Ampia, ampissima macchia sulla luna, sfuggevole luna, sguardo rotondo con movimento asincrono, vibrante, sussulti nello spazio da confondere movimento con riferimento, onda senza criterio, senza logica, senza senso che non sia fuggire ed ingannare.
Il cuore fa male e stringo il petto tra dita contratte ma e’ solo un istante che termina presto tra ricordi e occhi luminosi tra erba alta.
Lo stomaco impreca ma quando non lo fa, quando mi lascia sperare, pregare forse, inginocchiata voglia di luogo fresco e asciutto negato da troppe maledizioni, troppe elucubrazioni.
In un viaggio che non sento piu’ di fare, nel centro esatto di altra vita che scivola annoiata, svogliata rassegnazione alla quale credere sempre meno, li’ proprio li’ tra peripezie sempre piu’ insensate, sempre piu’ stanche e grottesche un singolo pensiero che conduce a infinita tristezza, incommensurabile rassegnazione.
Voglia, voglia prepotente di qualcosa che non ho avuto, forse rinunciato, si rinunciato io, io colpevole delle colpe del padre, debole di atavica debolezza, inettitudine inutilmente disprezzata perche’ mio e’ il marchio, mio e’ il cerchio tracciato attorno ai piedi e queste gambe che lentamente si piegano non destano pieta’ o comprensione.
Mi aggrappo alle parole che affondano e io con esse ma a questo punto che almeno possa fermare il battito, tracciare confine tra scherno e menzogna, ridicola bugia alla quale credo senza alcuna riserva.
Ora avrei avuto di che scrivere tra le pagine in cerca di inchiostro, imbarazzante bianco che traccia percorsi piu’ marcati di qualunque novella, di ogni racconto ma l’autunno sta arrivando prima ancora di poterlo evocare e cavalca il Bach di Gould, sulla punta delle sue dita il leggero peso dell’eternita’, della fine che dell’eternita’ e’ preludio e nell’assolo sussurri e sospiri, sentita emozione, abbandono finalmente se solo non fosse altro inutile desiderio, semmai girotondo ultimo, sguardo ultimo, ultimo e forse primo grazie.