Collegamenti

Immobile come lago ghiacciato desidero eterno inverno, esasperata intimita’ di bruma serale in silenzioso tramonto, spettrali e spogli rami inutilmente ad osteggiare sole radioattivo e morente.
La vita pare morte e morte estensione di unica realta’ possibile se il cuore e’ inutile ricordo, superflua appendice d’esistenza, sovrastruttura inesistente, abitante di alieno pianeta del quale smarrire posizione e direzione.
Paradiso puo’ essere gelo di un momento senza tempo, ricordi di lucertole che sognano di diventare uomini all’alba dei tempi, orrore di una fine senza fine, supremo ordine di pozzo oscuro, precipizio oltre il quale muscoli non reagiscono, pensieri non arrivano, sentimenti come fango sedimentato.
Posso vedere quel luogo e piu’ lo osservo, piu’ lo desidero, conquistandone pezzo per pezzo in lenta camminata che mi condurra’ inevitabilmente indietro ma di ghiaccio rovente voglio bruciarmi il volto, di obliqua prospettiva riempirmi il petto, infantile pessimismo gli occhi e con metano rovente irrorare polmoni e sangue.
Esanime distendermi, nell’abbraccio dell’eternita’ obliarmi, deformazione di spazio sulla soglia di infinita massa, nota di sassofono in assolo disperato come sottile raggio di luce sprecato nel cosmo, fotoni d’inutile viaggio, messaggio irrisolvibile ed impenetrabile, arrogante niente con titanica ambizione di divenire pigmento in immagine dal senso compiuto.
Osservo cristalli trasformare fluida coscienza in tetro diamante un istante prima di chiudere gli occhi e scorgo barlume di felicita’, sensazione dimenticata di appartenenza, capovolgimento di realta’ invero capace di spiegare molto piu’ di quanto abbia mai domandato.
Oblio e’ donna che inginocchiata osserva silenziosa, giudica severa eppure affascina, schiavo ne traccio posizione, incamero ed attendo calore che non desidero, non bramo, non merito, non voglio.
Struttura…
Walk into
The jaws of hell.
Anytime. Anytime.
We can wipe you out
Anytime. Anytime.
THE RAINDROPS

Secoli opposti

Guardo avanti con l’indolenza di chi annoiato osserva l’indifferenza.
Occhi troppo impegnati a scavare, diurno saziare esigenza e passione, notte di strane luci, oriente mitizzato di mostri e bagliori sfolgoranti, paure trasfigurate in sezioni corporee, brandelli di carne tra le mani e dolorose domande mentre la gita prosegue, foto a profusione per labile memoria, incerto ricordo, futura indifferenza.
Caotica lucidita’ manifesta in frasi gettate li’ ma e’ soltanto apparenza di pezzi stranamente ritrovati e lentamente ricomposti in quadro che solo io riconosco e non potrebbe essere diversamente, sensazione di vera appartenenza, origine o parte d’essa definita in tappeto sonoro spolverato e messo a nuovo.
Il riscatto ha suono dei tempi dispari di Soft Machine, tuffo nel plasma primordiale da lancette generato mentre altro nel nascere moriva e linguaggio da poco comprensibile e’ passaggio aperto in nuove, strane stanze.
Forza del contrasto tra forze, ennesima dimostrazione di tumulto solo humus vita, crescita, per qualcuno improprio gradino inferiore, per me necessario inizio quando solo direzione caratterizza nel contesto coincidente.
Intreccio tra sociali trascorsi distanti dal presente e personale riflessione quando nelle similitudini spiego un po’ l’uno con l’altro e ancora di forze universali si tratta, opposte e contrapposte che in conflitto e divergenze si risolvono.
Lucidissimo niente ma cio’ che vedo non puo’ essere fine o inizio o intermezzo o leggenda o storia, solo cannocchiale di immagini perdute, forse lampioni veloci sul mio capo, spoglie vetrine, balconi e finestre, vinili rossi e spaventosi pupazzi in sale chiuse.
Comprendo anche sia sublimare e un po’ confondersi, felicemente fuggire, dolcemente scivolare in qualcosa finalmente caldo, eppure non e’ mai inganno, semmai starsene immobili in attesa che sul serio tutto scorra innanzi in sensata direzione.
I’m very glad to hear that
We understand the sky will be visible soon
Soon soon soon you will be obliged to try
Soon soon soon to reach your moon and die

Inseguire ed esistere

Continuo da giorni a domandarmi quale sia la mia posizione il che lascia supporre esista una gara, una classifica, dei giudici e infine dei partecipanti, ignoto l’obiettivo che non sia vincere ma vincere cosa, ignoto il premio ma premio di quale natura.
Puo’ essere antica frustrazione che riemerge da inutile passato o solo espediente per ritrarsi e mirare figura intera una volta tanto immobile, senza paraventi o barriere, impegni urgenti, dialettica mal orchestrata, scarico di responsabilita’ e giorni brillanti reali o presunti.
Occhi invisibili osservano e non e’ vero, bocche maledette parlano e non e’ vero, rigurgiti di ribellione francamente patetici m’assalgono e niente altro esiste tra edificare e distruggere, spinta evolutiva alla quale fatico a sottrarmi cosi’ come difficile e’ fuggire da modelli e strutture, grande abbastanza, saggio abbastanza per sapere che potere e’ migliorare non ricostruire.
Forse le mie idee sono roccia ma in un mondo di sabbia esse s’ergono inutili e dannose, fastidio che turba regolare flusso di vento e polvere, squilibrio che indurisce necessaria fluidita’, forse detestabile ma fondamentale corso, ciclo al quale non appartengo, non completamente almeno, fulgido merito agevolato da curiosa casualita’.
Corridore in gara senza numero, senza classifica quindi, senza sconfitte ma nessun onore alla vittoria, percorso parallelo ma vicinissimo a chi ha accettato la sfida della consuetudine, del ciclo ininterrotto delle stagioni, possessori di scettri e regni da governare con progressiva saggezza in fotografie sempre piu’ a fuoco, sempre piu’ colorate, sempre piu’ definite e brillanti.
Le mie immagini sono riflesse, le mie parole disperse, le mie opere transitorie e se d’aria e’ la mia corona, perche’ di sogno non puo’ essere il mio reame?
Misera ombra, vuoto riflesso dell’io
non ti serve capire la forza che mi spinge a cercare nel mondo.
Chiara essenza divina gi

Vuoto altare

Certo che i numeri non esistono, vero che simbolo e’ astrazione, formula invenzione, teorema patetico sforzo di piccola mente per giustificare l’immenso ignoto, le stelle piu’ lontane, la piu’ piccola goccia di mare.
Attenzione pero’ a facile filosofia, domande antiche quanto il primo -perche’-, domande sorte al di la’ dell’uomo, desiderio di toccare Dio capendolo, interpretandolo, osservandolo nelle manifestazioni di un creato che oltre i millenni rimane incomprensibile, forma frattale infinitamente frastagliata eppur matematicamente definita.
Esiste universo che prescinde l’uomo, indipendente dal suo contare, soffiare, sudare, urlare, geostatica di ritorno e confondere simbolo con oggetto e’ astrazione, precipizio affascinante su spirale verso centro nullo ed inconcludente.
Foreste colme d’alberi che si accasciano al suolo e negare e’ banale stratagemma per non vedere sole caldo tra rami ansiosi, non incamerare aria che e’ respiro di natura, connubio, simbiosi, fiato tra bocche d’amanti, solitario organismo in unico materno cosmo.
Vi sono sensi che percepiscono dimensioni e forte e’ la volonta’ di quantificare malgrado misura non sia definizione e se un numero e’ pietra allora contare e’ montagna, vetta senza fine da raggiungere, spasmodico obiettivo che e’ sfida della ragione, esplorazione della mente forte e vincolante quanto corpo che senza pace cerca anfratti e terre nuove.
Dimensioni note ed ignote, goccie di pioggia che scivolano sulla pelle consumandola, solcandola, tracciando percorsi come discese ripidissime quando e’ proprio oltre i sensi che viviamo l’irreale, pandimensionali giocattoli di menti irrequiete incapaci di accontentarsi.
Mai credere ai numeri perche’ i numeri non mentono, i numeri feriscono, oltre i simboli sanno far male e la loro inumana voce racconta di nulla ed infinito, inizio come fine indifferente e scostante, fremente terrore di universo composto da nulli punti eppure infiniti nella loro grandezza e puo’ essere banale segreto, sufficiente sospiro.
Pay no attention to the writing on the wall
The words seem Empty cause there’s nothing there at all
We let the wise men beat the Drums too soon
We were just children of the moon

Peso specifico

Incendio bianco sporco e azzurro oltre la collina del monastero, aria di qualcosa che sta finendo, voglia di iniziare, desidero di un simile cielo dentro me.
C’e’ un balcone e’ c’e’ curioso mistero, vento caldo da chissa’ quali terre e atteggiamento di chi tutto vuol sapere senza merito ed onore, illusione che non voglio delusione.
In qualche modo e’ continuo rimando a semplicita’ innata e complessita’ acquisita delle quali ora non ricordo e distinguo genesi, ragioni, obiettivi ed e’ tramonto impossibile da dirsi finito se non a buio completo, nessuno stacco, transizione incompleta di luce che comunque non cessa mai d’esistere.
Mi piace pensare a nuove strade, timido crescendo d’ancestrali bisogni, liberarsi di innanto controllo, modestia giustificata o meno, non so ma condizionamento imposto che deve andarsene e con esso imprecazioni ed urla, capo chino al di sotto del pensabile, del gestibile, del sensato e semmai domandarsi il perche’ di un recinto che a nessuno giovava.
Parole di poco vuote, grottescamente incomprensibili ma definiscono accordi di canzoni che bastava poco per ascoltare, storie che solo allungando la mano si sfiorano, si accarezzano, si possiedono ed incantevole forma e’ cio’ che assume il semplice solo un poco diverso, alternativa realta’ spostata, neppure nascosta, medesimo raggio di luce scomposto in arcobaleno da prisma da alzare ed interporre a meta’ tra voglia e coerenza..
Cosi’ gioco come bambino curioso, ignaro che la realta’ e’ anche fatta d’ombra, di domande senza risposta, di valichi insuperabili dalla ragione e indosso gioia e scarpe sportive, fiero e spavaldo verso un mondo che mai e’ stato tondo, mai irraggiungibile e come nella sapienza antica posso raggiungerne confini altrimenti lontanissimi nell’idea d’infinito sovrumano ora ad un giro di pagina nel suo piatto esistere.
Quando il giorno ritornera’
vedro’ il mio volto riflesso
in frammenti di vetro
ascoltero’ il suono che batte lontano
che arriva dal cuore,
il futuro nasconde il passato dentro di me.

Dolce ora

C’e’ chi narra che il vento porti con se’ profumi di terre lontane, sapori di inesplorate colline, foglie e polvere di racconti in lingue sconosciute ma a questo non credo se aria veloce strappa dalla mente pensieri e voglie.
Lassu’, sospeso tra quotidiano e intimo sospiro odo fruscio di civilta’, m’illumino di sereno familiare, latrati astiosi testimoni di antichi riti sono punti scuri su tela immacolata, intervalli di caos nella perfezione di racconto antico quanto l’uomo, necessari riferimenti per distinguere silenzio da paura.
Percio’ silenzio e’ acqua fondamentale per vivere, quando troppa uccide soffocando nell’istante impalpabile in cui ci si sente invincibili ed immortali e si, con silenzio c’e’ solitudine sua compagna, regina indiscussa di danze e canzoni, parole ed immagini, prostituta ammaliatrice che da’ chiedendo sempre qualcosa in cambio, pagamento di tempo ed illusioni, unica moneta che accetta e vuole.
E’ che non mi fermo mai abbastanza, non ascolto mai abbastanza, non respiro mai abbastanza ed e’ giusta condanna della perduta anima che faticosamente cucio attorno ad ossa e stomaco, baluardo patetico ma necessario a difendere battito di palpebre tra digrignati ghigni e pugni chiusi.
In fondo so essere musica che comprendo, ma e’ sinfonia che richiede sforzo e dedizione di giorni passati, sacrificio di ricordi in qualche modo da affrontare, bambino con vele di plastica, ragazzo troppo veloce perche’ aria lo sfiori, dolore troppo profondo per elevarsi dal terreno, poco tempo per divernire adulto freddo e saccente, padrone di anime e movimenti, signore del terrore e della notte.
Non fuga ma carezza, tragitto breve ma necessario tra un dentro e l’altro, dispensa di minuscoli miracoli sorretti da illuse dolci speranze, conquista che posso accettare, corona che sorregge e non schiaccia, dono del tramonto in giorni troppo avari e silenti.
My blood’s sweet for pain
The wind and the rain bring back
words of a song
And they say wave goodbye
Wave goodbye

I treni di Ozu

Immergersi nel cinema di Ozu e’ rifugio eppure viaggio, dimensione intima, toccante contatto con materni ricordi, dimenticati piaceri, assoluta ed ineguagliabile pace eppure, eppure, eppure e’ straniante visione, alieno cosmo in cui ogni sequenza e’ fantastica ed immaginifica, irrealta’ persino tattile, talvolta sconvolgente ma affascinante ed ipnotica come nulla e mai prima.
Visione d’autore che sorge visione d’uomo, memoria impressa ed indimenticabile d’istantanee nei quadri fissi che non sono scorci bensi’ interi microcosmo nel quale particolare e’ protagonista, ombra e luce a definire forme in geometrie asimmetriche invero perfette nel non trascurare alcunche’, nell’esaltare senza nascondere, fiere e certe che cio’ che non compare e’ ininfluente, non importante, persino inesistente.
Egli racconta con l’estro del non-narratore, cronista perfetto incapace di mediare, di addolcire o inasprire, braccio senza mano, vista senza occhi, bocca senza parola quindi meraviglioso e purissimo tramite, vettore il cui unico compito e’ condurre e riprodurre, lasciando a chi osserva l’onere di sentimento, emozione, dolore o gioia e in questo, tragitto e’ dentro se’ stessi prima che in storia narrata.
Semplicita’ del quotidiano mai banale perche’ e’ la vita di ognuno, diversa, indifferentemente complessa o elementare ma di tutti e tutti i giorni, impossibile da giudicare se non vivendola e facendola propria e nello scrutare cosi’ lontano ci si allontana da qualsivoglia notorieta’, distante e sempre piu’ distante, viaggio talmente lungo da far dimenticare persino di essere partiti e quando nulla e’ piu’ noto e passato solo nebbia, guardarsi attorno e scoprirsi a casa col sorriso di chi ha capito, le lacrime di chi ha vinto.
Ripetizione di luoghi, storie, personaggi ma monotonia e’ lontana finche’ peculiare e’ il racconto, unico e straordinariamente semplice, piccolo ed immenso oceano nel quale fluttuano esperienze e parole, sublime porgere mani per sfiorare non afferrare, frasi che guidano senza costringere, irripetibile familiarita’ condivisa con intimo silenzio.
Stregato, ammaliato osservo e confondo, mi perdo nei sorrisi e nei gesti, rimpiango volti estranei e familiari, tocco architetture sospese nell’immaginazione e sento, sento emozioni scaturite dal semplice piegarsi di un capo, dal passo soave di donne che ancora custodiscono in loro primeva forza di creazione e d’amore, dal coraggio di chi sa rinunciare alla propria vita nel trascorrere delle stagioni, dall’impetuosa forza del crescere e comprendere, dall’onore fondamento dell’umano vivere.
Ho imparato ad abbassarmi per osservare e per la prima volta non c’e’ piu’ distorsione in cio’ che vedo, linee perfettamente perpendicolari e rette precisamente parallele e questa e’ lezione di un maestro di vita prima che d’arte, lezione che stringo forte al petto, orgoglioso e riconoscente, nobile e grato, onorato e raggiante. Eterno.
Giungo a Sakurai, pieno di foglie verdi
al tramonto, sulla riva di Hateo.
Fermo il mio cavallo sotto l’albero e penso al mio destino
che cosa scorre sulla mia armatura?
Lacrime o rugiada?

Recente concluso

Talvolta coperta di lacrime e’ la sola che scalda quando nebbia impenetrabile riflette giorni piu’ grigi, mentre stanchezza e’ compagna, quando emozioni distano piu’ tempo del disponibile.
Mi sono mosso veloce, veloce e sicuro, risoluto alla soluzione, spavaldo ed efficiente pensando invero a tutto cio’ che non volevo, scartando soluzioni ed alternative, incompreso ed incapace di collegare e decidere, appeso e circondato da scelte tutte ed ancora piu’ sbagliate, tesi ed antitesi annullate da pari opportunita’ comunque scartate, reietti pensieri, capricci, si capricci di bambino stanco di giocare all’adulto.
Computer impazzito su dati elaborati ed abortiti, come despota rifiuto e condanno, con tutto da perdere odio e disprezzo, sardonico e violento non perdono e non concedo.
Poi un istante senza inerzia e niente piu’ si muove, stridore di arresto senza prevviso e come lamiera esplosa, pensieri da contraltare si comprimono e unico punto luminoso pulsa, vivo, spasmodica attesa, divinita’ o demone alfine rivelato.
Ecco, esplosione di colori come epoca a cui non appartengo e questi ricordi che so miei, potrebbe appartenere ad altri ignoti eppur fraterni pensieri.
Colori, si colori in forme fluide, arrotondate, realta’ bombata e desaturata, spinte centrali di spettro visibile e sole che non esiste, non esiste piu’, impossibile eppure di null’altro sono piu’ sicuro.
Pietra e non cemento, imperfezione di dio-uomo sulla soglia dell’inutile, sogno sarebbe se prospettiva bassa non confermasse lineare ma non impossibile scambio di realta’, forse unica realta’ vissuta, nell’unica vita vissuta, retrospettiva posteriore, futuro passato in terra arancio, simbiosi perfetta con l’impossibile vicino ed amico, stanca illusione madre e genitrice smarrita, sfiorata, cercata.
My Prussian-blue electric clock’s
alarm bell rings, it will not stop
and I can see no end in sight
and search in vain by candlelight
for some long road that goes nowhere
for some signpost that is not there
And even my befuddled brain
is shining brightly, quite insane

Crepuscolo mutante

Vago senza meta ne’ sosta tra troppe risposte senza domande, parco giochi esclusivo e limitato in desideri che non ho, cosciente di un mondo che non ho voglia di visitare, percorrere svogliatamente forse, calci a barattoli arrugginiti e senso d’inadeguato benessere.
Non cerco nulla ma nulla mi insegue e spinge e sbava e graffia e ringhia e fa odiare persino l’aria che si respira.
Senso d’insicurezza che si propaga come piaga biblica e cio’ che ferisce e’ non trovare un solo luogo distante abbastanza, silenzioso abbastanza, generoso abbastanza.
Poi m’inganno, costruisco su sabbia e sorprendo rabbia soffocata tra polvere e rottami ma pugni nervosi colpiscono acqua ed e’ lotta impari, lento abbraccio, presa mancata, scivolare nella piena coscienza, direzione opposta da oblio, contrario e traverso, generoso insoddisfacente.
Scuoto la testa e persino sorrido nella certezza che chi osserva agisce e la sua voce e’ tuono assordante nel silenzio del disprezzo che muta in accompagnamento di scroscianti applausi e non nego ammirazione io, io che imprecazione gelosamente conservata in petto e’ sola arma in mio possesso.
Trincerarsi dietro statiche e grigie immagini eppure e’ calore che esplode, comprendere che ghiaccio e’ gocce aggregate con la forza e l’arroganza di chi non discerne sudore da lacrime e dimentica che sorriso e’ uscita non ingresso, pertugio per ossigeno, un poco di luce, interfaccia bidirezionale d’indistinguibile realta’ tra l’altrove e il vicinissimo, indecisione forse, pudore di mano tesa eppure chiusa nell’umilta’ dei propri limiti e dei propri silenzi.
Afferrare un accordo e seguirlo, tra poco, pochissimo andarsene per sprofondare dentro a stentato colore che racconta cio’ che non piu’ esiste, epoca che vuole essere specchio e manifestazione di cio’ che diverso e’ qui, presente ed attento mentre volere viaggia lontano seppur vicino, sempre piu’ vicino.
Man of steel pray and kneel
with fever’s blazing torch
thrust in the face of the night,
draws a blade if compassion
kissed by countless Kings
whose jewelled trumpet words blind his sight.

Casa senza nome

Vortice d’acqua ma non questa acqua che sembra inzuppare mura come stoffa, come lucciole gocce riflettono lampioni abbaglianti ma troppa luce e poco oro nella mia vita per restarne incantato.
E’ qualcosa di antico che ritorna e so che suggestione puo’ ingabbiare quando musica spinge e racconta con parole sue cio’ che resta di terra calpestata e nuvole in disuso.
Solita trappola e carponi lascio morbide sbarre avvolgermi smettendo di ricordare ed iniziando a vivere, rivivere trasporto e suoni, colori che inspiegabilmente non vedo piu’, echi come suono bagnato, effetto senza causa che diviene conca distorta e leggera cacofonia dalla quale non fatico a raccapezzarmi, invero rumore di vita, vita ordinaria, comune vissuto al quale eta’ ha tolto filtri e scelte.
Scatola nera e non e’ colore ma mistero come gioco di bambino che trasforma foglio vergine in cosmo e senza confini vado oltre materia, pigmento, distanza e senza forma creo forma, senza colore adotto azzurro, bianco, ampi cerchi, banali geometrie che improvvisamente comprendo ed ammiro nella semplice bellezza che solo ricordo puo’ evocare.
Eppure almeno un’altra notte e’ stata bagnata dalla medesima pioggia di questa e posso riconoscere zampillare come richiamo nell’agitarsi di rami diversi eppure identici, rilascio di luce che mai fu distrutta ma trasformata per ritornare ed illuminare notte arresa, esausta, fiato che esce a fatica ed immensa voglia di sdraiarsi da qualche parte senza pensare, essere pensato forse, volo verso mente primigenia che faccia e decida, sensazione di rimando, incoscienza consapevole, abbandono che non vuole essere resa semmai affermazione d’impavida potenza.
Momento di passaggio e quello fu vero buio ma nel tempo riconosco ancor piu’ che lacrime e lamenti il canto della pioggia pesante e l’incanto di nera plastica, voce del mondo nuovo, osanna a nuova muta di lisce scaglie figlie di quell’acqua dalla quale emergere e se girarsi indietro e’ preghiera, allora sia luce, sia voce, sia eternita’.
And my head didn’t know just who I was
And I went spinning back in time.
And I am high upon the altar
High upon the altar, high.