un premio ambito e meritato.
Ancora sole rovente, tanto sole e libro che scivola via tra lampi accecanti e sudore copioso e cosi’ ancora, ancora, ancora fino a sentire l’ombra rotolare sul fianco e via via attraversarmi, oasi lussureggiante nel deserto in fiamme e alfine silenzio, conclusione solo rimandata ad altri giorni, a quando spezzero’ ancora le mie abitudini, lasciandomi spazio, aria, libri, qualcosa che amo, per me, solo per me…
I am a face
in the painting on the wall
I pose and shudder
And watch from the foot of the bed
Sometimes I think I can
Feel everything…
Autore: MaxScorda
Quel che succede
Luci lontane nel poco chiarore rimasto, fari di trattori nella fresca campagna, nella verde e gialla campagna e una moltitudine di stelle ancora nascoste, attesa di buio dal quale emergere.
Aria umida malgrado la velocita’, malgrado il gelo nello stomaco e nonostante tutto ancora un po’ di kilometri nelle braccia, nelle gambe, negli occhi stanchi, cosi’ stanchi…
Non mi e’ rimasto molto, quel tanto che serve per arrivare a casa, quel posto carico di silenzio da infrangere, luci spente da accendere, immagini da proiettare e pagine da sfogliare.
Avere voglia di cosi’ tanto che nulla accontenta ne’ soddisfa e scoprirsi in una di quelle sere in cui le voci non si placano, i dolori non passano e persino la musica non ti avvolge come dovrebbe, non lenisce il disagio come consueto.
Un po’ di rock, quello antico, quello di sempre, quello di tutta la vita e se il brivido ugualmente non arriva, le mani almeno si muovono e un po’ di nulla rotea e fugge soppiantato da basso e batteria, un sorso di fiele e’ sputato da chitarra molto elettrica e quelle parole scivolano come miele tra cocci di vetro.
Voglia di sentire ancora, vedere ancora e come da ragazzo considerare ogni minuto il minuto buono per provare stupore, nuova energia che brucia senza distruggere, fuoco che crea e non consuma e domani altra energia, ancora fuoco, ancora un nuovo domani.
No, niente di tutto questo ma il mio rock e’ ancora qui, almeno lui rimane a prendere il posto di cio’ che manca, di cio’ che non c’e’ piu’, di cio’ che non c’e’ mai stato e sempre piu’ sono convinto che non solo sia importante, ma forse e’ quello che piu’ conta.
Out here in the fields
I fight for my meals
I get my back into my living
I don’t need to fight
To prove I’m right
I don’t need to be forgiven
Equilibri impossibili
Per due minuti, due soli minuti non mi e’ importato piu’ niente di niente.
Sole, sole caldissimo fuori da quelle alte mura cariche di aria viziata e gambe affaticate, zavorra di sudore e stanchezza addosso, peso inumano.
Un po’ di orgoglio, un pizzico di amor proprio, testarda determinazione ma che rimane, che resta veramente alla fine dell’ora, nel centro esatto di cio’ che vogliamo e siamo, non so, non definisco eppure ero ancora li’ volendo solo concludere ed essere altrove.
Ah la mente, la mente, la mente e’ cosi’ potente quando vuole, quando puo’, quando riesce e serve poco, suoni industriali, basso vertiginoso, batteria dall’urlo lontano ma imperioso e le parole giuste, quelle parole che non hai saputo raccontarti, che nessuno, nessuno, nessuno, nessuno al mondo sa dirti, sa sbatterti tra i pensieri nel mezzo del dolore, nella trappola dei giorni, nel recinto delle piccole consuetudini, parole che spalancano i cancelli della rabbia come arcane formule sepolte dal tempo e da stupidi uomini.
Dolore all’anima come fredda lama tra le costole e non ho visto piu’ nulla, qualcosa e’ esploso e ogni frammento rovente ha inciso carni e cuore.
Ho corso, ho corso come mai prima in vita mia e non era abbastanza, niente lo e’ per quanto faccia male ammetterlo e ogni passo demoliva montagne, ogni bracciata svuotava oceani, ogni respiro cancellava mondi fino a quando non e’ rimasto piu’ nulla da distruggere, niente da abbattere e l’infinito vuoto come casa.
Non e’ rimasto neppure l’esserci ancora o il tamburo battente arginato nel petto ed e’ stato un grande niente, un niente che sempre piu’ spesso vale piu’ del tutto.
E’ necessario che io sia coerente con me stesso
per dare il peso giusto e un senso a tutto il resto
ed e’ importante che non faccia cose in cui non credo
per non confondermi e dover tornare indietro…
e’ necessario, e’ necessario…
Superare il meglio
Il piede sta sfiorando l’acqua e inaspettatamente e’ ricordo duraturo, uno da portare con se’ nei giorni e quando si cercano ragioni e motivi.
So, so benissimo dovrei terminare il giro su questa infinita ellisse e non precipitare nella trappola tesa a rinchiudermi ancora una volta in inutile tragedia, in corsa verso la polvere.
E’ che purtroppo ho imparato a nuotare sin troppo bene e trattengo il fiato ancora meglio.
Acqua come aria fresca e fango come fuliggine, turbini che si muovono come brezza e gorghi spaventosi di sottile movimento.
Amo e odio, rapidissima successione di fotogrammi sovraesposti, gonfie deformazioni di psichedeliche immagini, eterna proiezione di medesime figure contorte ed esplico su esse tutto cio’ che conosco, quella misera cultura che mi appartiene giocata in due accordi e qualche campo lungo e che il resto passi a domani, nuovo tempo, nuova meraviglia su cui germinare in radici di nero fumo.
Confusione ma non basta perche’ la confusione non e’ mai abbastanza, la confusione e’ lucida nella sua indefinibile forma e caratterizzazione, quindi a me materia grezza da porgere in lacrime a chi vede, a chi ascolta, a chi si accontenta di poco o niente, buon tentativo fallito e via a riderci sopra in inutile gaudio, recrudescenza che almeno delinea lo stato delle cose.
Bilico…
Ho perso il mio controllo sulle cose di ogni giorno
e sento
la mia memoria vuota come aria da non respirare
ma ci vuole del coraggio per restare sempre in piedi
(ma mi senti)
in un momento
questo momento
solo in un satellite in costante movimento
Sentire e non perdersi
Pioveva come fosse l’ultima cosa che il cielo volesse fare.
Accorgersi che la pioggia e’ elemento piu’ alieno di quanto si pensi e’ stato un attimo, interminabile e stupefacente.
La pioggia si adora o si diprezza, spesso cio’ che desideriamo muta il giudizio ma raramente la si vive a fondo.
Voluta o evitata, rimane elemento da sfiorare e guardare da lontano e farla propria, accettarla come ineluttabile destino puo’ essere sorpresa.
Ampiamente considerare obblighi e imposizioni come nuovi percorsi finora ignorati e magia laddove non ti aspetteresti, forse non vorresti.
E’ che la pioggia non e’ mai fuori di noi, non si ferma sulla pelle e neppure impregna le ossa ma raggiunge ricordi primevi, esperienze ataviche sin da quando eravamo rettili, sin da quando eravamo nuvole.
Gocce di materne culle, ninna-nanna in ere in cui il canto era il sogno di Dio, umido grembo ricolmo di vita e voce, voce tuonante della creazione stessa.
Ecco, quella voce l’ho udita o forse risentita fuori dai miei reconditi recessi ed era musica, musica con cui sono nato e cresciuto, indistinguibile sovrannaturale tra umani arcangeli di verita’ scomparse, solo piccoli tra grandi ma ho colto davvero qualcosa.
Un attimo, minuscola frazione di tempo insufficiente per assimilare, per far proprio ma sono certo di aver visto e sentito, rapito ed estasiato ho fatto parte di un insieme immenso e non ho avuto piu’ dubbi ne’ incertezze li’, proprio li’ dove mi sono ritrovato, inventato, riscoperto.
Right behind you I see the millions.
On you I see the glory.
From you I get opinions.
From you I get the story.
Listening to you I get the music.
Frastuono di ogni giorno
Acqua increspata come carta usata e poi gettata, ruggine marcata a dare senso di tempo trascorso, intemperie, fatica e cieco utilizzo.
Questi odori non mi piacciono, sanno di cucina mal pulita, disinfettante e incrostazioni di miasmi calcificati negli anni, qualcosa che passa, felici sia gia’ passata e in malora cio’ che e’ stato.
Cemento sgretolato contornato da mura graffiate, intonaco oramai abbozzato e crepe come vene in corpo esausto.
Profondi canali di acqua sporca come vita non solo venuta e andata, anche ferita e dolorante e annoiata e malata e cattiva, inutilmente vigliacca e distruttiva.
Verde mutato e mutante tra fessure come squarci, vita che nel paradosso nega la vita, tangente simbolo di grigio vuoto d’amore e ribellione infettiva quando niente e’ importante, niente serve, niente ha piu’ futuro.
Futuro, qui non c’e’ futuro, non c’e’ presente, solo un incerto passato colmo di attese irrealizzate o forse esaurite, banco di pegni con scaffali vuoti di oggetti gia’ riscattati e altrove riposti eppure si sente ancora vita, posso vedere aloni quasi scomparsi di cio’ che e’ stato e come fantasmi aggirarsi tra la polvere degli anni che furono.
Invero non riesco a star male, non riesco a soffrire qui nel mezzo di questo decadimento perche’ statico e’ il riposo immobile il bisogno di equilibrio e se cio’ che vive deve anche morire, forse in questo limbo non c’e’ vita ma neppure la morte trova dominio e se questa fosse l’eternita’, allora la cullero’ come il primo e l’ultimo dei miei figli, la stringero’ forte a me perche’ nel nulla e’ l’unica eternita’ che mai avro’, che mai vedro’…
Sara’ l’idea
che il tempo si consuma
e all’improvviso sei solo,
come un attore hai scelto il ruolo
di chi e’ sicuro di se’,
ma sai benissimo che la tua arte
e’ nella parte fragile di te.
Ghiaccio sotto la neve
Mi chiedi quando saro’ felice…
Quando il sogno e il giorno saranno uniti, potrei risponderti peccando di sfrontato semplicismo ed astratta retorica eppure nella risposta vi e’ racchiusa la contraddizione in termini che la contraddistingue, la condanna dell’umana esistenza.
Se l’intorno definisce quanto l’interno e il contrasto caratterizza, allora e’ bianco che crea nero, e’ bene a dare senso a male e il quotidiano immerso nell’evangelico e’ forza dello stesso segno che respinge e nega.
Lo so, parli di sorrisi lasciando i massimi sistemi a chi ha tempo da perdere ma sono gretto e sguazzo nel pantano delle idee facendo credere sia oceano.
Lo so, parli di foto antiche, di qualcuno che doveva forse essere e non e’, di chi aveva tanta di quella vita in corpo da non avere paura di nulla, nemmeno di se’ stesso e dovrei guardare il dito invece della luna che indica divenendo profeta iperrealista che nega ogni tentativo d’interpretazione, di rappresentazione, fuoco in espressione numerica.
Cosi’ giro nel mio parcheggio deserto in cerca di un posto ed osservo il mondo dall’abitacolo che sa di muffa, sonno arretrato e deodoranti esausti, impreco e sbraito sapendo che solo io ascolto, solo io subisco, solo io rinuncio ad aria fresca e terraferma perche’ la mia forza, il carburante emotivo del gioco al massacro al quale mi condanno e’ la voglia tua di pormi queste domande e con esse offrirmi una via di fuga, la sola possibilita’ che ho di guardare al di fuori della voglia di fermarmi e se proprio fermarmi e’ la mia tentazione, non sia la tua quella di non chiedermi piu’ nulla.
Voce che chiami quando il tempo e’ gia’ morto
Voce che chiami quando il sogno e’ gia’ spento
Esistono giorni ma non giorni di festa,
chiedilo a loro se davvero saranno cio’ che pensavi quando eri un bambino e adesso non sai quando…
Solo una memoria
Perche’ ancora scrivo quando Waters tutto ha detto 30 anni fa?
Perche’ ancora cerco visioni, immagini, quando Parker ha filmato quanto serve poco dopo?
Erano giorni di incomunicabilita’ di latente propensione al sociale, inizio di fortunata e modaiola tendenza e in tanti hanno guardato senza vedere, ascoltato senza sentire.
Il bambino osservava incuriosito, affascinato dalla superficie di un fondo eccessivamente lontano eppure sentiva affinita’ e attinenza, premonizione non credo, forse genetica che risponde, riconoscere sangue diverso di diversa densita’, colore composizione.
Oggi sono giorni di smarrimento e stomaco che urla, notti a rigirarsi per dolore reale e voci immaginate, sogni non fatti e freddo pungente al centro delle ossa e non posso, non sopporto quello sguardo carico di sconfitta, desolante verita’, la peggiore delle verita’, quella che ti punta il dito addosso urlandoti la parola “colpevole”, quella che non ti commisera perche’ basti tu a farlo, quella che ti volta le spalle perche’ il disprezzo e’ sentimento troppo alto.
Fautore della propria esistenza ecco la condanna piu’ severa e non v’e’ appello quando si e’ imputati, giudice, giuria e carnefice.
Insopportabile, insopportabile…
Il muro, il muro, si il muro e milioni di non volti tra i quali mostrare indifferenza e superiorita’ e capire che Waters e’ un bugiardo, Waters conosce la verita’ e la verita’ non e’ un muro che crolla, invero impossibile barriera a cui rassegnarsi e se una maschera e’ soluzione allora l’umanita’ e’ racchiusa in quel muro, il bambino e’ dentro quel muro e se il cielo e’ oltre il bordo, che le ali rimangano ripiegate perche’ non c’e’, non c’e’ alcun luogo verso il quale dirigersi.
If you should go skating
On the thin ice of modern life
Dragging behind you the silent reproach
Of a million tear-stained eyes
Don’t be surprised when a crack in the ice
Appears under your feet.
You slip out of your depth and out of your mind
With your fear flowing out behind you
As you claw the thin ice.
Il giorno dalle colline
Caos e ordine, due forze opposte che non possono annullarsi, non sanno annullarsi, non devono annullarsi.
La mia cultura, la mia indole, le mie abitudini convergono verso l’ordine e la precisione, ma quanto e’ stato inutile, futile ricerca di uno schema che porta all’assenza di schema.
E cosi’ ogni cosa si ribalta, segue smarrimento, disorientamento e riflusso emotivo che come mare in ritirata scopre sabbia bagnata, appiccicoso fango da pulire, spatolare lontano, inutile scarto di fresco blu.
Attendi l’onda, conta i secondi, non rimanere troppo deluso se all’arrivo ti bagna appena o all’opposto imprevedibile non lascia nulla d’asciutto.
Forse non e’ mare, non e’ onda, non e’ l’incontrollabile ciclo delle maree, forse e’ luogo, situazione, proiezione ed aspettativa e se cosi’ fosse allora non c’e’ direzione in cui guardare o silenzio dove nascondersi perche’ la soluzione e’ lontana, la soluzione e’ diversa, la soluzione e’ estrema e duratura.
Si, forse, forse e’ tutto sbagliato e tutto giusto e se fuga coincide con restare, se fossero giochi di bimbo, trucco di vecchio clown, giornale alzato dal vento allora cosa potrei rimetterci se non l’ennesima vita perfetta, nel perfetto mondo, nel perfetto tempo.
Forse o forse il richiamo che sento non e’ eco di stelle nella notte di luna nuova, non e’ il bisbiglio sommesso di uccelli stanchi di emigrare, neppure risate dietro porte sigillate e forse, forse e’ chiudere gli occhi sul ciglio di precipizio e dopo l’ultima preghiera, immolarmi alle correnti ascensionali e all’ennesima illusione.
Cosa e’ successo?
Come ci sono arrivato qui?
Il dolore…
Cosi’ inatteso e immeritato, mi aveva chissa’ perche’ snebbiato la mente
Mi resi conto che non odiavo l’anta della credenza,
odiavo la mia vita
la mia casa, la mia famiglia, il mio giardino, la mia falciatrice…
Niente sarebbe mai cambiato…
Non mi sarei potuto aspettare niente di nuovo…
Doveva finire e fini’.
Ora, nel mondo oscuro in cui dimoro
Cose orribili, cose sorprendenti
e a volte piccole cose meravigliose
traboccano continuamente verso di me
…e non posso contare su niente…
Significato del mare
Sfreccio fin troppo velocemente urlando a squarciagola vecchie canzoni come fosse la sola cosa che mi e’ rimasta o forse perche’ e’ la sola cosa che mi e’ rimasta.
Quanta teatralita’, che ricerca di attenzione in questo e il vino non attutisce la verita’ di una corsa verso il nulla.
Dovrei forse finire di vedere macerie in ogni direzione e sorridere gioioso alle stelle?
E’ forse servito a Nick Drake immaginare piu’ luce da li’ a poco o il rado jazz tra le dita ha tracciato la sua prematura fine, ha presagito cio’ che inevitabilmente doveva avvenire?
I suoi archi, le sue domeniche potevano salvarlo?
Forse un sax lontano e’ un richiamo troppo forte da essere evitato, luce da falene nel buio dell’anima.
Non lo so, non lo so e’ che mi raccontano di persone che scivolano e mi trovo a scivolare anche io con loro, mi aggrappo con poca voglia alle rare sporgenze e gioco con me stesso evitandole, certo o quasi che sapro’ interrompere la discesa.
Ci vuole talento per scendere senza salire, bisogna essere abili a vendere precipizi come piani verticali, cadute come planate e intanto allegramente i tasti del pianoforte urtano soavemente le corde e come un bambino senza futuro che sa godersi il presente, rido e ruoto e giro e piroetto come se questa giga fosse l’ultima mia danza.
Duole il capo, troppe immagini, troppi pensieri, numeri misteriosi che non definiscono piu’ il mio mondo e che a stento identifico eppure, sembra strano, ancora cerco quelle escrescenze da afferrare, lo faccio forse senza convinzione e magari neppure per me, ma se le ragioni scemano, ancora in forze mi sostengono e lascio le mani comandino, depongo il mio destino tra le mie stesse dita e aspettero’, aspettero’ ridendo, danzando, ballando, scivolando…
Never know what I came for, seems that I’ve forgotten.
Never ask what I came for or how I was begotten.
I’m a poor boy and I’m a ranger.
Things I say may seem stranger than Sunday changing to Monday.
Nobody knows how cold it flows and nobody feels the worn down heels.
Nobody’s eyes make the skies, nobody spreads their aching heads.