Perigeo II

Ho guardato nel buio ed ho osservato molto bene, ho guardato ancora e nel fondo scopro la mia immortalita’.
Questo e’ e cosa se non un lungo e sterminato tunnel buio senza alcuna luce sul fondo.
L’acido resta immobile e sciogliera’ cio’ che rimane dei miei giorni proprio qui, nell’attonito silenzio di questo autunno bambino che ancora non canta ma gia’ soffia forte in sax tenore di sapore antico.
Ritorno all’incoscienza di quando le forme erano luci soffuse e confuse, suoni indistinte cacofonie da riordinare, riorganizzare in musica e parole, autoconsapevolezza di uno specchio come gioco, corrispondenza simmetrica, elementari associazioni ma anche allora qualcosa iniziava, partiva verso mete inimmaginabili.
Ecco, ecco l’incapacita’ del tempo di progredire se l’oggi nulla guadagna da ieri e nulla conta piu’, nulla ha senso su scala abbastanza ampia.
Chiedersi quindi se sia piu’ forte la carne o il pensiero e non c’e’ azione, filosofia, strategia, anatema o ideologia a sostenerne tesi quando nel battito di ciglia di una montagna, effimero movimento e’ meno di polvere di stella lontana.
Ricordare, ricordare cosa ed e’ qui la scommessa piu’ importante, scelta se ancora di scelta si tratta ma esistono ordini diversi d’infinito, insiemi che contengono insiemi, che contengono insiemi, che contengono insiemi e la fisica non conta, non c’e’ matematica, non c’e’ logica in susseguirsi di linguaggio che non comprendo perche’ il mio infinito, la mia immortalita’ soggiace laddove comunemente non si guarda, non si osserva, non si scava e tantomeno si considera.
In questo luogo, nel pentacolare spazio di elite snob e sepolta, furtivo mi muovo, tra stupore e noia, godendo dei passi dimenticati, delle mani abbassate, delle orecchie che faticavano a comprendere mascherando con assenso e tra bicchieri di plastica rovesciati e coriandoli esausti, ascolto il mio momento ed e’ importante farlo perche’ unico, solo tra i soli possibili, indimenticabile perche’ gia’ dimenticato.
…l’esistenza di un ordine e’ oggi necessaria in funzione delle nuove forme sonore che andiamo scoprendo, perche’ la musica non e’ pi

Il viale che desideravi

Intrappolato come libro impolverato mai letto e tanti sono i libri che giacciono supini ed inutili e qualcosa non funziona se sapere e’ superfluo, innocente desiderio che mai si realizzera’ e guai lo facesse.
Ancora sfioro copertina di fogli bianchissimi e preziosi e seppur poco e’ passato gia’ reminescenza, annovero nell’importanza della vita, sovente avara ma ampie bracciate nobilitano e tenere stringono.
Blu profondo e nuvole forti di vento e onde ed e’ perfetto, tutto perfetto, irripetibile e non importa in quale scala classificata, in quale ordine riposto perche’ ricordo, conservo, pontifico nelle notti piu’ complicate.
Regalo importante, l’unico che abbia permesso e cosi’ doveva essere per stringere a me ancora piu’ forte e teneramente ed e’ giocattolo sorprendente, inaspettato e voluto senza conoscere a fondo motivo e ragione.
Esiste un’epica che non comprendo, mitologia tutta da creare ed inventare di base incomprensibile ma riconoscibile nei filamentosi sviluppi, facile nel mezzo, ignoto nel fine, semplice nell’uso.
Io so cosa fare e c’e’ persino reverenziale timore nell’iniziare perche’ quel bianco e’ cosi’ puro, liscio, candore immeritato per parole che non meritano, concetti innocenti e veri, dolorosamente veri, a loro volta puri ma di colore troppo vivido, tinte forzate quando serve pastello di serena concezione.
Spaventa irruente scrittura, forse ingiustificata delicatezza ma c’e’ del sacro, venerazione di un momento cosi’ ambito e legittimo voler preservare, allungare nei ricordi e nel cuore la presenza di cio’ che in fondo piu’ desidero.
Non importa se anche questa volta ho mancato l’istante perche’ ho strappato un lembo di seta profumata prima che sfuggisse dalla vista e manca solo il convincersi che non e’ sporcare, non e’ imbrattare, solo riempire, forse completare, magari lasciare per non essere dimenticati.

Ultima pioggia

Invento nuovo codice e non so come riesce a rilassarmi, sfida ulteriore che leggera si aggiunge al pesante carico odierno e mi sento sazio sebbene non pieno.
Qualcosa ancora dentro si muove, gira vorticosamente ma non stanca, immune sopporto, ignoro e lascio correre.
C’e’ calma irreale, inquietante persino, strana atmosfera quando solo urlando e spaccando porte si riempie quel vuoto insopportabile alla vita.
Mi guardo attorno e non riconosco completamente questi oggetti, ascolto Sakamoto ed e’ come musica sentita dopo millenni di cacofonico silenzio.
Vorrei che sottile striscia di fumo fosse ancora nella mio respiro, vorrei che quelle note suonate con due dita non cessassero di stupirmi, vorrei ricordare come potrebbe essere se solo sapessi comprendere, accettare meglio questo momento.
Consapevole del presente e non pare vero, sorpreso trovo meravigliosa sospensione, totale insensibilita’ e nulla fuori posto, solo leggero fruscio, voci accavallate e distanti, stridore di acciaio su acciaio e sorrido mentre mi rivelo completo, senza bisogni o suggestioni.
Totalmente indipendente scivolo tra le valli dei miei pensieri e li invento senza spettatori, ad un passo dall’assoluto, leggero, forse illuso ma non cambierei con niente al mondo il quieto mio respirare.
Laggiu’, indefinito soggiace l’incompleto e l’irrealizzato ma sfondo e’ seta preziosa, per una volta liscia e profumata superficie, carezzevole, immobile lancetta, preziosa stasi.
Scriverne e’ gia’ peccato, descrivere e’ gia’ sacrilegio, riflesso egoista, solo mio…
I’ll go walking in circles
While doubting the very ground beneath me
Trying to show unquestioning faith in everything
Here am I, a lifetime away from you
The blood of christ, or a change of heart

Il pomeriggio se ne va

Esiste l’eterno, che l’eternita’ esista o meno.
Infinito inesorabilmente avvolto da finito e memoria, si memoria e’ indicatrice unica, contenitore ed espositore, sola possibile affinche’ conservare nel tempo e negli uomini sia possibile.
Ma se mia e’ la memoria e se essa racchiude l’eterno allora l’eterno e’ in me e con me vive finche’ vivo, con me muore quando sara’ morte.
Se sono eternita’ allora sono realta’, alfa e omega di un cosmo per me generato ed ecco che tutto e’ chiaro mentre le stelle smettono di ruotare vorticosamente configurandosi senza tentennamenti o strane configurazioni.
Ecco quindi che bellezza rimane eterna, immutabile scultura scavata nel marmo strappato dalle ossa della terra e se eterno e’ il tempo, decade a gioco di specchi, esercizio mentale senza scopo se non diletto senza finalita’ alcuna, persino poco divertente, noioso.
Dissonanze sono ricordo ed equilibrio impera, comanda nel preciso conteggio delle ore, piatti equidistanti dal terreno e cio’ che ieri affascinava oggi immutato incanta come allora, come contrazione di pomeriggi assolati, biciclette appoggiate a muretto mentre sole e vacanze arroventavano desideri impossibili, protrarsi di sogni e impossibile avvenimento.
Si dice cambiare ma osservo guardando oltre lo sguardo e trasparente come cristallo attraverso pareti ed incertezze riabbracciando asfalto rovente e desiderio non compreso interamente ma non per questo meno vitale.
Un tempo ero puro e quella purezza di diamante grezzo non e’ poi cosi’ lontana, cosi’ irraggiungibile, mesi di bambino e incanto, quello sempre, senza mancare mai.
Picture yourself in a boat on a river,
With tangerine trees and marmalade skies
Somebody calls you, you answer quite slowly,
A girl with kaleidoscope eyes.

Proporzioni

Non sono lontano, sono solo in un posto in cui non voglio stare.
Mi ci abituero’ ma ora e’ aria pesante da trangugiare, aria che mi circonda maledicendo chi a pochi passi osserva curiosando nella vita di chi oramai non si comprende piu’.
Poco inebria, abitudine ogni giorno diversa sebbene ciclica di brioso stile e medesima natura, contratta metafora.
Non so, non so cosa si possa osservare e non pretendo esclusiva o inebriante unicita’ malgrado ricerca non appartienga a nessun altro, non invoco celebrita’ e predominio perche’ in mondo singolo individuo e’ insieme pieno, globale esistenza, raccolta senza scarti ed omissioni.
Certo, come questo suono sintetico vago da passato troppo remoto a improbabile futuro e poco m’illumino ma fievole luce narra di mutazione, lentissima trasformazione, consapevole energia, senziente sguardo al di la’, nel campo di erba giovane e mai calpestata, virgulto laddove terra morente e sterile pareva dominare.
Se domandi cosa vi sia oltre ghiaccio azzurro la risposta e’ infinita distesa di bianchi elettroni, lingua da descrivere facilmente, gelido e fisso sguardo, concentrata analisi priva di calore ed emozione.
Neve nascosta dal fuoco forse e’ chiave rivelatrice per chi ancora ha voglia di cercare, scivolare non come condizione ma affermazione del proprio essere, urlo rabbioso dell’attenti, proclamazione d’assoluto.
E’ forse cosi’ difficile? Sono talmente distante da confondermi con anonima macchia, banale sfumatura in tinta d’arredamento?
Non essere e non sono e non e’ segreto, non e’ metafora, non e’ altro se non quanto sole riflette, quanto terra evoca, osservare ed accettare e almeno domando, si qualche volta domando…
Che cosa eri non lo sai piu’,
un viale lungo davanti a te,
alberi immensi sul tuo cammino.
Una ragione per vivere c’e’
la mente vola, non ti conosci piu’
Ora sai cos’e’ la voglia di pregare
ora sai cos’e’ la forza di sperare

Dall’inizio

I confini piu’ difficili da scoprire sono quelli che ci si e’ posti, forse perche’ il tempo passa e i giorni che corrono sbiadiscono scritte ed intenzioni ma talvolta il quadro e’ piu’ confuso di quanto effettivamente appaia.
E cosi’ che importa, perche’ cercare sempre, sempre, sempre un significato, un senso, un desiderio da esaudire, una missione da compiere?
Che canzone di tantissimo tempo fa regredisca la mia coscienza ad epoca meno sazia, tronfia, al tempo in cui i suoni erano nuovi e i giorni sperperabili in superfluo benessere.
Canzone che porta pioggia, giro di chitarra e basso come danza propiziatrice, voce distorta che e’ voce di tutti, epocale esplosione sonora di rara potenza, d’incredibile impatto, scontro frontale che fa dimenticare, che invita ad andare oltre, a scavalcare ennesimo ostacolo.
Potrebbe essere campana nel verde di collina smeraldo, domenica di sole, festivita’ di primavera e quel profumo mi ferisce qui, adesso, lontano.
Casa fatta di legno, finestra su universo inesplorato, luogo che non mi appartiene ma vicino, dolcemente solidale, accostato al volto e al cuore mentre voci straniere ormai non mi toccano piu’, non mi sentono piu’.
Illudersi di esserci, uscire dal manto di nubi e vento, cavalcare un soffio tra le case, tra quei volti grigi, ritrovare quanto smarrito senza chiedere aiuto e perche’ no, essere quanto ci si aspetta da me, magari senza pagare troppo, senza rinunciare a troppo.
Difficile e’ deludere in silenzio, senza rancore, senza accondiscendenza ma ancora piu’ difficile e’ non deludere affatto nel donare comunque consapevolezza, certezza, costante nell’incostanza, inenarrabile, imperscrutabile, generoso perche’ io.
There might have been things I missed
But don’t be unkind
It don’t mean I’m blind
Perhaps there’s a thing or two
I think of lying in bed
I shouldn’t have said
But there it is

Vapore

Gira diversamente e non solo fuori, turbini cessati, lampi sporadici, quiete imperante, solita agitazione come stagione pretende ma e’ superficie ruvida, pelle squamosa che rimane sulle dita.
Poco acido, sempre quello, sempre il solito, bile che sgonfia ed uscirne non complica il giorno, pensieri rallentati perche’ ora pensare non serve, esercizio per non perdere abitudine e rabbia, stile libero tra flutti incatramati seppur habitat abituale.
C’era un tempo e c’e’ ancora, c’e’ un ciclo e ci sara’ sempre, ripetizione forse non circolare ma ellisse allungata di parvenza aliena eppura notissima, gioco d’illusione nella bruma di un mattino che tarda sovente a giungere.
C’e’ chi non aspetta, chi agisce mentre passi lenti solcano il tappeto consunto, privo di ogni splendore e lucentezza, piu’ certezza che necessita’, indulgente superfluo, coperta in tiepide notti.
Messa in moto ma e’ gia’ partito, comico inseguimento perche’ poco importa in fondo e aspettare non conviene, aggredire, azzannare alla gola un po’ di piu’.
Se solo sapessi goderne, raccogliere un briciolo di azzurro e farne riparo ma i miei occhi non sanno guardare oltre il fitto strato di nubi e del sole ne serbano ricordo lontano, forse leggenda quando non troppe leghe mi separano da esso.
Sfiorire ma non si applica, non sovviene quando serve e in fondo non serve, inesplicabile sussurro che da’ tempo fine a se’ stesso, inutile propaggine, estensione atrofizzata, uccello senza ali.
Magari e’ stata scelta, forse avversita’, forse genesi inevitabile e’ che gli spazi aperti ancora mi confondono, i colori brillanti non s’impastano in forme, scheda solitaria mai e’ novella e la mia fantasia non e’ piu’ quella di una volta, gambe pesanti, cuore pensante e poco istinto, sporadici desideri mascotte di un divenire sempre piu’ improbabile ma queste foglie a terra almeno sollevano un po’, dolce volo, il piu’ bello, l’ultimo, il solo.
And I am not frightened of dying, any time will do, I don’t mind.
Why should I be frightened of dying?
There’s no reason for it, you’ve gotta go sometime.

Tutto tranquillo

La memoria fa il suo sporco mestiere di mentire, mentire e proteggere, forse distorcere ma non questa volta.
No, questa volta no perche’ certe notti ti spezzano qualcosa che non si aggiusta, non si aggiusta piu’.
Poi il tempo, suo degno compare, rimette insieme le cose e le copre con danze e balli, spazzatura venduta come oro zecchino, innaffia terreno con vino scadente e getta cibo in aria, giusto per non far mancare nulla.
Funziona, funziona sempre ma sotto spazzatura e calcinacci c’e’ crepa profonda, c’e’ peso del fallimento, dolore di aver fatto male e ancora non comprendi come.
C’e’ una pellicola e c’e’ un uomo che non puo’ parlare, un uomo che a stento si muove, appena sussurra un perdono e quel dolore che paralizza e lascia inerme come bambino impaurito indietreggia negli anni, mai troppi anni e il solo ricordarne presenza e’ terrore, e’ sguardo che si abbassa, e’ desiderio di espiare, di cancellare, di urlare, strapparsi il cuore dal petto per smettere di sentire, di vedere, di chiedersi dove fosse finita l’anima, la voglia di comprendere, la forza per uscire da un dolore senza fine.
Senza fine, si… senza fine…
Ora ricordo e quella grande finestra tonda era porta sull’abisso, quelle immacolate pareti bianche l’unica fortezza possibile, auto in strada amiche, piu’ vicine delle stelle e quelle lacrime vere come piombo fuso sulla carne, quegli occhi arresi nella loro prima debolezza guardavano gia’ in bocca al futuro, al destino deciso come asfalto impennato verso il cielo, bisettice di bene e male, verdetto di condanna con unico giudicante e giudicato, colpevole senza riserve, eterna stupidita’ come pena, eterno non divenire delle cose, purgatorio e c’e’ di che ringraziare in fondo.
Che canzone dovrei ascoltare ora quando non c’era musica nelle vene e le parole scivolano inutili perche’ esiste linguaggio che comprendi con tremanti mani gelate, quando la strada termina in muro sporco e scrostato, quando perdono e’ privilegio che non meriti ma c’e’ chi superiore t’investe e illumina.
Forse canzone c’e’ ma non e’ mia, non appartiene a questo cosmo, non gira su queste corde ma ugualmente l’accetto e non lenisce dolore, non accompagna il sonno, non abbandona quella ruga e se il niente di oggi, di domani, di tutto e’ inutile prezzo lo pago volentieri perche’ senza sarei banale colpevole, piccolo uomo, indegno volume.
Forse e’ poco ma e’ tutto, forse e’ niente ma non ho altro, davvero…
Did I disappoint you or let you down?
Should I be feeling guilty or let the judges frown?
‘Cause I saw the end before we’d begun,
Yes I saw you were blinded and I knew I had won.
So I took what’s mine by eternal right.

Unico corso

Credo nell’energia, nella potenza, nell’onda d’urto, nei bassi che sgretolano fondamenta, nel colpo secco al cuore del mondo, nella distruzione che crea, nel pensiero che si fa acciaio, nel pensiero che si fa carne, nel pensiero devastante motore del progresso.
Odo arpeggi di violini, timpani profondi e per un singolo, infinitesimo istante tocco la Verita’, sfioro cio’ che realmente e’ lasciando a terra questo inutile florilegio di menzogne sapientemente imbastite.
Cerco ordine, simmetrie perfette in orizzonti pendenti, deviati e devianti e attonito mi ergo dritto contro storture di ogni genere e grado, inutile trascendenza certo ma ancora alzo il calice e non sarebbe possibile senza.
Io detentore dell’unica forma di elevato esistere?
Si certo e chi puo’ affermare il contrario se non cercando di usurpare contestato e privilegiato ruolo?
E’ una questione di metri, pochi metri alla volta da percorrersi a basso profilo ma e’ lo sguardo, si lo sguardo che punta e dirige, sono gli occhi che danno direzione e comandano il braccio, speciali lampi, porte di un pensiero che cerca di essere libero e talvolta, solo talvolta vi riesce.
Poi inseguo un metodo, scavo nel profondo del terreno e se sprofondo non importa, se cado mi rialzo e so che alla fine la chiave e’ nel cuore, nella resistenza, nella volonta’ di proseguire colpo dopo colpo, forse con quei timpani a cadenzare il ritmo, dita strette sulle corde, suono compresso come molla cineticamente contratta e davanti ci sono io, la direzione infinita, la voglia di abbattere ancora qualche muro e la necessita’ di un ricordo che valga, una lacrima che sciolga, un sorriso che spiani le montagne, un cuscino su cui abbandonarsi.
Force yourself to use your brain,
The only way to gain,
A lot of things are just a lie.
This world we love comes down in pain
With hate and bloody games
A question-mark up in the sky.

Artigli nel ghiaccio

L’uno vive in una sfera molto differente da quella dei molti, le sue regole sono diverse, talvolta paiono bislacche, altre eccentriche, spesso incomprensibili.
Deviante creatura, mutante e mutevole, sfuggevole alle catalogazioni seppur mitizzato nel comprimerlo a topos bidimensionale, astratta pantomima, ridicola maschera.
Non e’ mai la sola apparenza dei fatti a definirne atteggiamento, non e’ mai la filastrocca raccontata per zittire, sorprendere, stupire e raccontare la verita’ per quanto in essa sia radicata oltre la maestria del lessico.
Funambolo, si mostra sicuro allo spettacolo, sorride come se il mondo fosse un luogo meraviglioso, sprezzante gestisce e comanda ma dietro ai movimenti sicuri e misurati c’e’ fatica immane, quella che chiude gli occhi sprecando lacrime, c’e’ poca luce, molto cielo, troppa energia, poca illusione.
L’uno non comprende la lingua dei molti ma voci lontane di paesi e terre oltre il tramonto sono familiari, stranamente vicine, calde come una coperta sotto la quale rifugiarsi quando il freddo paralizza e non lascia spazio ad alcuna forma di calore.
Voci che paiono colmare spazi siderali e alte onde del tempo, provenienti da epoca che a stento individua, piu’ simili a ricordo altrui, sogno di bambino e non distante realta’.
Cio’ che l’uno non sa e’ che i molti non esistono, i molti sono frutto della sua incapacita’ di danzare, di muovere passi bislacchi per onorare cio’ che e’ stato, cio’ che poteva essere accettato e goduto.
I molti corrono e rapidi rispondono a chiamate che non riconosce e forse e’ difesa e se anche non fosse e’ bene non dire, non far capire, non distogliere lo sguardo dal dito che copre il firmamento intero.
Tell me is something eluding you, sunshine?
Is this not what you expected to see?
If you wanna find out what’s behind these cold eyes
You’ll just have to claw your way through this disguise.