Ci sono ancora storie laggiu’, ad oriente, lontane da qui, distanti da miserie ed inutili arroganze, ridicole alzate di testa che solo riescono a sventolare flaccida carne morta quando c’e’ realta’, presenza, si laggiu’, laggiu’.
Si puo’ parlare di vita come fosse violino suonato alla fine del mondo, alla fine del tempo, semplice ed immobile esistenza incapace di corse e voli, passeggiare mentre sole proietta lunghe ombre in tiepida serata, foglia su vento come onda destinata a spiaggia ancora lontana, forse irraggiungibile, meravigliosamente impossibile, sogno di bambino che nulla teme, scaldato e protetto.
Si puo’ parlare di morte come offerta, meritata, talvolta ambita, altre ineluttabile, mai nemica, mai tetra sorpresa, dolore sposato a dignita’, celebrazione che e’ danza di antichi amici, amanti, movimento fluido come fluido e’ il corso del tempo, acqua che non si ferma mai e poi mai, evento da ricordare mai cancellare e orgoglio di chi sa che una vita non e’ mai perduta finche’ rimane onore e giudizio.
Si puo’ parlare d’amore fatto di carne, di sangue, corpi delicati e straziati in ampi giri, immense circonvoluzioni, ricorsi e spirali nella giusta visione di si’ carne mero contenitore, si’ sangue nutrimento proprio ed altrui, urla da confondere con sussurri che percorrono la notte come lupi affamati, piacere antico, eterno vissuto, destino immutabile, predestinato piacere, nessuna fine, nesun inizio, solo attimi carpiti alla vita perche’ cio’ che conta e’ trovare, non restare, non possedere, non strappare, non prosciugare.
Si puo’ parlare di mare ed e’ ancora mistero quando sono onde e non atomi ad infrangersi sulla riva, fine del mondo dove il mondo inizia, acqua innanzitutto, passi lenti mai incerti, respiro ed e’ aria amniotica, occasione forse di entrare in silenzio quando si e’ usciti urlando, certo non interludio, completa e realizzata sensazione di sublime infinito in finite terre, isole sulle quali costruire, inizando, finendo, non importa, no non importa.
Si puo’ parlare di verita’ ma che importa se non la si vive, se non la si annusa, se non la si vede, se non piu’ commuove, se ha finito d’emozionare, se la si confonde con l’assoluto mentre e’ tenero nulla dal quale risorgere.
I tuoi fiori
fiori per me.
Quando li guardo, sai,
mi sembra che parlino,
ma so che
Autore: MaxScorda
Variabile realizzo
Esasperata ricerca del grande, immenso perfetto, cosmico e pantagruelico e’ a ben pensare facciata neppure tanto ideale, nascondiglio un po’ grottesco ma ben conservato del vero volto del desiderio.
Ognuno parte dall’alto, rincorsa infantile ma talvolta necessaria, semplice scalata illusoria di un mondo nuovo oltre le nebbie della vista ma laggiu’, tra l’immaginazione e il presunto, niente cambia, nulla muta e dietro curva di grigio orizzonte esiste solamente altra triste e finita terra.
Elevato non e’ alto, distanza non quadro d’insieme, forse abbozzo, prosaica composizione che descrive senza definire, parla ma non racconta ed e’ raccogliere polvere sotto la quale vita si congela in stasi forzata carica di silenzio, penombra, grigio pensiero.
Quindi avvicinarsi circospetto, rispettoso e cauto perche’ e’ mistica visione, aliena collocazione di realta’ alternativa e non ben definita eppure piu’ reale del reale, mattone e fondamenta di materia ed idea e minore e’ la distanza, maggiore e’ consapevolezza, certezze di particelle, atomi e quanti senza i quali sarebbe disgregarsi caotico, materia senza gravita’, senza storia, senza tempo.
Ripenso, ricordo e di anni rimangono mani, lame di luce a solcare stanze poco illuminate, stoffe rese vive dal vento, bocche come fiori al sole che rispondono al giorno, movimenti di rami, riflessi.
Foglie non foreste, occhi, si occhi e non volti, frasi pesanti mille e mille libri stampati, accordi di una sola nota che sostengono orchestre e sinfonie, buio infranto da solitaria stella.
Cercare infinito negli infiniti niente puo’ essere follia ma anche follia e’ pensiero tra milioni, visionaria esistenza, chiave che non e’ porta ma controllo, gestione, volonta’, umile che si fa gigante quando gigante e’ solo punto nella mente dell’universo.
We’re lost in the middle of a hopeless world
Lost in the middle of a hopeless world
Children children of the moon watch the world go by
Children children of the moon hiding from the sky
Luna lenta e lontana
Che strano modo questo di comunicare, come circumnavigare una stella per poi tornare e raccogliere un fiore.
Compensazione ed assenza, carenza insita in natura forse avara, ingenerosa certo, corresponsabile col fato di stato di cose che ho invano combattuto e contrastato e gloria sia per tentativo pregevole e irrealizzato.
Oggi sono piu’ vicino all’imperfezione di ieri, altresi’ di ieri piu’ vicino alla verita’, astrazioni la cui ombra attraversa il giorno, il momento, il senso del giusto, del dovuto, della passione, del cuore.
Parole per coprire parole, rifuggo semplicita’ in cerca di nobilta’ immeritata, minuscola gloria almeno un poco dovuta ma non abbastanza per non avere piu’ occhi, orecchie, senso di dignitoso rispetto per chi ha anteposto l’esistere al divenire, il coraggio, quello vero ad inutile dispendio d’energia, forza sparata nel centro del nulla quando ben altre vette, incredibili distanze, inimmaginabili profondita’ avrei raggiunto con diverso senso della vita.
Non seguire, non ambire, non cercare, non raggiungere chi come me insegue, osserva dal basso olimpo fin troppe volte immaginato, dipinto con dovizioso spirito, generoso sforzo ma e’ palliativo, tiepido sorriso di ben altra natura rapportato.
In me vedi fiume ma solo sono alveo quando e’ acqua che delinea e disegna vene nel corpo della vita, arida conca di pietre, mero contenitore definito da cio’ che porta non da quello che e’.
Eppure leggo e affondo nella semplice complessita’ che instacabilmente m’impongo di riprodurre se solo potessi scivolare fluido e lineare, se non smarrissi regolarmente il cammino, se avessi un luogo vero in cui rifugiarmi.
Io sporco, io imbratto, io inutile testimone di altrui favole, di personali demoni con un solo, solitario, incantevole angelo in tutta la mia vita.
I lift my hands from touching you
to touch the wind that whispers through
this twilight garden
turns into a world
where dreams are real
Pezzi di laggiu’
Scrivere, esserci, dov’e’ la relazione, quale similitudine, attinenze e specchiate virtu’, speculazione forse o solo volonta’ di riempire un vuoto con insensata conquista.
Un nome e’ una parola, evocatrice ed illuminante, scorciatoia a volte, promemoria altre ma dietro si cela un solo e concreto ed ampio e conclusivo gesto che riporta a quanto gia’ inciso, che sia macchia o parola, senso compiuto o vaneggiamento di folle solitudine.
Ebbene esistere non basta se nessuno pronuncia il tuo nome e come albero inascoltato nella foresta, e’ possibile ambire a uno schianto talmente forte da risvegliare chi o cosa, un cenno, uno sbadiglio, chissa’ un nuovo giro di ruota.
Lettere, segni affiancati come scandaglio di tempo, traccia, impronta di corpo che ha egli si’ storia, massa, consistenza e realta’, presenza presente non ombra di cio’ che e’ passato e stato.
Ecco, questa e’ la visione di parole se ci fosse abbastanza mare, sufficiente sabbia impregnata di movimento, vita non che fu ma dinamico ed illuminante scintillio come di antico e fantastico sogno, sospensione di credo troppo materiale, eccessivamente pesante, astratto artifizio ancorato alla pomposita’ del luogo comune, dell’algebra di un’epoca che sempre meno mi appartiene.
Potrebbe, solo potrebbe senza essere ma esiste almeno un pensiero che lascia impronte dentro me, irriconoscibili rune di lupo alato, mito scordato di terre stanche d’essere esplorate, ma per chi ha lasciato stupido branco bighellonare laggiu’, sempre sotto vista ma lontano dal vento, allora vecchio si confonde con nuovo, fischio flautata nota e ogni notte puo’ essere nuova notte, proporzioni riacquisite, ricontestualizzate e se e’ vero che una stella e’ un sole, che il buio m’illumini, mi scaldi, mi rigeneri.
Help yourself
But tell me the words
Before you fade away
You reveal all the secrets
To remember the end
And escape someday
Attorno al mondo
Senza occorgemene fu luce che ora confondo tra tramonto ed alba ma a quel tempo no, sapevo esattamente dove fossi malgrado non avessi la minima idea del perche’.
Mi alzai ipnotizzato e furono passi dolorosi di gambe immobili da secoli, la stanza che si allontanava, pavimento di marmo tenero e cedevole, movimenti di gigante in piccola pianura o viceversa, la sensazione e’ la stessa.
Guardai fuori l’immensa finestra rotonda, cerchio verde e perfetto, tondo da confondere e non capire bene se cio’ che stava innanzi a me era l’intero mondo o solo parte rappresentativa, forse specchio di qualcosa che a stento confinavo come reietto scarto d’esistenza.
Fu incanto, fu stupore, fu bianco talmente puro da ridefinire concetto d’energia, porta spalancata su livelli d’esistenza non altrimenti concepibili ed ipotizzabili.
Aria come emergere da fossa oceanica, respiro che dai polmoni consumava infiammando atmosfera rovente, pelle sudata, incastrato nell’infinita estate che pareva infinita eppure nemmeno iniziata.
Ebbene fu alba e non fu la mia, mi rammaricai di questo e cercai di fuggire o almeno un modo per farlo riuscendo soltanto ad abbassare il capo, rassegnato ma un’alba lo e’ per tutti, lo e’ a prescindere e cio’ che cambio’ fu il comprendere che esisteva un inizio da scovare, da respirare, un tempo in cui calore e’ tepore e confusione solo desiderio inespresso, occasione da cogliere con gioia.
Nuovamente seduto vidi quelle immagini, curiosa ed insensata rotazione, ritmico incedere, elettronica sinfonia, assurda eppure viziosamente perfetta e tutto fu trasparente nel vedermi nero, bianco, argento, rosso e se ogni luce fu pensiero, tutti gli inutili passi brucianti lacrime, sfogo che sa di rinascita, nuovo inizio, violento prezzo, maledizione compiuta.
Era giunto un tempo che ancora non conoscevo, inconcepibile, terribile, disegno perverso, ironico nel suo manifestarsi in nuova rotazione e che cambiava mai, che serviva certo ma quello era il mio cerchio, la mia danza, libero nella mia trappola e se fu scelta li’ germino’, nella luce, nell’aria, nella finestra, nella musica, nella cosmogonia di cielo spezzato, di movimento esausto.
Nero su nero
Trovarsi un po’ li’, perduti ed inutili mentre tutt’attorno avvizzisce e scompare, non senza un lamento, un ultimo grido, latrato talvolta, sospiro altre.
Se dovessi pensare ad un suono sarebbe di cento corde battute con dolce maestria e tenera compassione in un sapore finalmente antico e non etnico, tradizione trasformata in memoria storica, forza d’imperante civilta’ quando il tempo e’ giudice unico ed incontestabile guardiano di verita’.
Anche silenzio se potesse suonerebbe medesime corde ma silenzio e’ solo, silenzio e’ sordo perche’ nulla ha da ascoltare se non se’ stesso e nella luce riflessa grida inascoltato, magari compiaciuto o forse disperato, smarrito nei ricordi, perso nelle occasioni, girandola di una discesa senza fine.
Mi domando cosa accade nel superare quella soglia dalla quale non si torna, fine di parabola alla quale nessun rimedio compensa ed aggiusta e non posso immaginare la sensazione del comprendere che gia’ e’ stato fatto, gia’ e’ accaduto, stupendamente inutile persino riflettere e cosi’ patetico il perderci ulteriore tempo.
Volonta’, la volonta’ e’ energia che non si esaurisce ma semplicemente si spegne con banale interruttore e non v’e’ mai buio, solo orrenda penombra, fioco bagliore e tanto basta per arrendersi soffrendo, ultima visione di volto stanco ed inerme che nulla serve oltre terminale fiotto di odio ed oscuro risentimento.
Ha poi tanta importanza illuminarsi di luci che a loro volta si spegneranno nel fragore dell’assenza, memoria latitante, senso di corsa su breve, forse media distanza, neppure polvere nei millenni di millenni, nessun figlio degli eoni del cosmo tutto, cenere di stelle troppo distanti per essere pregate, venerate, seguite e in quel silenzio anch’esse mi seguono, mi avvolgono, mi proteggono.
Bitter words mean little to me
Autumn Winds will blow right through me
And someday in the mist of time
When they asked me if I knew you
I’d smile and say you were a friend of mine
And the sadness would be Lifted from my eyes
Oro e desiderio
Il sole accecca e stordisce eppure e’ insito naturale gesto, stato di cose e di fatto, situazione provvisoria ed e’ lampo che colpisce, pugno di sordo dolore destinato pero’ a sfumare ed acquietarsi quando stessa stella filtrata da pulviscolo e’ caldo oceano di luce, onda che diviene marea, plasma di densa energia, incantevole ed incantatore, trasporto senza meta in deriva che diviene destinazione.
Affondare e non capire, immergersi e non vedere e c’e’ illusione, abbandono, follia, senso di onnipotenza di chi nulla possiede e meno puo’ perdere, niente lascia al calcolo ora servo del caso.
Staccare le mani, alleggerire la presa che nella morsa controlla e dirige ed incantato in quella luce vedo strada, percepisco cio’ che cosi’ grande puo’ afferrarmi e condurmi e non v’e’ alcuna resa se non nella consapevole e lucida illogicita’ del sogno, qualunque sogno.
Se e’ vero che esiste un libro sui giorni nostri passati e quelli a venire, milioni d’altri narrano cio’ che non e’ stato e cosa non sara’, la fisica di una terra creata da uomini e non dei, sublime ed imperfetta, cronaca non destinata all’immortalita’ eppure eterna nelle generazioni, nelle intenzioni, nelle speranze.
Puo’ quindi la successione sempre piu’ rapida degli eventi deviare senza rallentare, imboccare corsi che non siano ricorsi, fondamenta di rovente bagliore in terra della consistenza di giorni passati, cemento che vuole vestirsi di certezze quando volonta’ e’ acqua e speranza e’ sabbia.
Ho visto eppure non basta, ho creduto di vedere e invero e’ passo in avanti perche’ cio’ che e’ permane statico nell’algida tridimensionalita’ dei sensi ma se dominio dell’uomo e terra di lucido incanto coincidono, allora li’ e’ direzione, promessa forse non mantenuta ma meritata gioia, splendida alba, nuovo inizio.
I lift my eyes from watching you
to watch the star rise shine onto
your dreaming face and dreaming smile
you’re dreaming worlds
for me
Completo profondo
Non sappiamo piu’ vivere perche’ vita e’ dovere non diritto, conquista palmo a palmo di terreno, costruzione verso vette inesplorate non occupazione di altrui spazio, inutile spazio.
Assoluto esiste nella potenza numerica ma relativo e’ umano dono, strumento vitale per misurare bisogni e voglie, per tarare energia e volonta’.
Bisogna uscire, uscire, uscire e fermare tutto, buttare ogni cosa e azzerarsi come aprire gli occhi al mattino e cio’ che appare nuovo e’ matita di quadro forse gia’ dipinto ma mai troppo studiato, sentito, apprezzato.
In qualche modo e’ una sfera che cresce, egocentrico rotolare in ogni direzione perche’ muoversi e’ sentire, e’ cosmogonia dell’unico universo noto, sensato luogo, splendida risposta.
Uscire quindi ed e’ energia che percepisco, che stupisce e sorprende e quale piccola cosa e’ ragnatela di uomini ingordi, di creature stupide intrappolate in utopiche e multicolore celle di sprigionato tanfo d’ipocrisia e orrendo gusto di rimpianta schiavitu’.
La liberta’ non e’ terra selvaggia e sconfinata, la liberta’ e’ un immenso giardino di siepi fiorite recintato, delimitazione che non restringe ma esalta virtu’ e meraviglia perche’ esiste storia per ogni singolo stelo d’erba e allora correre oltre diviene calpestare di patetico essere che non sapendo creare distrugge.
Non so, non so nulla e gli anni come scirocco erodono e spianano ma c’e’ del bello nello sgraziato muoversi di massa alla cui superficie appartengo, malgrado tutto e se cosi’ deve essere giusto, allora c’e’ misura attorno a me, c’e’ susseguirsi di cielo e terra, aria uguale ma sempre diversa, cammino che faticosamente traccio ma braccia alzate chiamano, cercano, a volte sfiorano e quel caldo tocco e’ spinta propulsiva e a fondo il resto quando pioggia e gelo rafforzano, fortificano, dolore che e’ anche aria se ancora serve per respirare, ancora tanta aria…
Mine is the Earth and the sword in the stone
Mine is the throne for the idol
One fleeting moment and it is all gone
Crownless again
Will I fall?
Come pelle
Il sole visto da un pozzo nel profondo buio della notte sembra luna piena eppure nuvola illuminata nell’oscurita’ appare come sole splendente.
L’essenza non e’ parvenza eppure ne definisce proprieta’ e talvolta le piu’ importanti si evidenziano come fari nella nebbia, un po’ come guardare e non capire, coprirsi il volto con le mani ed improvvisamente nessun mistero, nessun segreto, nessun incanto, tutto noto.
Partenza senza ritorno perche’ andare e non comprendere e’ come non essersi mai mossi di un passo e tentare non serve, non aiuta affatto e cosi’ scoprire che piu’ lungo percorso e’ stando immobili con quel tanto di leggero ed impercettibile tremore del collo, palpebre vibranti eppur chiuse, scrigni di occhi che vedono molto piu’ da chiusi.
Vi sono porte che non trattengono un passo fermo e deciso, tantomeno lacrime e speranze in universo infinito ma non cosi’ vasto da non essere percorso nel lasso di un pensiero dimenticato.
La distanza tra deserto ed eterno ghiacciaio non si esprime in passi bensi’ in notti insonni, occasioni in cui ripensarsi, rivedersi, immaginarsi lontano ma non troppo, vicini ma non troppo, felici ma non troppo perche’ le realta’ non e’ mai a portata di mano ma neppure cosi’ distante da non essere raggiunta con pochi sorrisi, qualche affanno, certo rischi ma altrimenti che senso avrebbe.
Pulito ed ordinato, preordinato forse ma ci si illude che il meglio debba ancora venire e costelliamo gli spazi mancanti di flebili luci, tenui colori, illusioni fatte di parole, di immagini, di pensieri, troppi pensieri.
E’ che certe notti udire il proprio sangue solitario scorrere nelle vene da’ adito a piccole recriminazioni, leggere insofferenze, ampie e disilluse aspettative, voglie mai troppo represse, mai troppo ambite, generiche speranze, grandi e possenti corse nel silenzio che talvolta non e’ abbraccio.
What shall we use
To fill the empty spaces
Where we used to talk?
How shall I fill
The final places?
How can I complete the wall
Ovunque ci sia domani
Sorrido teneramente da luogo a cui non appartengo, rialzo invero limitato dal quale posso comunque vedere distanze maggiorate, aria un poco piu’ fresca, terre di poco sconosciute.
Come io sia giunto qui neppure lo ricordo sebbene strada sia stata fatta e ovunque fosse la mente, nella destinazione puntava lasciando poco spazio a margini, ai pensieri laterali, agli straordinari senza obbiettivi.
Non sono poi tanti i volumi che ognuno di noi colma col tempo che passa e se portata rimane distintiva, veri picchi capaci di coprire eppure innalzare sono infinitesimi di piatto totale.
Vedo piccole colline, promontori livellati di massima, forme diverse e’ certo e cio’ che manca in una prospettiva, altra ne guadagna eppure nulla svetta nella topologia dell’eternita’ e nella desolazione v’e’ l’immensa umana capacita’ di evolversi, di crescere e cio’ avviene non nella massa, non nel collettivo, non nell’insieme se non come somma di singole e diverse unita’ ed e’ quell’unita’ rapportata a nessun’altra che migliore e’ delle altre e nel mancato raffronto si realizza e compie.
Se il dialogo quindi e’ sulle proprie abitudini, sulle conoscenze individuali, padronanza di cio’ che si e’ in un luogo popolato da cio’ che si ha, allora non e’ emergere, non serve elevarsi, ingrandirsi, espandersi bensi’ esprimersi quando una pietra puo’ essere pianeta, foglia citta’, pozzanghera oceano.
Non in grado di girare banale concetto senza ergerlo a campione, eppure incapace di accettarlo contraddico per evidenziare, ancora e sempre convinto che peso sia un’invenzione di questa terra mentre massa appartenga all’universo e allora non peso, non peso piu’, non misuro, non misuro piu’ e m’affido all’umano senso dell’esistere perche’ se bilancia c’e’ forse davvero gli ultimi saranno i primi.
Sonno, tu che porti via i bambini
portami via anche questo
te l’ho consegnato piccolo piccolo
riportamelo grande
grande come una montagna
slanciato come un cipresso
che domini da est a ovest